Il caso

Anche noi in futuro riusciremo a parlare con gli animali come il dottor Dolittle?

Grazie ai nuovi strumenti tecnologici di cui disponiamo, biologi e scienziati potrebbero riuscire a creare una sorta di Google Translate per permetterci di comunicare con gli amici pelosi
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Federica Serrao
18.02.2023 18:30

Alzi la mano chi non ha mai provato a parlare con i propri animali domestici. Quante volte, guardando con occhi innamorati i nostri amici a quattro zampe, ci siamo illusi che questi potessero capire le parole che stavamo dicendo loro? E quante volte, per esempio di fronte al miagolio del nostro gatto, o all'abbaiare del nostro cane, abbiamo provato a riprodurre i loro versi, pensando di riuscire, in qualche modo, a comunicare? Dopotutto, per quanto il legame tra animali e esseri umani possa farsi profondo, il limite di non poter avere una conversazione con i nostri amichetti pelosi non è ancora stato superato. Non a caso, molta gente, spesso, parlando del proprio animale domestico, esclama: «Gli manca solo la parola». Già. Ma se vi dicessimo che in futuro potrebbe venire creato uno speciale traduttore per permetterci di riuscire, finalmente, a parlare con gli animali? Un po' come Eddie Murphy nei panni del dottor Dolittle. Può sembrare assurdo, ma la realtà è che non è impossibile. Ora vi spieghiamo perché. 

Tra nuovi strumenti e intelligenza artificiale

Partiamo dal principio. L'idea, per certi versi, è quella di inventare una lingua per comunicare con gli animali. Dopotutto, ormai da secoli, grazie ai nuovi strumenti tecnologici di cui disponiamo, biologi e scienziati sono riusciti a esplorare il mondo del suono in maniera sempre più dettagliata e su una scala molto ampia. Come spiega una ricercatrice al Financial Times, esattamente come i microscopi hanno aiutato gli esseri umani a osservare cose non visibili a occhio nudo, allo stesso modo i microfoni ormai onnipresenti, così come i modelli di apprendimento automatico, ci permettono ora di ascoltare suoni che prima non saremmo mai riusciti a sentire. E tra questi, ci sono anche le conversazioni tra animali. Che sia tra api, pipistrelli, balene o elefanti. Ma anche tra piante e barriere coralline. 

Ma parliamo anche di intelligenza artificiale. Mentre ChatGPT o OpenAI prendono piede sempre più velocemente, a livello scientifico e sociale ciò che potrebbe fare la differenza è la cosiddetta "intelligenza artificiale additiva". Ossia - citiamo sempre il Financial Times - uno strumento per l'apprendimento automatico, per esplorare specifici set di dati di una nuova creazione (derivati, per esempio, da immagini satellitari, sequenziamento del genoma, rilevamento quantistico o registrazioni bioacustiche) e per estendere la frontiera della conoscenza umana. Ed è qui, insomma, che arriva il bello. Per quanto riguarda i dati sonori, secondo Karen Bakker, docente dell'Università della British Columbia, è proprio grazie a questi nuovi strumenti che potrebbe prendere piede una comunicazione interspecie. Detto in parole più semplici, gli esseri umani, nei prossimi due decenni, potrebbero essere in grado di tradurre e replicare i suoni degli animali, creando una sorta di Google Translate per interagire con essi. Un traduttore, a tutti gli effetti, per parlare con gli animali. Anche quelli dello zoo, volendo. Dopotutto, le basi per riuscire nell'intento, sembrano esserci. Come scrive la professoressa Bakker nel suo libro "The Sounds of Life": «Non possediamo ancora un dizionario del capodoglio, ma ora abbiamo gli ingredienti per crearne uno». 

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Microfoni sparsi nella natura

Una domanda, però, sorge spontanea. Com'è stato possibile arrivare a tanto? Per ora, chiaramente, si tratta solo di un'idea, una possibilità. Ma comunicare verbalmente con gli animali potrebbe diventare realtà grazie ai progressi di hardware e software. In particolare, per riuscire nell'intento, microfoni e sensori - resistenti e di lunga durata - dovrebbe venire attaccati nei posti più disparati, per catturare i suoni e i versi emessi dagli animali. Dagli alberi dell'Amazzonia, dunque, alle rocce nell'Artico. Ma anche sulla schiena dei delfini. Così facendo, si consentirebbe un monitoraggio in tempo reale, mentre in una seconda fase, il flusso di dati bioacustici verrebbe invece elaborato da algoritmi di apprendimento automatico. Questi ultimi sono infatti capace di rilevare modelli sia nei suoni naturali infrasonici (ossia a bassa frequenza), che in quelli ultrasonici (al contrario, ad alta frequenza). Entrambi non udibili all'orecchio umano. 

In tutto questo c'è un però. A detta della professoressa Bakker, questi dati potrebbero aver senso solamente qualora fossero combinati con le osservazioni umane sui comportamenti naturali. Il che significa, in altre parole, che l'attento lavoro sul campo dei biologi rimane comunque fondamentale per la buona riuscita del progetto. 

Ma non è tutto. A detta dell'esperta, infatti, l'installazione di microfoni in natura potrebbe essere utile anche per tutelare la biodiversità delle regioni a rischio. Gli appositi sistemi di apprendimento automatico disposti nelle foreste pluviali sono in grado di monitorare i microfoni posti in quell'area, rilevando per esempio i suoni delle motoseghe e le grida degli animali in preda al panico. Una tecnologia che potrebbe fare del bene al mondo animale, dunque, anziché realizzare i desideri degli esseri umani. Dopotutto, però, siamo solo all'inizio. E chissà in quanti altri modi potrebbero venire sfruttati i dati bioacustici, in un futuro sempre più vicino.