Alla ricerca di un posto speciale (pensando a Ketty)

Una notte di febbraio, appena qualche mese fa, Ketty è salita con il suo ragazzo, Ermal, e alcuni amici su una Polo bianca guidata da un 20enne senza sapere che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio. No, non poteva immaginare – lei che era la prudenza in persona – che il veicolo si sarebbe schiantato contro un pilone di cemento e che la sua vita si sarebbe conclusa in quel modo.
Forse però lo intuiva: nelle settimane precedenti qualcosa in lei era cambiato, ci spiegano le sorelle – Sandra, Jessica e Karol – che incontriamo nella casa di Sandra a Comano (manca solo Elena che non ha potuto venire). Era più cupa «mentre di solito era molto lucente». Nei quadri che dipingeva per hobby, ricordano, c’era come un sentore di quanto sarebbe successo, un velo di tristezza e al contempo un messaggio di speranza.
Teste e fiori di loto
Me ne mostrano alcuni: quasi tutti rappresentano teste da cui spuntano fiori di loto. La lettura, mi spiegano, «era di tipo spirituale: i sette chakra (i centri energetici del nostro corpo, ndr), l’induismo...» Il suo ultimo quadro, completato la sera stessa dell’incidente, mostra un nudo femminile seduto, su sfondo grigio, senza testa».
«Hai paura della morte?»
«Per un paio di settimane proprio a ridosso dell’incidente – ricorda Karol – Ketty mi parlava di continuo delle persone che conosceva. Mi raccontava le loro storie, non so perché. Ci vedevamo tutti i giorni. Due giorni prima che morisse ho cucinato per lei, a pranzo. Ricordo che si è avvicinata e mi ha chiesto: “Hai paura della morte?”. Come sorella più grande le ho detto di no. Mi ha risposto che lei aveva solo paura di soffrire. Quando ci hanno detto che era morta sul colpo mi sono sentita meglio».


Ketty aveva solo 17 anni, ma il tratto dei suoi dipinti era sicurissimo. Voleva fare la poliziotta, praticava thai boxe, ma, soprattutto negli ultimi giorni, aveva urgenza di dipingere, di mettere su tela il suo mondo interiore, di farlo diventare arte.
Forse è anche per questo che le sorelle (Sandra, Jessica, Karol ed Elena) e il fidanzato (Ermal) hanno deciso di trasformare una tragedia famigliare in un progetto sociale rivolto ai giovani che come Ketty, nei tempi acuti della pandemia, cercavano un posto speciale che prima non c’era e presto, grazie alla loro iniziativa, potrebbe diventare realtà. Ma andiamo con ordine.
Per cominciare, spiegano Sandra Jessica e Karol, «Ketty non era lì a fare una gara. Dopo l’incidente abbiamo letto le chat sul suo telefono. Volevamo capire. Le avevano scritto che era un giro, che vuol dire tutto e niente. “Andiamo a fare un giro a Grancia” significa tante cose. Non c’era specificato nulla. Possiamo testimoniare che lei soffriva di nausea in macchina. Era molto cauta, se guidavi togliendo una mano dal volante te la rimetteva su...».

Doveva essere un tipo particolare la Ketty. «Vero», spiega Jessica. «Aveva una maturità e un’empatia che noi acquisiamo più in là con l’età. Era molto riflessiva. Per esempio stava molto bene col suo corpo, non seguiva i trend dominanti. Era autoironica. Le piaceva com’era fatta e per una ragazza di quell’età non è un fatto scontato. Aveva una grande consapevolezza di sé. Il giorno del suo funerale le ho scritto una lettera dicendole che questa è una delle lezioni che terrò più a mente. Perché il medesimo rispetto che aveva per se stessa lo applicava agli altri. Allo stesso tempo era bambina, super giocosa, scherzava sempre. Un mix bellissimo».


