Personaggi

Agostino Ramelli, il Leonardo da Vinci di Ponte Tresa

Con lo storico Marino Viganò alla riscoperta di un ingegnere che ebbe enorme fortuna nel Rinascimento
L’esemplare della Biblioteca dei Frati dell’opera più nota di Agostino Ramelli, un volume del 1588, aperto sulla pagina dove si mostra la famosa «ruota dei libri», considerata un’invenzione che preludeva alla nascita del web. © CdT/Zocchetti
Carlo Silini
28.09.2019 06:00

Qualcuno ha definito Agostino Ramelli il Leonardo da Vinci di casa nostra. Un paragone che colpisce a 500 anni dalla morte del genio toscano. Il motivo dell’enfasi attorno a questo ingegnere e matematico rinascimentale finito nel dimenticatoio sta nelle 194 tavole accompagnate da testo in italiano e francese della sua opera più nota, pubblicata a Parigi nel 1588 di cui abbiamo visto recentemente un esemplare alla Biblioteca dei Frati di Lugano: Le diverse et artificiose machine del Capitano Agostino Ramelli Dal Ponte Della Tresia Ingegniero del Christianissimo Re di Francia et di Pollonia: nelle quali si contengono varij et industriosi Movimenti, degni di grandißima speculatione, per cavarne beneficio infinito in ogni sorte d’operatione.

È uno dei testi più famosi del Rinascimento e ha ispirato generazioni di ingegneri. Studiando una pompa contenuta nel libro- spiegava nel 2005 il responsabile del fondo antico della Biblioteca del Politecnico di Losanna Steven Gheyselinck - il padre del motore a pistone Felix Wankel faceva direttamente riferimento al Ramelli a più di tre secoli e mezzo di distanza, nel 1954. Fin dalla prima apparizione, il volume ebbe un tale successo che venne copiato in tutta Europa e, grazie ai gesuiti, perfino in Cina.

Il libro è un compendio di geniali invenzioni, parte delle quali immaginarie. Nel dettaglio: 96 pompe o meccanismi per innalzare l’acqua, 16 macchine per il prosciugamento di stagni, paludi e porti, 21 mulini, 13 ponti per attraversare fossati, 14 congegni per sfondare le difese nemiche, 10 gru, 6 meccanismi per trascinare strutture pesanti, 4 fontane ed infine dispositivi per lanciare palle da cannone e trabocchi. Oltre al progetto che gli diede più lustro, il meno utile: la ruota dei libri, su cui torneremo.

Battelli armati d’artiglieria

Furono soprattutto le macchine belliche a entusiasmare. Un articolo di Popolo e Libertà del 1912 ne esalta il genio militare: «Il capitano Agostino Ramelli di Ponte Tresa ebbe inoltre la geniale idea di costruire battelli armati d’artiglieria, protetti da corazza, che venivano spinti non dai remi, ma da due ruote ai lati mosse da mano». Si parlò di un’anticipazione del carro armato anfibio (vedi foto sopra).

Le macchine del Ramelli sono ingegnose e le illustrazioni del suo libro magnifiche. Ma l’ultima ondata di interesse nei suoi confronti risale a più di un quarto di secolo fa. Nel 1992 il Politecnico di Zurigo gli aveva dedicato una mostra curata da Ottavio Besomi. Di lui si era parlato anche sei anni fa, perché la Biblioteca nazionale svizzera di Berna aveva esposto un’opera dell’artista Veronika Spierenburg ispirata alla ruota dei libri, un meccanismo che permette al lettore di passare da un libro all’altro facendo ruotare la struttura. Qualcuno ha definito quel disegno una profezia del web.

Uccelli di ferro che cantano

Impressionanti anche le invenzioni meno utili. In un numero dell’inserto culturale «La Lettura» del 1940, Raffaele Carrieri commenta un’incisione che mostra una «pianta di ferro con foglie e uccelli di ferro e la fa cantare e muovere tutta con la forza dell’aria compressa (...). A mettere in moto tutte le piante canore e le fontane magiche di Agostino Ramelli, si potrebbe comporre con motivi meccanici movimenti e suoni chissà quale melodramma scientifico con quinte mobili, ascensori paradisiaci, cieli che si aprono e si chiudono e rosai danzanti».

Insomma: un mondo magico, a metà strada tra un manuale sull’arte della guerra, un formidabile prontuario di meccanica e un codice di invenzioni bizzarre di puro intrattenimento per ricchi e ricchissimi signori dei secoli passati. Ne abbiamo parlato con lo storico Marino Viganò.

IL PERSONAGGIO

Nato a Ponte Tresa o a Mesenzana (Lombardia), nel 1531 e morto dopo il 1608 a Parigi, Agostino Ramelli è stato al servizio di Gian Giacomo de’ Medici, marchese di Marignano, che accompagnò nelle sue imprese militari, formandosi nel contempo in filosofia e nelle scienze matematiche.

