Dazi USA

«200 miliardi di investimenti? Il rischio è una parziale deindustrializzazione del Paese»

A preoccupare i rappresentanti dell’economia è quanto promesso dalle aziende elvetiche quale contropartita per la riduzione delle tariffe doganali
© CdT / Gabriele Putzu
Francesco Pellegrinelli
17.11.2025 18:00

La situazione economica in Ticino, così come nel resto della Svizzera, resta incerta, indipendentemente dall’impatto dei dazi americani. Ne è convinto Stefano Modenini, direttore di AITI, che commenta la recente contrazione del prodotto interno lordo comunicata dalla SECO: «In realtà le difficoltà sono emerse già prima della crisi innescata dai dazi. Il comparto MEM (meccanica, elettrotecnica e metallurgia, ndr.) è certamente il più esposto, ma l’impatto non è uniforme e non tutti i settori ne risentono allo stesso modo». A livello generale, spiega Modenini, il quadro è più sfumato: «L’industria svizzera è estremamente diversificata e le dinamiche variano molto in base ai prodotti e ai mercati. Alcune aziende sono riuscite ad aumentare il proprio fatturato. Ciò che è certo è che da anni non viviamo più una fase di vera espansione, quanto piuttosto un susseguirsi di difficoltà, che siano di natura congiunturale, finanziaria o legate a ostacoli commerciali imposti da altri Paesi». Dello stesso avviso è Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio (Cc-Ti): «Fra qualche settimana presenteremo l’esito della nostra inchiesta congiunturale, che evidenzia come le cose stiano andando abbastanza bene, nonostante il rallentamento generale che si protrae dal 2024, in parte dovuto alla situazione economica di Germania e Cina».

La promessa e i timori

Le difficoltà maggiori restano nel settore industriale. «La questione dei dazi ha accentuato questa tendenza», conferma Albertoni. «Per le aziende che lavorano con gli USA è stata una vera mazzata. A livello complessivo, però, l’incidenza è stata contenuta: molte imprese hanno anticipato l’export e non tutti i dazi sono stati applicati in maniera rigorosa». A preoccupare maggiormente le associazioni economiche sono i 200 miliardi di dollari di investimenti promessi dalle aziende svizzere come contropartita per l’abbassamento dei dazi statunitensi. Modenini osserva: «Nel Pharma – uno dei principali contribuenti del Paese – molte decisioni erano già state prese, ma l’accordo prevede investimenti miliardari anche da parte dell’industria tradizionale». Il timore più grande riguarda quindi una possibile parziale deindustrializzazione del Paese. «Se la produzione si orienta sempre più verso gli USA – spiega Modenini – a risentirne non saranno solo i grandi gruppi, ma anche l’intera rete di PMI che li rifornisce. Il rischio è un indebolimento strutturale della catena del valore nazionale. Non possiamo nascondere che il timore di una parziale deindustrializzazione della Svizzera c’è, tanto a livello politico quanto a livello economico». Secondo Albertoni, a generare apprensione non è solo la portata degli investimenti, ma anche il breve orizzonte temporale: «Dovranno concretizzarsi entro il 2028. È una scadenza ravvicinata e desta comprensibilmente timore, soprattutto nei comparti della filiera dell’oro e del farmaceutico, due settori particolarmente rilevanti per il Ticino».

Le previsioni

Per i prossimi mesi, l’andamento degli ordinativi verso gli Stati Uniti resta debole: «Sono in gran parte fermi o drasticamente ridotti», spiega Albertoni. «Il rallentamento, però, riguarda aziende di tutti i settori, anche quelle per cui il mercato americano non è centrale». L’auspicio resta che l’abbassamento dei dazi possa stimolare nuova attività. Modenini sottolinea come il rafforzamento del franco rispetto a euro e dollaro, unito all’alto costo del lavoro, rappresenti una sfida ulteriore: «La Svizzera riesce a mantenere una base produttiva perché il livello di innovazione dei suoi prodotti è così elevato da giustificare prezzi superiori alla concorrenza. Ma questo vantaggio non può essere dato per scontato». Le prospettive restano quindi cautamente positive. «Prevediamo una certa stabilità e una possibile ripresa per le aziende attive sul mercato USA. Con grande moderazione, vogliamo restare ottimisti», conclude Albertoni.

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