Uno stile tutto suo
«Ogni tanto – qui è Sandra a parlare – facevamo sparring in camera coi miei bambini, giusto per farsi due risate. Ma se la toccavi si incavolava. Era molto forte. A lei piaceva fare qualcosa che controllava anche sul piano fisico. Lei esplodeva in gruppo, tutti le volevano bene. Aveva una sua personalità nel vestire, le piacevano gli anni Settanta, con la fascetta, i pantaloni larghi, l’unghia nera, ma non mancava mai il dettaglio moderno...».
Aiutava sempre tutti, aggiunge Karol. «Infatti, voleva fare la poliziotta e voleva andare a militare. Le avevano detto che rischiava di essere discriminata come donna in quell’ambiente, ma a lei non interessava. Voleva seguire il suo sogno. Ma aveva anche un forte côté artistico. Disegnava parecchio. Le piaceva il teatro. Era molto aperta».
Il lato giusto delle cose
Aperta e bene integrata, commenta Jessica, «perché eravamo una famiglia di immigrati portoghesi» e Ketty è sempre stata molto orgogliosa delle proprie origini, «lo si vedeva anche quando giocava il Portogallo». Insomma, «è sempre riuscita a prendere il lato giusto della cosa. Tutto questo si traduceva anche in un atteggiamento non razzista, per lei siamo tutti uguali».
Pur essendo molto giovane, su di lei si poteva sempre fare affidamento, osserva Sandra. «Potevo fidarmi ciecamente di lei per accudire i miei bambini, per esempio: cambiava il pannolino, dava loro da mangiare... Anche in una situazione di pericolo sapevi che avrebbe sempre preso la decisione migliore. È anche per quello siamo così scioccate dal suo incidente. Ha trascorso una vita a prendere sempre le decisioni giuste...».


Un angolo tranquillo
Insomma, quell’impatto è stato il modo meno prevedibile di andarsene per Ketty. Nasce anche da questa constatazione l’idea che nei mesi della pandemia è successo qualcosa che è andato al di là del suo caso personale, qualcosa di grosso e di sbagliato che ha toccato tutti i ragazzi.
«Qualche tempo fa – spiegano per chiarire meglio il concetto – eravamo al cimitero con nostra madre e sono arrivate due ragazzine che quella sera erano là. Si trovavano a Grancia così come noi a quattordici anni ci trovavamo sotto la Cooperativa a Molino Nuovo perché non avevamo un posto dove andare. C’era la tettoia, nessuno ti disturbava, stavi lì sdraiato con un paio di amici, magari portavi una piccola radio... La stessa cosa facevano loro, solo in una dimensione molto più grande perché col coronavirus i ragazzi si sono ritrovati tutti nella stessa situazione e avevano bisogno di un posto per loro. Un posto grande, libero, per ritrovarsi a parlare o a bere una Coca... Poi sì, qualcuno saltava in auto e correva, ma sostanzialmente quello che cercavano lì a Grancia era un angolo tutto per loro...».
Un vuoto da colmare
Esistono a Lugano posti simili? La domanda è scottante nell’anno delle polemiche attorno alla distruzione dell’ex Macello, comunque un luogo di aggregazione giovanile, e dei raduni sfuggiti di mano alla Foce... Per le sorelle di Ketty la risposta è un chiaro «no, non esistono». Loro, però, un’idea per colmare questo vuoto ce l’hanno. E l’ispirazione – come stupirsene? – viene indirettamente da lei, l’amatissima Ketty.