Nel 1571 si trasferisce in Francia al servizio del duca d’Angiò (dal 1575 re Enrico III), partecipando in qualità di ingegnere militare all’assedio di La Rochelle (1573) e difendendo Parigi assediata da Enrico IV (1590).

Nel 1588 pubblica a Parigi il volume Le diverse et artificiose machine del capitano R., che raccoglie 195 tavole illustrate con le sue invenzioni (pompe idrauliche, mulini, gru, fontane, ponti e macchine da guerra) accompagnate da testi in italiano e francese, una novità per l’epoca. L’opera, un classico dell’ingegneria rinascimentale, influenzò la meccanica europea dei decenni successivi.

MARINO VIGANÒ: «ERA UN CAMPIONE DELL’INGEGNO SPERIMENTALE»

Pochi ricordano l’incredibile fortuna dell’ingegnere «ticinese» Agostino Ramelli che si disse nativo di Ponte Tresa, quasi un Leonardo da Vinci di casa nostra, che i francesi definirono un nuovo Archimede pitagorico. Con l’esperto Marino Viganò (nella foto CdT sopra) ricostruiamo il profilo di questo geniale uomo del Rinascimento.

Marino Viganò, partiamo dalle origini del Ramelli: se il frontespizio di Le diverse et artificiose machine lo dice «dal Ponte della Tresia», il ritratto sulla pagina dopo lo dà «de Masanzana». Come la mettiamo?

«Un’ipotesi si può fare. Allora non c’è ovviamente il ponte-diga di Melide, e Ponte Tresa, unico valico percorribile tra Milanese e Luganese, è nota, accennata in dispacci di governo, di guerra, di agenti diplomatici. Ai francesi è familiare, ci passano le spedizioni di Luigi XII e Francesco I verso le terre milanesi dell’alto Ticino e quelle dei Cantoni elvetici nei territori della Lombardia gallica. Citato tra gli storici coevi da Jean d’Auton, cronista del re di Francia, nelle Chroniques de Louis XII, come ’’pont de la Treze’’ in riferimento all’assedio svizzero di Lugano del 1501, e tra i militari come ’’pont de la Trelhye’’ nei carteggi del generale Louis II de La Trémoïlle nel 1515, è probabilmente per Agostino Ramelli il sito meglio identificabile per far intendere in Francia l’area dov’è nato – ’’Masanzana’’ risulterebbe ignota. Nel precisare però, in seconda battuta, il villaggio di nascita, Mesenzana in Valtravaglia, a sud-ovest di Ponte Tresa, lascia trasparire di essere suddito non ’’svizzero’’, ma ’’castigliano’’, ossia dello stato di Milano, soggetto a Carlo V poi a Filippo II d’Asburgo-Spagna; e inoltre, servendo tuttavia la Francia loro nemica, d’avere compiuto una deliberata scelta di campo».

Chi è in definitiva Ramelli?

«In un’epoca nella quale si predilige e coltiva, pure per trovar impiego, il sapere ’’universale’’ più di quello ’’specialistico’’ e i tragitti professionali sono ancora indifferenziati, Ramelli esemplifica l’ingegno sperimentale, affermatosi da metà XV secolo nei settori più diversi; riuscendo così a porre al servizio dei committenti, per inclinazione e mestiere, molteplici competenze, secondo le necessità e – perché no? – un proprio tornaconto. Redigendo quattro testi teoretici, uno dei quali pubblicato, Ramelli s’inserisce, ancora, nella corrente, fiorita proprio a metà XVI secolo, e presto consolidatasi, dei trattatisti impegnati a trasmettere cognizioni teoriche ed esperienze pratiche soprattutto nel settore militare».

Come spiega la fortuna professionale e personale del Ramelli?

«Signorìe e corti necessitano di tecnici abili, che si contendono. Gli ingegneri, nel senso più lato del termine, sono rari, i più rinomati peregrinano preceduti dalla celebrità da uno stato all’altro, anche per far carriera, dai signori periferici ai grandi sovrani. Passando in modo disinvolto non di rado ai nemici di ieri, oggi o domani. Sotto questo profilo, il tragitto del Ramelli si attesta in realtà coerente in alveo filofrancese. S’aggiunga infine che gli esperti di ’’nazione italiana’’ sono circondati da fama immensa di artefici della fortificazione bastionata e dell’artiglieria d’assedio: a decine sono attirati allora pure nei paesi più esotici, come Rocco Guerrini in Brandenburgo e Sassonia, Jacopo Aconcio in Inghilterra e Scozia, Ottavio Baldigara in Ungheria, solo per fare tre nomi. Ramelli non fa eccezione, ma conferma, anzi, una tendenza che vedrà la ’’supremazia italiana’’ nel ramo sin a fine XVII secolo».

