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Da Roger Federer a Jannik Sinner, quando il tennis diventa poesia

In questa puntata Dario Campione ci racconta «Il tennis come esperienza religiosa» di David Foster Wallace, pubblicato da Einaudi
©SEBASTIEN NOGIER
Dario Campione
13.04.2024 06:00

Oggi vi racconto il libro Il tennis come esperienza religiosa, di David Foster Wallace, pubblicato da Einaudi.

C’è un Paese, l’Italia, che sembra essere soggiogato in questo momento da un giovane atleta altoatesino, un tennista. Jannik Sinner. L’attenzione verso le partite giocate da Sinner si è fatta spasmodica, i grandi quotidiani seguono i match punto per punto con dirette online, gli stessi match in Tv raggiungono audience insperate anche da trasmissioni collaudate e in palinsesto da anni. Insomma, è esplosa una vera e propria mania. Che, per certi aspetti, richiama da vicino la storia di un altro grande protagonista di questo sport, lo svizzero Roger Federer.

Il legame emotivo che milioni di persone hanno avuto con Federer è stata una connessione radicata in qualcosa di più della semplice adorazione dell’eroe. Come ha scritto qualche anno fa Michael Steinberger sul New York Times, «abbiamo naturalmente assaporato l’arte che ha portato in campo. Il tennis è un gioco elegante, ma nessuno lo ha reso più elegante di Federer. […] E tuttavia, non è stata solo o principalmente la sua abilità con la racchetta a rendere Federer così amato. [Il tennista di Basilea] trasudava gentilezza, una qualità fin troppo rara in un atleta della sua statura». Ha regalato gioia. La stessa cosa che, oggi, sta facendo, forse del tutto involontariamente, anche Jannik Sinner.

Lo sport è l’epica moderna. Può sembrare banale dirlo, ma ci allontaneremmo dalla verità se non lo facessimo. Ovunque, lo sport va oltre il gesto tecnico di chi lo pratica. Ogni Paese, ogni territorio, vive (o tenta di vivere) i propri momenti di epica sportiva; vuole affermarne i miti e utilizzarli come fattore di identità culturale.

Questo è vero soprattutto nelle nazioni più giovani. C’è chi ha detto che gli europei e gli asiatici sono «sepolti» dal peso della Storia; ma nordamericani, sudamericani, australiani o neozelandesi, no. «Non è un caso che proprio loro siano furiosamente affamati di racconto sportivo, per dotarsi di mitologie primarie, senso di comunità, identità».

Paradossalmente, lo stesso accade in Italia, dove le vittorie sportive, quelle di squadra così come quelle di un singolo, ricuciono provvisoriamente gli strappi e le lacerazioni dei fronti perennemente contrapposti, dei moderni e contemporanei guelfi e ghibellini. E anche in Svizzera, dove sotto lo scudo di un autentico eroe come Federer si sono riunite culture e anime altrimenti molto diverse e distanti tra loro. Nel 2006, lo scrittore americano David Foster Wallace fu inviato a Londra dalla redazione di Play, il magazine sportivo del New York Times, per raccontare il torneo di Wimbledon. Da quella esperienza sarebbe uscito un lungo reportage, diventato poi un libro: Roger Federer as Religious Experience, Roger Federer come esperienza religiosa.

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