«Abbiamo perso il diritto di esistere sul mercato»

Si vedono tanti clienti e persino venditori che non smettono di sorridere, ma anche facce perplesse, fra gli scaffali che man mano si svuotano nella filiale di Müller Reformhaus all’indirizzo Rennweg 15, nel cuore di Zurigo. Era la prima (inaugurata nel 1929) e la più grande filiale della catena di negozi dedicati a prodotti biologici ed ecologici. Era e non lo è più, perché da domani la sua saracinesca rimarrà abbassata. Un’era è giunta al suo termine. «È con grande rammarico che vi informiamo che interrompiamo le nostre attività commerciali a partire dal 3 gennaio», si legge sulla porta del negozio e sul sito aziendale. La catena - che comprende le filiali di Müller Reformhaus, Egli Bio, Ruprecht, Vital Shop e le drogherie Haas) - è fallita. Il consiglio d’amministrazione ha depositato il bilancio della Müller Reformhaus Vital Shop SA e della Natural Power Distribution SA. A dare la notizia è stata la direzione aziendale in un comunicato pubblicato in risposta a notizie diffuse nei giorni scorsi da media come il Blick. La chiusura coinvolge 298 dipendenti in 37 sedi. Due quelle situate in Ticino: quella di Locarno (in via Torretta) e quella del centro commerciale Serfontana, a Morbio Inferiore. Impossibile avere una dichiarazione da queste o dalla casa madre di Volketswil, nel canton Zurigo. Ma al telefono, il punto vendita momò ci fa capire che i clienti in questa ultima giornata di vendita non mancano, proprio come nella filiale in centro a Zurigo.
In calo dal 2016
«La frequenza dei clienti è in calo dal 2016», scrive la direzione aziendale nella sua nota. «Ciononostante, nell’autunno del 2019 - dopo tre anni caratterizzati da misure di riduzione dei costi - il CdA ha deciso di adottare una strategia di avanzamento con un corrispondente riposizionamento. Dopo un primo anno di pandemia relativamente positivo nel 2020, le vendite sono crollate di nuovo nella primavera del 2021. Questo crollo continua ancora oggi ed è peggiorato nella seconda metà del 2022». Questo perché durante la pandemia, «tendenze già esistenti come l’home office e gli acquisti online sono state accelerate e, in tempi molto brevi, sono diventate standard nella nostra società». Nel complesso, dal 2016, la catena ha perso la metà dei clienti, ha affermato in una breve intervista concessa allo stesso Blick il direttore Mischa Felber.
Il peso del prezzo
«La maggior parte dei clienti non comprava da noi per una questione di prezzo, ma per convinzione e per una forte consapevolezza della qualità dei prodotti e della consulenza», continua la nota. «L’azienda ha sempre cercato di essere all’altezza di questo atteggiamento onesto e incondizionato (…), accompagnato dalla ferma intenzione di poter abbassare i prezzi e aumentare i salari non appena la situazione economica lo avrebbe permesso». Negli ultimi anni, però, «il prezzo si è sempre più affermato come il criterio di acquisto più importante. Ogni giorno i nostri dipendenti si sono sentiti dire che la nostra offerta era troppo costosa». Per anni - afferma ancora l’azienda - i proprietari hanno cercato collaborazioni strategiche. «Ci dispiace molto che l’auspicato successo di questi sforzi non si sia concretizzato. Poiché negli ultimi anni la richiesta dei nostri servizi è stata sempre minore, dobbiamo ammettere a noi stessi di aver perso in qualche modo il diritto di esistere sul mercato». Negli ultimi vent’anni, i proprietari si sono sempre astenuti dal pagare i dividendi e hanno reinvestito tutti i fondi disponibili nell’azienda. Negli ultimi anni e mesi sono inoltre state elaborate «numerose opzioni e concetti di ristrutturazione, sempre orientati al benessere dei dipendenti. Tutte queste opzioni di ristrutturazione sono state attentamente esaminate e i colloqui e le trattative con le terze parti si sono svolti fino a poco prima di Natale. Purtroppo, tutti gli sforzi sono rimasti senza risultato». Affitti e stipendi, sottolinea l’azienda, sono stati pagati regolarmente. Non sono stati effettuati licenziamenti. I circa 300 dipendenti colpiti riceveranno uno stipendio fino alla scadenza del periodo di preavviso ordinario dalla cassa disoccupazione.
Le aziende pioniere
«Qualche tempo fa, i negozi Müller Reformhaus erano fra gli unici a proporre prodotti di un certo tipo. Oggi, anche grandi attori del commercio al dettaglio, come ad esempio Coop e Migros, hanno coperto questo mercato», commenta Reto Föllmi, professore di economia all’Università di San Gallo. «E le imprese più grandi hanno il vantaggio di poter offrire i prezzi più bassi». Per i più piccoli che non offrono più qualcosa di esclusivo al consumatore, coprire i costi e proporre prezzi concorrenziali diventa impossibile. In casi come questi, le possibilità sono due: «O si coopera con i colossi, oppure si punta tutto su articoli ed esperienze di nicchia. Apparentemente, all’azienda zurighese non è riuscita nessuna delle due cose». Le aziende pioniere, come lo è stata la Müller Reformhaus, fra i primi negozi ad offrire prodotti alimentari per celiaci o detersivi ecologici, conclude l’economista, «hanno il pregio di essere fra le imprese che, oltre a essersi rese note al pubblico, hanno saputo generare anche grandi competenze nel loro settore. Ma devono sapersi continuamente trasformare».