Tradizioni

Stagione di sagre: si sta come d’autunno sui fuochi le castagne

Feste e tradizioni stagionali colorano giorni e settimane dei mesi di passaggio tra l’estate e l’inverno
Martina Ravioli
22.09.2022 10:00

Tempo di brindisi con vino novello (sembrerebbe una vendemmia scarsa in quantità, ma elevata in qualità), giorni di lodi per gli abbondati raccolti (saranno poi tali quest’anno?), voglia di stringersi attorno al camino (che forse resta poco altro per «far caldo») tutto questo, o quasi, è il «canonico» autunno raccontato di anno in anno. Ma cerchiamo di andare oltre nella trattazione. Le feste e le sagre abbondano: Autunno gastronomico Lago Maggiore e valli a Locarno (13.09-23.10), Sagra del Borgo a Mendrisio(23.09-25.09), Festa d’Autunno a Lugano (30.09-2.10), Sagra d’Autunno ad Ascona (1.10), Rassegna gastronomica del Mendrisiotto e Basso Ceresio (1-31.10), Fiera dell’artigianato e castagnata a Quartino (2.10), Festa delle castagne ad Ascona (8.10), Sagra della castagna a Morbio Superiore e Mercato dell’artigianato autunnale ad Aurigeno (9.10), Rassegna d’autunno e mercato dei formaggi a Bellinzona (15.10-16.10), Il carico delle grà a Moghegno (20.10), Sapori e Saperi a Bellinzona (21-23.10), Sagra della zucca a Castel S. Pietro (29.10-30.10), Scarico delle grà a Moghegno (10.11), Fiera di San Martino a Mendrisio (10-13.11) e la lista, probabilmente, è ancora incompleta. Non ce ne vogliano e ci scusino gli organizzatori di eventi non citati, ma l’abbondanza è tanta e tale che è presto fatto dimenticare inconsapevolmente l’uno o l’altro. E se l’obiettivo del discorrere è quello di andare alle origini, ecco che ci è anche concesso di tacer sugli annullamenti pandemici che, ci auguriamo, siano parte ormai di un recente passato e lì restino confinati. Dunque, tra zucche, castagne, fisarmoniche, animali, artisti di strada e calici di nettare, cosa appartiene alla tradizione più o meno recente e cosa, invece, affonda le radici indietro nei secoli?

Quando tutto ha avuto inizio

Le edizioni si susseguono e gli anni appaiono come medaglie al valore o, ancor più e meglio, riconoscimenti alla resistenza. E così la Sagra del Borgo è presente da 4 edizioni, Sapori e Saperi da 21, l’Autunno gastronomico Lago maggiore e valli vanta il 23° anno di vita e 59 volte si è potuto partecipare alla Rassegna gastronomica del Mendrisiotto e Basso Ceresio. Ma la regina sembrerebbe la Fiera di San Martino: nel 1684 il landfogto rilasciò al Magnifico Borgo l’autorizzazione per lo svolgimento della prima festa. Di altri appuntamenti ormai entrati nel DNA ticinese si perde il filo della storia, ma d’altronde le tradizioni sono così intrecciate al cammino dei popoli da risultare inscindibili dall’umana evoluzione e da renderne ardua un’identificazione temporale precisa. C’è però un qualcosa che si tende a dimenticare. Tutto ciò che ora ci sembra presente da sempre - usi, costumi, ingredienti - ha avuto, in realtà, un’origine ben precisa. È il caso del mais che arriva dalle Americhe e in Ticino giunge solamente nella seconda metà del XVII secolo. Viene coltivato nelle pianure del Mendrisiotto e in alcune valli del Sottoceneri. Attorno al 1800, come spiega il «Dizionario storico della Svizzera» la coltivazione si estende fino alla bassa Leventina. La polenta gialla come la conosciamo oggi non ha, perciò, un’origine poi così antica. E i paioli sul fuoco, attorno a cui si scaldano volontari e volonterosi cuochi, contengono un oro «straniero», ma ormai amalgamato così tanto e così bene a questa terra, da essere identificato come piatto tipico da abitanti e turisti, compresi i confederati di alemanne lingue che già durante il viaggio si pregustano polenta e brasà.

