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Sarà davvero la fine di Twitter?

Dopo l'hashtag #RIPTwitter sono in molti a chiedersi se la piattaforma avrà o meno un futuro: ecco tre scenari problematici
© AP
Marcello Pelizzari
18.11.2022 20:29

Twitter, è davvero la fine? La domanda, dopo l’hashtag #RIPTwitter finito in tendenza, è lecita. Proprio perché le mosse di Elon Musk sembrano andare, inevitabilmente, in questa direzione. Sui social, beh, l’ironia al riguardo non è mancata: c’è chi, ricordando la famosa sfida lanciata dal Daily Star ai tempi del governo Truss, nel Regno Unito, ha subito rispolverato la lattuga, al grido «chi marcirà primo, l’insalata o Twitter?». Bella domanda, appunto.

Nel frattempo, circa metà della forza lavoro è stata licenziata e tanti, tantissimi altri dipendenti hanno deciso di andarsene in seguito alle nuove condizioni di lavoro imposte proprio da Musk. E adesso? Altra bella domanda: il rischio che l’uccellino, volendo usare una terminologia del nuovo patron, cada dal trespolo parrebbe reale. Vediamo perché.

Il pericolo hacker

Il primo, vero rischio per Twitter è legato a una possibile azione di hackeraggio. Come ogni sito web, d’altronde, anche la piattaforma social è costantemente sotto attacco. A più livelli, a maggior ragione se consideriamo l’importanza che riveste Twitter in alcuni Paesi. Leader politici, giornalisti di primissimo piano, personaggi dello spettacolo e via discorrendo: tutti, o quasi, hanno un account. Dati, per farla breve, che farebbero gola a chiunque.

Più prosaicamente, il sito potrebbe pure essere «bombardato». Come? Tramite l’invio di una raffica di false richieste di accesso ai sistemi informatici, allo scopo di mandare il sistema in sovraccarico e farlo collassare, o comunque bloccarlo anche solo parzialmente. Il risultato è la paralisi del servizio: gli utenti che si collegano dall’esterno, infatti, incontrano difficoltà di accesso al sito, complice il volume di traffico generato dagli hacker che intasa la larghezza di banda disponibile.

La sicurezza informatica, non a caso, è al centro delle operazioni quotidiane di qualsiasi azienda che agisce nel web. Ecco, peccato che la scorsa settimana il capo della sicurezza informatica di Twitter, Lea Kissner, se ne sia andato.

Detto ciò, è verosimile pensare che la sicurezza in seno a Twitter sia piuttosto solida. Impensabile, detto in altri termini, che un sito utilizzato da 300 milioni di utenti ogni mese sia mal gestito su questo fronte. Ma la sicurezza richiede un lavoro continuo di monitoraggio e manutenzione.

I server

Un altro rischio, invece, riguarda i server. E se venissero messi fuori uso per errore durante una revisione mal supervisionata o, peggio, per dispetto? Senza server, Twitter scompare. Semplice e, a suo modo, drammatico.

I server, per farla breve, sono dei potenti computer. Si trovano nei cosiddetti data center, magazzini pieni zeppi di server. Macchine che generano calore e, quindi, necessitano di essere raffreddate. Per questo, hanno bisogno di una fonte costante di elettricità. 

Non solo, i server vanno pure sostituiti e i dati contenuti vanno migrati dal vecchio al nuovo computer. Operazioni, queste, per nulla scontate.

Le azioni di Musk

Infine, ci sono le intenzioni di Musk. Il quale, il curriculum in fondo parla per lui, sicuramente è consapevole dei problemi scatenati dal suo comportamento e dalle sue decisioni. E forse è proprio questo il punto: Musk sta espressamente facendo il pagliaccio, perdonateci l’espressione, e portando Twitter verso la bancarotta per poi chiuderlo, sebbene sembri godersi – al momento – il ruolo di «capo del Twitter».   

La speranza degli utenti rimasti, mentre scriviamo queste righe parecchi stanno migrando su Mastodon, anche se non è facilissimo da usare, è che lo staff di Twitter, per quanto ridotto, continui a garantire la qualità dell’epoca pre-Musk. Soprattutto in aree sensibili come la sicurezza.  

 

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