Un disco da Skiantos

Nuvo album per la cult band di Freak Antoni
Alessio Brunialti
25.02.2009 16:48

In un mondo perfetto gli Skiantos, il gruppo rock italiano in possesso del nome più bello di sempre, avrebbero trascorso gli ultimi 30 anni sempre in testa alle classifiche, stagliandosi luminosi come fari per rischiarare il buio del piattume musicale circostante. Frasi come «ci ho delle storie, ci ho delle storie pese» sarebbero entrate nel linguaggio comune dei politici e degli opinionisti invece di generare, al massimo, il nome, molto meno bello, della migliore imitazione del prodotto originale. In un mondo perfetto l?Italia, dovendo proprio finire nelle mani di un cantante confidenziale, sarebbe il regno di Freak Antoni, sovrano illuminato da scariche elettriche di corrosiva ironia. In un mondo perfetto... Ma il mondo perfetto non è e ci sono ancora più dubbi che sia anche solo un po? perfettibile. Anche per questo «Dio ci deve delle spiegazioni» (che non può essere il più bel titolo di sempre di un album rock solo perché esiste già «Non c?è gusto in Italia a essere intelligenti»), il nuovo album della band emiliana che sta vivendo un periodo di riscoperta da parte delle giovani generazioni che hanno visto nei negozi le ristampe degli storici «Monotono», «Kinotto» e «Pesissimo», perfino dell?esordio semiclandestino «Inascoltable» (non è un errore, è inglese...forse è un errore). Se, poi, le abbiano pure comprate non è dato saperlo, diavolo di un download, ma è certo che se Internet fosse esistita già negli anni ?70 il destino di costoro sarebbe stato ben diverso, le loro canzoni si sarebbero diffuse clandestinamente grazie a un pionieristico sistema (il popolare «pearl to pearl») e tutto sarebbe andato come dovrebbe andare. Ma così non fu. Meglio ribadirlo, dunque: «Dio ci deve delle spiegazioni».Un disco che si pone le domande esistenziali che attanagliano ogni uomo e, comunque, anche gli Skiantos. Alcuni brani sono d?epoca, mai ascoltati (un po? come i pezzi editi) come «Io sono un perdente» o l?incredibile crossover tra metal e liscio romagnolo di «Senza vergogna». Difficile scegliere il pezzo più bello di un disco che prova, senza scherzi, come si possano trascorrere «32 anni sulla cresta dell?onta». I fan si riconosceranno in pezzi come «Testa di pazzo», «Il razzista che c?è in me», «Una vita spesa a skivar la fresa» e anche lo sfogo di «Odio il brodo» (che non dirà nulla a chi non è tifoso di basket, in particolare della bolognese Fortitudo). Il solito capolavoro.