Di zucche, zucchero e castagne

La pronuncia è simile e la lingua incespica sulla zeta iniziale, ma l’etimologia di queste due golosità differisce alquanto. Chiara sembra essere l’origine di «zucchero» dall’arabo «sukkar», controverso è l’etimo di zucca tra chi propende per il latino «cucutia» o «cutis» finanche «succus». Accantonando la diatriba tra linguisti, possiamo affermare che i due alimenti, seppur divisi nei vocabolari, sono spesso uniti nelle sagre. Tortelli di zucca, zuppe, vellutate, gnocchi e decorazioni autoctone o importate (rabbrividiamo alle lanterne di Halloween) si accostano a rosee dolci nuvole di zucchero filato, immancabili in ogni situazione che profuma anche solo lontanamente di sagra. E così sono felici tutti, grandi e piccini, chi con le manine appiccicose e chi con il cucchiaio tremolante in mano. Poi arriva lei, dama e contadina al contempo, protagonista dei piatti poveri e degli anni di magra e altera presenza nelle più innovative ricette degli chef stellati: dalla torta di castagne ticinese al risotto carnaroli cotto in brodo di castagne di Enrico Crippa, chef 3 stelle Michelin di Alba; dalle caldarroste scoppiettanti nelle piazze del cantone alle nocette di capriolo con castagne glassate di Andrea Muggiano che ha ottenuto, assieme al ristorante luganese in cui lavora, il prestigioso «Diploma di buona cucina» dall’Accademia italiana della cucina; dal vermicelles e dai marron glacé alla ricetta dei cappellacci zucca e castagne proposta dal Gambero Rosso. Un frutto così piccino, pilastro dell’alimentazione dei nostri avi, la cui pianta è arrivata a sud delle Alpi in epoca romana e veniva addirittura definita «l’albero del pane», si è dunque fatto strada nella gastronomia, superando l’etichetta di «alimento di sussistenza».

Saltimbanchi, musica e arte

Non c’è sagra che si rispetti senza il suo suonatore di fisarmonica o la sua bandella che diffonde allegre o malinconiche note di musica e canti popolari ticinesi che, di norma, travalicano i confini e si diffondono in tutta l’Insubria: parole di trasporto per chi parte, di voglia di tornare a casa, di ricordi di chi, emigrato, si raffigura il paese natio e la sua chiesina, «geseta»: «La vedi là `n sü quel doss / L’è ‘nsci pinina e bèla / Asculti e senti queicoss / Canta `na campanèla /Sona l’Ave Maria, / Ul suu pia pian al möör /Quanta malincunia, / struzada in dal me cöör!». Non c’è festa senza artisti di strada, da colui che crea colorate sculture con i palloncini a chi ritrae paesaggi e persone. Spesso gli eventi sono accompagnati da giostre, dove lo spazio lo consente, e talvolta compagnie itineranti di saltimbanchi. Ma anche in questo caso la storia è più recente di quanto si potrebbe pensare. La fisarmonica è stata inventata nel 1829 dal viennese Cyrill Demian, ma sue versioni ancestrali esistevano già prima. L’organetto di Jörg, ma forse ancora più Jörg stesso, è poi una vera celebrità che capita di incrociare qua e là a feste o in normali sabati di commissioni in città. Animali da cortile sono presenti in alcune occasioni, tipica in tal senso è la Fiera di San Martino a Mendrisio, a perenne ricordo che questa terra è stata contadina fino a pochi decenni fa e se l’uomo e il ragazzo partivano per lavorare, la donna e il vecchio restavano a far andare avanti la baracca. I mercati, immancabili, vendono prodotti più o meno tipici, più o meno reinventati. Tra gli alcolici il più celebre è il ratafià, la cui ricetta originale, di cui esistono numerose varianti, è attribuita al convento del Bigorio. Salametti, pani, formaggi e poi ancora candele, spezie, saponi, oggetti d’artigianato: una festa per occhi e desideri, meno per il portafoglio. Ma il bello dell’autunno è anche questo: concedersi ancora qualche sfizio prima dell’inverno e dell’avvento che, anticamente, era periodo di penitenza e di digiuno similarmente alla quaresima. Tradizioni, sagre, usi e costumi non sono dunque impolverati cimeli di un indistinto passato, ma vengono creati e ricreati anno dopo anno, si modificano anche in breve tempo, alcuni vengono meno e altri nascono. Chissà tra 100 anni, ammesso e non concesso che l’uomo avrà ancora umanità, quali e quante tradizioni verranno a noi attribuite. Ma noi, caso mai, non le abbiamo inventate, bensì vissute stagione dopo stagione, come devono aver fatto i nostri progenitori 100 anni fa. 

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