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«All eyes on Rafah», l'appello globale che rimbalza su Instagram

L'immagine diventata virale, condivisa da oltre 34 milioni di utenti (in crescita), è stata lanciata da un «Photographer, YouTuber, Vlogger» malesiano
© Instagram
Jenny Covelli
29.05.2024 09:01

«All eyes on Rafah». Poche parole, un chiaro messaggio: occhi aperti su Rafah. Chiunque apra Instagram si imbatterà in stories con la stessa identica immagine: una ricostruzione digitale (probabilmente generata con l'AI) del campo profughi nella città di Rafah, visto dall'alto. «All eyes on Rafah» è un invito agli utenti a farsi testimoni di ciò che sta accadendo, a non distogliere lo sguardo e l'attenzione.

In poche ore da quando è stata lanciata, l'immagine è diventata virale, ricondivisa da oltre 34 milioni di utenti. Un numero destinato a crescere. La funzione che ha permesso tutto questo è l'adesivo «Tocca a te», pensato proprio per le catene social. Dato il tema, l'utente può inserire nel trend una foto o condividere la stessa immagine pubblicata da altri. A sinistra del pulsante «Tocca a te» c'è la sezione delle persone che hanno partecipato alla catena.

Da dove è partita la storia ormai virale

Chi ha pubblicato per primo la storia su Instagram? L'utente che ha lanciato l'immagine virale «All eyes on Rafah» si chiama shahv4012 (@chaa.my_). Un ragazzo che si presenta come Photographer, YouTuber, Vlogger. «Il mondo della fotografia è molto divertente se ci si avventura in esso – si legge nella bio sul suo sito –, si possono creare ricordi e conservarli nella memoria, ma si può anche creare una storia in se stessi». L'indirizzo riportato nella Home è in Malesia.

© Instagram
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Lo slogan «All eyes on Rafah» è stato usato molto negli ultimi mesi per condannare gli attacchi dell'esercito israeliano su Gaza seguiti all'attentato di Hamas del 7 ottobre 2023. Campeggia anche sugli striscioni delle proteste universitarie, oltre che sui social, nella richiesta di un cessate il fuoco nella Striscia. Ma ha preso vigore dopo il raid della notte tra domenica e lunedì. Le cui conseguenze – almeno 45 morti, tra cui molti bambini «bruciati vivi nelle tendopoli» – sono state causate, secondo l'esercito israeliano, da «munizioni o qualche altra sostanza combustibile» che avrebbero portato a «un'esplosione secondaria e un incendio» nel complesso dell'area di a-Sultan, lontana un chilometro dall'area umanitaria di Rafah.

Un enorme successo

Il dottor Rick Peeperkorn, rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nei Territori Palestinesi Occupati, aveva usato l'espressione «All eyes on Rafah» già nello scorso febbraio, in vista della temuta offensiva su larga scala a Rafah. Organizzazioni e gruppi di pressione hanno poi ripetuto lo slogan, che è stato utilizzato come grido di battaglia durante le proteste. E, ora, è diventato virale sui social network, spinto anche da moltissime celebrità. 

Un successo per nulla scontato, soprattutto se si pensa alle ripetute accuse mosse nei mesi a Meta in merito alle politiche di rimozione dei contenuti su Facebook e Instagram. Alla fine del 2023 era stata la ONG Human Rights Watch (HRW) a denunciare come numerosi post a sostegno del popolo palestinese venissero censurati a causa delle politiche e dei sistemi di moderazione dei contenuti. HRW aveva documentato la rimozione dei post in un rapporto di 51 pagine dal titolo Meta’s Broken Promises: Systemic Censorship of Palestine Content on Instagram and Facebook. In centinaia di casi documentati, Meta aveva fatto appello alla sua politica che proibisce la pubblicazione di «contenuti che esprimono supporto per organizzazioni pericolose», ossia quelle che gli Stati Uniti designano come «organizzazioni terroristiche». Ma per Human Rights Watch, Facebook e Instagram avrebbero applicato in modo radicale questa restrizione, limitando un discorso «legittimo» sulle ostilità tra i gruppi armati israeliani e palestinesi: «I social media sono piattaforme essenziali per le testimonianze delle persone e per le denunce di abusi, ma la censura di Meta sta eliminando le sofferenze dei palestinesi».

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