Al via il vertice Russia-Cina, Putin nelle mani di Xi Jinping
Per il suo primo viaggio all’estero da quando ha ottenuto il quinto mandato presidenziale, Vladimir Putin ha scelto Pechino. Nella capitale cinese lo «zar» incontra oggi Xi Jinping con l’obiettivo dichiarato di «rafforzare i legami tra i due Paesi» e di affermare il nuovo «ordine multipolare», sconfiggendo «l’Occidente globale guidato dagli Stati Uniti».
Putin e Xi si incontrano per la 42.esima volta, un unicum probabilmente nella storia dei rapporti tra leader. Il «livello senza precedenti di partenariato strategico» tra i due Paesi giustifica sicuramente la scelta del capo del Cremlino. Il quale è di fronte a una strada stretta e senza uscita. L’importanza della Cina per la Russia è cresciuta, infatti, in modo esponenziale dall’invasione dell’Ucraina, nel febbraio 2022: come acquirente di energia russa; come fonte di componenti che possono essere utilizzati nella produzione militare; e come partner diplomatico, dato che Pechino assicura un tacito sostegno a una guerra politicamente e moralmente insostenibile.
Secondo Alexander Gabuev, analista di Russia e Cina del Carnegie Russia Eurasia Center - think tank berlinese affiliato al Carnegie Endowment for International Peace di Washington, uno dei più antichi e importanti centri studi sugli affari internazionali - Mosca soppesa ormai tutti i suoi legami esteri sulla base della guerra e del beneficio che questi legami possono apportare alla sua posizione sempre più ostile nei confronti dell’Occidente. «La guerra - ha scritto Gabuev su X - è diventata il principio organizzativo della politica estera di Putin, il quale valuta ogni relazione attraverso la lente di tre considerazioni: se può aiutare sul campo di battaglia in Ucraina; se può aiutare a sostenere l’economia russa e aggirare le sanzioni; se può aiutare Mosca a respingere l’Occidente e punire gli Stati Uniti e i suoi alleati per aver sostenuto Kiev». Sin qui, la Cina ha soddisfatto tutte queste condizioni. La domanda è: continuerà a farlo?
I dati economici
Alla vigilia dell’ennesimo vertice, gli analisti avanzano molti dubbi. Se i numeri mostrano in tutta evidenza che l’interscambio economico Cina-Russia è salito per effetto dell’isolamento occidentale di Mosca, arrivando a 240 miliardi di dollari, è altrettanto vero che negli ultimi mesi Pechino ha dato un colpo di freno molto brusco negli affari con i russi: rispetto allo stesso periodo del 2023, l’export cinese è infatti calato del 15% a marzo e del 13,5% ad aprile.
Le minacce di «sanzioni secondarie» partite dalla Casa Bianca alla volta della Città proibita sono state prese sul serio. Anche perché, i conti sono presto fatti: l’export cinese verso gli USA vale 427 miliardi di dollari e quello verso l’Unione Europea 550 miliardi di dollari. Xi non può assolutamente bruciarsi il mercato occidentale. Almeno fino a quando la nuova «rivoluzione tecnologica» pianificata dal politburo del Partito Comunista non sarà del tutto completata.
«La verità - ha scritto sempre Gabuev in un lungo commento pubblicato ieri sull’edizione cartacea del New York Times - è che dopo due anni di guerra in Ucraina e dolorose sanzioni occidentali, non è solo Putin ad aver bisogno della Cina, ma anche la Russia. La Cina è emersa come il partner più importante di Mosca, fornendo un’àncora di salvezza non solo per la macchina da guerra di Putin, ma anche per l’intera economia in difficoltà. Nel 2023, il commercio della Russia con la Cina è aumentato di oltre il 60% rispetto ai livelli prebellici: la Cina ha rappresentato il 30% delle esportazioni russe e quasi il 40% delle sue importazioni. Prima della guerra, il commercio della Russia con l’UE era il doppio di quello con la Cina; ora è meno della metà. Lo yuan cinese, non il dollaro o l’euro, è ora la valuta principale utilizzata per il commercio tra i due Paesi, rendendolo la valuta più scambiata sulla Borsa di Mosca e lo strumento di riferimento per il risparmio».
Questa «dipendenza economica», spiega ancora Gabuev, «si sta infiltrando nella vita di tutti i giorni. I prodotti cinesi sono onnipresenti e oltre la metà del milione di auto vendute in Russia lo scorso anno è stata prodotta in Cina. Significativamente, i primi sei marchi automobilistici stranieri in Russia sono ora tutti cinesi, grazie all’esodo delle aziende occidentali un tempo dominanti. Lo stesso accade nel mercato degli smartphone, dove le cinesi Xiaomi e Tecno hanno surclassato Apple e Samsung; e con gli elettrodomestici e molti altri oggetti di uso quotidiano».
La carta politica
Di fronte a un Putin senza via d’uscita, costretto a legarsi sempre di più a Pechino, è molto probabile che oggi si palesi uno Xi prudente e interessato soprattutto a una fine accelerata del conflitto ucraino.
«La Cina vede la Russia come un importante partner strategico e vuole dare a Putin il giusto rispetto, ma vuole anche mantenere solide relazioni con l’Europa e gli Stati Uniti per ragioni economiche e non solo. È un atto di equilibrio molto difficile», ha detto all’Associated Press Shen Dingli, preside associato dell’Istituto di studi internazionali dell’Università Fudan di Shangai e voce “accademica” del Partito Comunista cinese.
Anche per questo, probabilmente, il Cremlino punta tutto sulla carta politica. Parlando martedì scorso alla Camera alta del Parlamento russo, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha detto che Mosca e Pechino sono «obiettivamente interessate a mantenere la loro leadership negli sforzi per stabilire un ordine mondiale più equo e democratico, per riformare il sistema internazionale e per contribuire a stabilire un ordine globale multipolare. Insieme, Cina e Russia svolgono un ruolo decisivo di equilibrio negli affari globali». Ma Xi, come sempre hanno fatto i cinesi, gioca al rallentatore per prendere tempo. Il tempo che Putin non ha.