Come collocarlo tra gli ingegneri «ticinesi»?

«Di fatto non è ’’ticinese’’ ma varesino, ma ciò è ininfluente: ’’confini’’ allora non ne esistono, il Ticino stesso è definito ambiguamente con baliaggi o prefetture italiane della Confederazione, o Lombardia svizzera, e per quelle genti in effetti conta ben più l’appartenenza tradizionale alle diocesi di Milano e Como, una comunanza svincolata dalla divisione giurisdizionale. Quanto ai magistri di ’’nazione italiana’’, vanno tutti sotto tale definizione, indistinti per provenienza. Per dire, l’Aconcio, suddito del principato vescovile imperiale di Trento, non resta meno ’’italiano’’ dei ’’ticinesi’’ Pietro Morettini di Cerentino, Domenico Pelli di Aranno e Domenico Trezzini di Astano. I documenti contraddicono del resto pure la definizione fattizia ’’Ticino terra d’artisti’’, già smentita nei fatti – trattasi al 99% di buoni artigiani, non di artisti degni di tale impegnativa qualifica –, e semmai riferibile a un’unica regione alto-lombarda, occasionalmente spartita dalle circostanze politiche tra due diversi ’’stati’’».

Quali i caratteri dell’opera del Ramelli?

«Nella dedica a Enrico III di Le diverse et artificiose machine (1588), rievoca di avere partecipato alle imprese di Parma (1551-’52), Metz (1553), Siena (1554), Port’Ercole (1555), Torino (1559-’65), La Rochelle (1572), esaltando la formazione acquisita in guerra; e impiegata – lascia supporre il testo, dove s’ingegna a illustrare macchinari di sua ideazione, specie per l’assedio – nel mettere a punto ordigni efficaci per colpire il nemico, in coerenza con le esigenze belliche del tempo. Come altri manuali del genere, si può considerarlo dunque uno strumento inteso a segnalarsi, a procacciarsi un patrocinio di rango, nel caso addirittura dal sovrano, viatico per avere incarichi dalla corte, sbaragliando la concorrenza».

Carro armato anfibio, ruota dei libri, fontane, piante canore: tutte creazioni originali e, ma quanto applicabili nella realtà?

«Ramelli è erede, a sua volta, di una filiera che già conta, tanto per elencare, Mariano di Jacopo il ’’Taccola’’ (Siena 1381 - Siena 1458), Francesco di Giorgio Martini (Siena 1439 – San Giorgio a Papaiano 1501) e Leonardo da Vinci (Anchiano 1452 - Amboise 1519). Inscindibili, in loro, lo studio di scritti d’antecessori, l’esperienza, l’inventiva. E se il da Vinci sembra prevalere lo si deve alla massa d’annotazioni, alla varietà d’interessi. Quanto alla fattibilità dei marchingegni, a Ramelli si accredita di avere realizzato nel 1586, e proprio su progetti di Leonardo reperiti a La Rochelle, fontane con giochi d’acqua per la villa Borromeo Arese a Lainate, quasi in continuità e dimostrando l’effettiva sua perizia. Del resto nel 1565-’69, e la nomea sta girando per l’intero continente, il fabbro Giannello Torresani (Cremona 1500 - Toledo 1585) ha eretto l’Ingenio de agua o Artificio de Juanelo, sistema d’ingranaggi, pulegge, cucchiare per sollevare l’acqua del Tago per 70 metri, sin all’Alcázar di Toledo. L’eco della celebrità ottenuta deve aver sollecitato molti contemporanei a tentare di emularlo. Non per nulla, il gesuita Famiano Strada (Roma 1572 – Roma 1649) lo definisce ’’Juanelo Turriano Archimedes de aquel tiempo’’, esattamente come il Ramelli viene qualificato decenni prima».

Nella presentazione dell’opera più nota, Ramelli lamenta il furto d’un manoscritto di ritrovati bellici: cos’è accaduto?

«Il nostro, risulta dalla dedicatoria delle Diverse et artificiose machine, stila un trattato d’architettura militare, la specializzazione più remunerativa in termini di successo e di affermazione. Ma, così lamenta, ne è derubato da servitori infedeli. A buon motivo se n’è imputato Ambroise Bachot, suo assistente da sempre, non per caso autore di Le Timon, ’’traicté fort utille des fortifications, machines de guerre et aultres particullarités inventés par l’auteur’’ (1587). Un plagio, insomma, affatto differente dai molti del tempo, ignoto essendo il diritto d’autore. Si pensi alle diatribe di Niccolò Tartaglia con Gerolamo Cardano».

Si conosce un altro lavoro manoscritto del Ramelli, La fabrica et l’uso del triangolo: cioè?

