Zurigo

Acqua «privata», il confronto è bollente

Il 10 febbraio il cantone voterà sulla revisione della legge sulla gestione delle risorse idriche - Il tema più scottante: la commercializzazione - Filippini: «Occasione persa per il settore pubblico»
Investimenti - Il mercato dell’acqua può attrarre società private a fare affari con i Comuni. (Foto Reguzzi)

Il 10 febbraio nel canton Zurigo si voterà la nuova legge cantonale sull’acqua. Un dossier discusso per tre anni dal Gran Consiglio per sostituire i due testi di legge (ormai obsoleti) attualmente in vigore e che comprende vari aspetti della gestione dell’acqua, come l’uso sostenibile delle risorse idriche, la rinaturazione dei bacini e la protezione da inondazioni. A rendere davvero bollente il dibattito è però un punto in particolare: quello che determina in che misura privati possano partecipare al capitale delle aziende addette all’erogazione dell’acqua potabile nei comuni.

La nuova legge prevede che alle società private non vada più del 49% del capitale sociale e non più di un terzo dei diritti di voto. I Comuni resterebbero quindi gli azionisti maggioritari. Una nuova norma che non piace però a PS e Verdi, che hanno impugnato il referendum popolare e, assieme al Partito borghese democratico, agli evangelici, ai Verdi liberali e all’«Alternative Liste», il referendum parlamentare. Il messaggio che gli oppositori alle nuove disposizioni vogliono mandare è chiaro: l’acqua potabile è un bene di tutti e non va assolutamente commercializzata.

«Così i paletti aumentano»

Quelli dei partiti di centro-sinistra sono degli argomenti incomprensibili, ribattono PLR, UDC, PPD e Unione democratica federale, che invece appoggiano il nuovo testo di legge. Un no all’intero progetto è un no anche gli altri punti previsti dalla revisione, e fra questi più di uno garantisce - e per la prima volta nel canton Zurigo - un’amministrazione responsabile delle risorse nel rispetto dell’ambiente. Soprattutto, la nuova legge cantonale tutelerebbe le risorse idriche ancora meglio di quanto fatto finora da privatizzazioni. Secondo le norme attuali, i Comuni possono infatti decidere di mettere l’erogazione dell’acqua potabile completamente in mani private. Partecipazioni di cooperazioni o società per azioni sono già una realtà. Le nuove prescrizioni metterebbero una volta per tutte nero su bianco un limite alla commercializzazione dell’acqua potabile. Al contempo si darebbe il via a efficienti sinergie fra privato e pubblico.

«Sicuri che non ci sia profitto?»

Dal canto loro, i favorevoli al referendum ricordano però che nella sua prima proposta, il Governo avrebbe voluto eliminare ogni possibilità di privatizzazione. Se delle possibilità di commercializzazione, benché parziali, sono state integrate nel testo in votazione, è solo «grazie» alla maggioranza borghese in seno alla commissione preparatoria.

Mentre l’Esecutivo e la maggioranza del Parlamento sottolineano che i nuovi dettami prevedono il divieto di ottenere profitti sull’acqua potabile (le entrate devono servire solo per coprire i costi per l’erogazione), i referendisti vedono altre possibilità per le imprese private partecipanti, che se non possono fare soldi, per lo meno potrebbero risparmiarne: ad esempio attraverso richiedendo ribassi sulla tariffa dell’acqua al Comune con cui sono entrate in affari. Se per i privati non c’è modo di guadagnare, si chiedono i contrari alla nuova legge, perché allora insistere per includerli nella nuova legge?

«Resta un affare interessante»

Che i paletti e tetti massimi imposti ai privati possano diminuire l’incentivo di imprese private a partecipare a società di distribuzione non convince Massimo Filippini, professore ordinario di economia politica presso l'Università della Svizzera italiana e il Politecnico federale di Zurigo. «Il mercato della distribuzione dell'acqua è un monopolio, vale a dire un mercato dove una sola azienda può vendere e distribuire l'acqua. Si tratta quindi di un mercato interessante da un punto di vista commerciale che permette agli investitori, pubblici o privati, di ottenere un interessante tasso di rendimento del capitale con un rischio relativamente basso». La privatizzazione del settore della distribuzione dell'acqua, spiega il professore, può diventare una strategia interessante se «il settore deve fare grossi investimenti e il pubblico non ha i soldi» o «la qualità del servizio è scadente e l'azienda è inefficiente». «In ogni caso qualsiasi processo di privatizzazione di questo monopolio deve essere accompagnato dalla creazione di una forte autorità di regolamentazione che garantisca efficienza, qualità ed una rimunerazione del capitale corretta e non di tipo speculativo con profitti elevati». «Visto che gli investimenti sono piuttosto sicuri e possono garantire un tasso d'interesse interessante - conclude Filippini - al posto di aprire ai privati il capitale delle aziende, potrebbe essere interessante aprire il capitale alle casse pensioni comunali o ad altri enti pubblici».

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