IL PROGETTO SI CHIAMERÀ «LA FOLLA»
Uno degli ultimi disegni di Ketty si intitola «La folla» ed è pieno di faccine. È stato scelto per il logo (e il nome) del progetto che nasce, in realtà, da un discorso che la ragazza aveva fatto qualche tempo prima di morire: «Ketty diceva che a Lugano ci sarebbe voluto un luogo agrodolce. Proprio così: ‘agrodolce’, un posto dove divertirsi, ma anche dove poter piangere con qualcuno che ti comprende».
Ci risiamo: il luogo che manca. «Nei mesi scorsi siamo uscite a vedere la situazione a Lugano, per esempio al Parco Ciani. Ci ha portato Ermal, il suo ragazzo» spiega Jessica. «Lo spazio destinato ai bambini mi ha stupita. Due ragazzi hanno cominciato a picchiarsi. Ma a noi risulta che succeda due-tre volte la settimana. C’è chi è sullo scivolo e lancia una bottiglia senza sapere chi colpirà. Volano scarpe... Siamo stufe di vedere i giovani abbandonati a loro stessi».
Non siamo vecchiette
E quindi?, chiediamo. «Quello che noi sappiamo è che i ragazzi sono molto social. Se sei figo, se sei social, ti seguono. È su quello che vogliamo concentrarci. Lo facciamo perché non siamo un gruppo di vecchiette. Noi vogliamo creare “la folla”. Perché nessuno pagherà quello che deve pagare per quanto è successo. E se anche fosse, nessuno potrebbe portare indietro le lancette del tempo ed evitare quello che è accaduto».
È un progetto nel quale le ragazze si sono buttate anima e corpo. «Siamo giovani, abbiamo esperienze internazionali (Jessica ha vissuto a Berlino, a Istanbul, a Parigi) e in quelle città c’è tutto. Vorremmo proporre qualcosa che a Lugano e in Ticino oggi non esiste. Siamo agguerrite e ne verremo a capo anche se per il momento non abbiamo una sede».

C’è già, però, una sede virtuale, la pagina Instagram #lafollabyketty (e il sito lafolla.ch). «Io ho studiato moda – è sempre Jessica a parlare – e faremo delle maglie. Prenderemo gente social e cool, abbiamo contatti con una tiktoker che ha 100 mila followers, è interessata al progetto e lo vuole aiutare. Vorremmo che la folla segua. Inizieremo con un podcast a IGTV su Instagram. Ci hanno chiesto di iniziare a parlare di problemi giovanili. Il mio ragazzo metterà a disposizione un locale con due divanetti, un neon con un logo. Ci sediamo lì e ogni settimana faremo una puntata su IGTV che poi posteremo su Youtube. Ognuno farà ciò che vuole. Abbiamo ragazzi che fanno musica e sono molto bravi (30 mila visualizzazioni per una canzone, uno è portoghese, l’atro albanese). Immagino le domande: parlatemi di come siete cresciuti, di cosa vi piace. Poi c’è una ballerina, una ginnasta, profili che interessano a tutti. Il target è preciso, sono i giovani. Vorremmo proporre loro quel mondo in cui hanno voglia di esserci e di creare. A quell’età hai voglia di esprimerti, di dire la tua. Di raccontare i trend su Instagram, di prendere una foto e commentarla. Vogliamo parlare la loro lingua, se no non funziona».
Go boy!
La sede virtuale già nelle prime settimane ha raccolto 1500 followers. Tra gli ultimi post ci sono anche quelli di un ragazzo che era in auto con Ketty la sera della disgrazia ed è stato operato a inizio estate. «Luan siamo con te – si legge –, tornerai più forte di prima, GO BOY, YOU CAN DO IT».
Tornando al futuro e auspicato luogo fisico, le sorelle immaginano «sala, living room, eating space, posti aperti fino a mezzanotte, venerdì e sabato discoteca integrata fino all’una di notte. Uno studio di registrazione. L’idea è di avere dei giovani responsabili di altri giovani. E piace. Ci hanno scritto dei graffitari: “Dateci un muro”, dicono. Ogni mese lo ridipingono di bianco e fanno un nuovo graffito, poi fanno le foto e le postano. Immaginiamo anche un gym space: Ketty faceva arti marziali e abbiamo visto che quando i ragazzi aggressivi le praticano diventano molto più rispettosi. Vorremmo iniziare con la Folla podcast, la Folla YouTube, la Folla musica eccetera... Noi siamo pronte». Lo sarà anche Lugano?