«Oltre a Le diverse et artificiose machine e al trattato ’’scippato’’ di fortificazione, se ne registrano per la verità due altri inediti. Nella biblioteca del duca di Devonshire è La fabrica et l’uso del triangolo, del capitan’ Agostino Ramelli dove si trattano varie & molto belle operationi appartene[n]ti ad ogni persona vertuosa & massime a ciascuno che faccia professione dell’arte militare, come si vedrà nella seguente pagina, un trattato di geometria per cartografi e architetti militari. Presso la Biblioteca nazionale di Torino è inventariato, sino all’incendio del 1904, l’opusculum rotis numericis constans ad inuenienda festa mobilia, Epactam, aureum numerum, indictionem, etc., per Augustinum Ramellum (olim Codex CDVIII, i. II, 35), sorta di ’’calendario perpetuo’’, per calcolare i dati variabili dell’anno. Forse in vista, o coincidenza, della riforma del calendario promossa da papa Gregorio XIII nel 1572, avviata nel 1579, introdotta nel 1582».

LUCIANA PEDROIA: «UN VOLUME DA SFOGLIARE A MANI NUDE»

In Ticino ci sono due esemplari de Le diverse et artificiose machine del Ramelli, uno alla Biblioteca cantonale di Lugano e l’altra alla Biblioteca Salita dei Frati. Siamo andati a vedere questo secondo esemplare, anche perché reduce da un recente restauro che ci siamo fatti raccontare dalla bibliotecaria della Biblioteca Salita dei Frati, Luciana Pedroia (nella foto Zocchetti sopra).

«L’esemplare in nostro possesso fa parte del fondo antico. Non l’abbiamo quindi acquistato in antiquariato, perciò probabilmente è qui dagli inizi della Biblioteca del convento dei cappuccini che originariamente si trovava nel convento a Sorengo e poi è stata spostata qui nel 1653. Non è possibile risalire al momento in cui è entrato a far parte della Biblioteca dei Frati perché non ha delle note di possesso leggibili. L’unica che abbiamo trovato è molto slavata. Ignoriamo anche come mai un libro di questo genere sia entrato in una biblioteca religiosa».

L’iniziativa del restauro è nata dopo che, qualche anno fa, l’artista Veronika Spierenburg si era cimentata nella costruzione di una scultura, la macchina dei libri, ispirata a una delle tavole del Ramelli. «Allora abbiamo guardato con cura l’esemplare in nostro possesso. Va detto che noi non possiamo restaurare tutti i libri rovinati, e non solo per motivi economici. A volte, infatti, anche gli interventi più filologici rovinano la sostanza storica del libro. Facciamo restauro soprattutto nei casi in cui libro debba essere successivamente manipolato, come in questo caso. Se si intende mostrare il volume in una visita guidata o esporlo, il libro si sfascia o si danneggia».

E quindi è partito il restauro. Con qualche sorpresa: «Sì, la restauratrice – Roberta Cozzi - ha trovato sul dorso del libro dei frammenti di pagine più antiche usati come rinforzo. Ma non sono leggibili. Tuttavia, togliendoli, lavandoli e assemblandoli con altri frammenti trovati altrove magari si riuscirà a risalire alla fonte originale. Qui, per esempio, c’è il testo di un salmo in latino. Anche se questo non è l’autografo di Dante, sono scoperte interessanti perché, soprattutto nelle rilegature dei testi di fine Cinquecento, si trovano frammenti di pagine di testi che si dovevano eliminare. Non necessariamente libri proibiti, magari solo obsoleti perché erano uscite a stampa nuove edizioni dei libri ed erano quelle da usare».

Il restauro di un libro come quello del Ramelli è molto lungo. «In tanti casi Roberta Cozzi ha dovuto anche lavare le pagine, e quindi i costi del restauro sono molto alti. Parliamo di alcune migliaia di franchi. Questo è un documento straordinario e quindi è stato giusto intervenire».

Una cosa ci colpisce, mentre parliamo con Luciana Pedroia: contrariamente a ciò che pensavamo stiamo girando le pagine a mani nude, senza indossare guanti. «C’è una vecchia discussione in merito. Molti pensano che per sfogliare testi antichi si debbano indossare i guanti. Ma non è affatto vero. Perfino la British Library ha messo online un tutorial per spiegare come trattarli. Tra le altre cose dice no ai guanti per i libri cartacei. Se devi toccare una pergamena va bene che indossi i guanti, perché c’è il rischio di rovinare il foglio. Ma se sfogliamo un libro come abbiamo fatto noi ora, è facilissimo romperlo se si indossano guanti di lattice perché la carta è molto più fragile della pergamena. Perciò la regola è: niente guanti ma usate le mani pulite».