Sotto la lente

La conoscenza aperta: un'opportunità per molteplici settori

Approfondiamo il tema con Giovanni Profeta, ricercatore della SUPSI al Dipartimento ambiente costruzioni e design e organizzatore di GLAMhack2022
© Shutterstock
Federica Serrao
26.11.2022 17:00

La conoscenza aperta. O open knowledge. Un tema di cui non tutti avranno sentito parlare, ma che sta diventando sempre più centrale. Non solo per le comunità scientifiche, ma anche per molteplici altri settori, come quello culturale, quello informatico e quello legato al mondo della fabbricazione digitale. A tal proposito, dal 1. gennaio 2022, la SUPSI, Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, ha aderito alla Strategia nazionale svizzera sull'Open Access di swissuniversities, la quale prevede che entro il 2024 tutte le pubblicazioni scientifiche finanziate con fondi pubblici dovranno essere liberamente accessibili tramite dispositivi digitali. Questo significa, in altre parole, che tutti gli elaborati prodotti nell'ambito delle ricerche scientifiche della scuola (dunque pubblicazioni, dataset, software, ecc.) saranno resi fruibili liberamente da tutti e potranno essere riutilizzati ai fini di sostenere l'innovazione e la creazione di valore sociale, culturale, economico e civile per il territorio. Per restare in tema, nel corso delle scorse settimane, proprio alla SUPSI, nella sede di Mendrisio, per la prima volta in otto anni, si è tenuto l'evento GLAMhack2022, l'hackaton nazionale sulla cultura aperta. Per capire di più del tema e della sua importanza, abbiamo parlato con Giovanni Profeta, ricercatore presso il Dipartimento ambiente costruzione e design che ha reso possibile l'evento.

Come i volontari di Wikipedia

Come dicevamo, il tema della conoscenza aperta si sta facendo sempre più importante. «Ne sono una prova la comunità di volontari di Wikipedia, detti anche Wikipediani, i quali contribuiscono costantemente a manutenere, arricchire e aggiornare la più grande enciclopedia aperta online», ci spiega Giovanni Profeta. All'interno della piattaforma, infatti, chiunque può consultare le informazioni liberamente e modificare le voci, grazie all'uso del software wiki su cui è basata, anch'esso rilasciato con licenzia libera. «Oltre a Mediawiki, il software su cui si basa Wikipedia, esistono numerosi altri software prodotti da community di sviluppatori e rilasciati con licenze libere, di particolare interesse per chiunque faccia uso di tecnologie digitali, come il sistema operativo Linux e il browser Firefox», aggiunge il ricercatore. 

Ma non è tutto. «La conoscenza, i software e tutti i materiali rilasciati con licenze aperte tipicamente si trovano, oltre che nei canali web degli autori, anche all'interno di grandi aggregatori di file aperti. È il caso di Europeana, il più grande archivio europeo di opere d'arte digitalizzate con le risorse delle istituzioni culturali e rilasciate anch'esse con una licenza aperta o in dominio pubblico». E non solo. Tra questi, si distingue anche Zenodo, uno dei più grandi archivi mondiali dei materiali prodotti dalle ricerche scientifiche. «Tutti gli aggregatori di contenuti aperti sono un volàno, oltre che di visibilità degli autori delle opere e delle istituzioni a cui sono affiliati, anche per lo sviluppo di ricerca e innovazione». Ad oggi, le licenze aperte più largamente diffuse per il rilascio di contenuti sono le Creative Commons. «Prevedono la consultazione e il riuso degli elaborati prodotti fintanto che vengano rispetti alcuni requisiti essenziali, come la menzione dell'autore e la condivisione del nuovo elaborato prodotto con la stessa licenza libera. 

Approfondire il tema con GLAMhack

Anche la SUPSI, nelle scorse settimane, ha avuto modo di osservare da più vicino il tema della conoscenza aperta, grazie a GLAMhack2022. «Il macro tema dell'evento è stato quello di basarci su tutta una serie di dataset messi a disposizione con licenze libere da istituzioni culturali e dal mondo della ricerca, fondamentalmente per generare dei dispositivi digitali, ossia delle interfacce interattive, per accedere ai dataset in maniera più immediata, più userfriendly e, se vogliamo, anche più originale». L'intento generale di questa operazione, dunque, è stato quello di sensibilizzare sia i partecipanti dell'evento, sia chi sta muovendo ora i primi passi, sul tema della conoscenza aperta. Per fare ciò, nel corso dell'evento, della durata di tre giorni, la SUPSI ha proposto diverse attività: da sessioni di warm up a incontri con esperti delle settore, passando per workshop e presentazioni. Fondamentale anche la presenza di persone provenienti da istituzioni culturali e volontari di Wikipedia.

A giocare un ruolo importante nell'hackaton è stata la tematica del suono, scelta come focus principale dal Dipartimento ambiente costruzioni e design. «Abbiamo presentato dei prototipi, ossia delle demo, di oggetti o interfacce, che facevano un uso sperimentale del suono. Sono stati presentati due progetti in tal senso. Il primo è stato il progetto Addvibes del mio collega Giulio Zaccarelli, una chaise longue che permetteva di fruire di contenuti audio anche in forma tattile, e di utilizzare quindi due sensi per l'ascolto». Dopodiché, è stato il turno di due prototipi di interfaccia, realizzati dagli studenti del corso di Interaction Design del Bachelor in Comunicazione visiva, dove anche in questo caso, il suono assumeva valori diversi rispetto a quelli tradizionali. «Nel primo caso, in particolare, il suono veniva utilizzato come strumento per codificare un messaggio in codice. Nel secondo caso, il progetto produceva del  suono attraverso l'uso del corpo e, più in generale, dei movimenti».

Qualche preoccupazione sull'adozione di licenze

Tuttavia, qualche timore sull'uso della conoscenza aperta si è sollevato. «In particolare, le preoccupazioni più diffuse riguardo all'adozione di licenze aperte sono essenzialmente legate alla percezione della perdita di controllo degli elaborati prodotti, e dell'eventuale uso improprio», ci spiega Giovanni Profeta. Realisticamente, infatti, è difficile controllare tutti gli output prodotti a partire da un elaborato che è stato rilasciato con licenza aperta e che la comunità ha ritenuto interessante. «Tuttavia - aggiunge l'esperto - la condivisione su aggregatori di contenuti aperti e su altri siti web istituzionali contribuisce a certificare l'autorialità dell'opera. Inoltre, l’eventuale uso non idoneo della risorsa è generalmente ignorato dal resto della comunità, mentre sono particolarmente apprezzati gli usi che favoriscono l’ulteriore diffusione dell’opera ai fini dello sviluppo di conoscenza e di nuovi prodotti e servizi».