Gli studi

«ChatGPT, rispondi a questa domanda: usarti mi rende più stupido?»

Alcune ricerche invitano a riflettere sull'utilizzo dei chatbot - L'uso smodato dell'intelligenza artificiale nei compiti quotidiani rischia di ridurre creatività e pensiero critico
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Red. Online
09.08.2025 12:35

Sì, l'intelligenza artificiale (AI) può essere un utile strumento per ridurre, di molto, il carico mentale e il tempo speso per specifici compiti. Ma l'abitudine a imboccare scorciatoie digitali rischia di avere un impatto negativo sul nostro cervello. È quanto emerso in un recente studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT), citato in un articolo dell'Economist.

L'esperimento

Che fantasia ci vuole nell'usare ChatGPT? Basta un ordine - il cosiddetto prompt - e a tutto il resto pensa lui, l'intelligenza artificiale. Be', l'esperimento effettuato dall'MIT conferma che, così, il cervello lavora ben poco. Durante una serie di sessioni di scrittura, alcuni studenti sono stati monitorati con elettroencefalogrammi (EEG) mentre redigevano testi con o senza l’ausilio del chatbot di OpenAI. I risultati? Chiari: una significativa riduzione dell’attività cerebrale nelle aree deputate alla creatività e all’attenzione tra coloro che hanno utilizzato l’AI. Un deficit esteso anche all'apprendimento: gli studenti che hanno utilizzato ChatGPT hanno mostrato maggiori difficoltà nel ricordare citazioni tratte dai testi che avevano appena prodotto.

Il lavoro del Massachusetts Institute of Technology si inserisce in un corpus crescente di ricerche sui potenziali effetti negativi dell’AI generativa sull’apprendimento e sul pensiero critico. Citati dall'Economist, due ulteriori studi, in particolare, offrono un quadro più ampio: uno di Microsoft Research e un altro condotto da Michael Gerlich della Swiss Business School di Kloten (SBS).

Il primo ha coinvolto 319 professionisti che utilizzano regolarmente l’AI per più di 900 attività, dalla sintesi di documenti alla progettazione di campagne di marketing. Solo 555 di questi compiti, secondo le autovalutazioni, richiedevano un qualche grado di pensiero critico, ad esempio dover rivedere da vicino un risultato dell'IA prima di passarlo a un cliente, o rivedere un prompt dopo che l'IA aveva generato un risultato inadeguato al primo tentativo. La maggior parte, invece, era ritenuta «priva di sforzo cognitivo». Gli utenti hanno dichiarato che, con strumenti come ChatGPT, Google Gemini o Copilot di Microsoft, impiegavano «meno o molto meno sforzo mentale».

Lo studio di Gerlich, condotto su 666 persone nel Regno Unito, ha chiesto ai partecipanti quanto spesso utilizzassero l'AI e quanto si fidassero di essa, prima di porre loro domande basate su una valutazione del pensiero critico ampiamente utilizzata. Chi faceva uso frequente di AI otteneva punteggi più bassi in test standardizzati di pensiero critico.

Problemi anche per le capacità cognitive?

Meno tempo a pensare di testa propria, meno pensiero critico. Sembra questo il risultato degli studi citati. Ma usare l'AI indebolisce fortemente le capacità cognitive nel lungo termine? Ci rende, insomma, più stupidi? Il dibattito è aperto e gli autori degli studi citati sottolineano che servono ulteriori ricerche per arrivare a una conclusione.

Da tempo, ormai, godiamo di una serie di tecnologie che alleggeriscono il nostro carico cognitivo, dalle calcolatrici ai navigatori satellitari. «Ci sono poche prove che suggeriscono che permettere alle macchine di eseguire gli ordini mentali degli utenti alteri la capacità intrinseca del cervello di pensare», osserva Evan Risko, psicologo dell'Università di Waterloo, sulle pagine del settimanale britannico. Il problema con l'AI generativa, tuttavia, è più ampio: «Si rischia esternalizzare processi mentali complessi». Una volta presa l’abitudine, abbandonarla può risultare difficile, evidenzia Risko, autore insieme al collega Sam Gilbert di uno studio sull'impatto dell'AI sulle capacità di carico cognitivo.

Il pericolo, spiegano, è che si entri in un circolo vizioso: meno si pensa criticamente, più si delega all’AI, e meno si è in grado di pensare autonomamente. Un partecipante allo studio di Gerlich ha ammesso: «Mi affido così tanto all’AI che non saprei più risolvere certi problemi senza di essa».

Contenere il declino

Promettente per la produttività aziendale, l'AI comporta alcuni rischi anche per le imprese, evidenzia invece Barbara Larson, professoressa di management alla Northeaster University. «Il decadimento del pensiero critico, sul lungo periodo, potrebbe ridurre la competitività e la creatività». Esistono però strategie per contenere il «declino cognitivo». Larson consiglia di trattare l’AI come un «assistente entusiasta ma un po’ ingenuo». Gerlich suggerisce di suddividere il problema in passaggi, chiedendo all’AI di supportarli uno alla volta invece di passare direttamente alla soluzione. Invece di chiedergli: «Dove devo andare per una vacanza al sole?», per esempio, si potrebbe iniziare chiedendo dove piove di meno e procedere da lì.

Microsoft, intanto, sta testando assistenti virtuali che interrompono l’utente con domande stimolanti, per favorire il ragionamento profondo. Altre contromisure – come imporre una pausa obbligatoria prima di ottenere una risposta dall’AI o richiedere prima una risposta autonoma – potrebbero aiutare, ma sarebbero impopolari. «Alla gente non piace essere costretta a riflettere», afferma Zana Buçinca, ricercatrice di Microsoft. Infatti, in un sondaggio condotto in 16 Paesi dalla società di consulenza Oliver Wyman, il 47% degli intervistati ha dichiarato che userebbe l’AI generativa anche se vietata dal proprio datore di lavoro.

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