Società

Anziani dimenticati: «Una solitudine che ferisce le coscienze»

La 70.enne di Como ritrovata morta nella sua villetta dopo oltre due anni ha fatto parecchio discutere, un drammatico caso di «solitudine dimenticata» come l’ha definita la ministra italiana della Famiglia e delle pari opportunità – Ma quanti sono questi episodi? E come fare per prevenirli? – Ne abbiamo parlato con il sociologo Sandro Cattacin e con la responsabile di Pro Senectute Laura Tarchini
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Irene Solari
10.02.2022 23:13

Non aveva parenti Marinella Beretta, la donna di 70 anni ritrovata morta in casa dopo oltre due anni. Nessuno si era preoccupato più di tanto nel non vederla più dall’ormai lontano 2019. Anche se le fatture e i giornali si accumulavano dentro e sopra la bucalettere. I vicini pensavano si fosse trasferita, che avesse cambiato casa a seguito della pandemia. E invece Marinella era sempre rimasta lì, nella sua villetta. L’hanno ritrovata, quasi per caso, per via del forte vento che ha colpito la Lombardia negli scorsi giorni. Le folate avevano reso pericolanti alcuni rami del giardino della villetta dell’anziana e si era reso necessario l’intervento dei pompieri.

Tra i tanti messaggi di cordoglio e di stupore di fronte a questa assurda vicenda, è arrivata anche la dichiarazione della ministra per la Famiglia e le pari opportunità Elena Bonetti, che ha parlato di «solitudine dimenticata che ferisce le coscienze» e ha esortato tutti a tornare a curare i legami personali: «Abbiamo bisogno di non limitare gli orizzonti al privato e di tornare a curare i legami tra noi. Curarsi gli uni degli altri è l’esperienza delle famiglie, delle istituzioni, del nostro essere cittadini: nessuno deve restare solo».

Ma quanto è grave e diffuso tra gli anziani il problema della “solitudine dimenticata” – per riprendere le parole della ministra Bonetti – e quali sono i mezzi per evitare il verificarsi di simili tragedie? Si tratta di un triste effetto della società che si evolve? Abbiamo cercato una risposta con Sandro Cattacin, Professore di sociologia all’Università di Ginevra e con Laura Tarchini, responsabile Comunicazione e Marketing di Pro Senectute. Con Cattacin abbiamo affrontato il tema attraverso un’analisi sociologica sui legami personali all’interno della società. Mentre con Tarchini abbiamo approfondito la situazione e le sfide dell’assistenza degli anziani soli.

Solitudine e isolamento

La prima domanda che sorge spontanea è come faccia una persona a scomparire per più di due anni senza che nessuno si sia allarmato. Complice, di certo, la pandemia: la signora è probabilmente deceduta nel 2019 e il lungo periodo di lockdown ha contribuito ad «allontanare» le persone, anche i vicini di casa. Vicini che infatti erano convinti che la donna si fosse trasferita a causa della pandemia. Tarchini ci risponde così: «Si tratta di persone che si abituano alla solitudine e che riescono a “vivere” o sopravvivere senza alcun legame sociale e, molto spesso, chiusi dentro casa. È un problema reale che affrontiamo cercando di essere presenti in modo capillare sul territorio con determinati servizi, proposte e attività. In particolare prestando attenzione a tutte le situazioni che coinvolgono una persona fragile e sola e mantenendo il contatto, cercando di farla uscire di casa e di invogliarla a frequentare altre persone. Se notiamo che una di queste persone non ci risponde, allora si interviene». E, riguardo all’appello della ministra Bonetti, la responsabile di Pro Senectute si dice d’accordo: «Sono parole estremamente corrette. Questo genere di “solitudine dimenticata” è una sconfitta per la società e deve trovare risposta in una maggior solidarietà tra le persone, a partire dal quartiere. Se ognuno curasse maggiormente le relazioni con il proprio vicino di casa, con un minimo di interesse verso il prossimo, probabilmente si potrebbero evitare situazioni del genere. Sappiamo che nei centri urbani vi è sempre più individualismo, ma è proprio in questo contesto che occorre cercare di riattivare determinati legami andati persi».

Un inesorabile movimento nel futuro

E proprio riguardo alla società sempre più urbanizzata e individualista, interviene la sociologia a tracciare un quadro della situazione. Se da un lato, infatti, ci sentiamo ormai una realtà iper connessa e social, dall’altro lato questa socialità risulta molto spesso esistere solo nell’apparenza illusoria del mondo virtuale. Capita sempre più di frequente di non sapere nemmeno che faccia abbia il nostro vicino di casa o il nostro dirimpettaio. E la cosa non disturba nemmeno più di tanto. Secondo Cattacin si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso e normale, figlio della nostra società moderna e della vita in città. Le amicizie e i rapporti sociali, ci spiega, non sono più come una volta, quando erano estremamente localizzati intorno alla «grande famiglia» che esercitava una sorta di controllo sociale e dove si teneva il contatto anche con il cittadino isolato. Si sapeva esattamente dove era la persona e come stava. «Oggi incontriamo invece il fenomeno della mobilità: tendiamo a staccarci dalla grande famiglia». E questo comporta diverse implicazioni sociologiche: «Le famiglie sono più piccole e tendenzialmente siamo sempre più isolati. Ciò significa che un numero maggiore di persone invecchia senza avere attorno dei parenti. Ma si tratta di un’evoluzione della società che si muove verso il futuro» spiega Cattacin. Oggi, soprattutto nelle realtà urbane e in contesti di continuo movimento è difficile fare conoscenza o – ancora “peggio” – amicizia con un vicino: «In primo luogo, spesso le persone non sanno per quanto tempo si tratterranno in quella città o in quell’appartamento, passano le giornate fuori per lavoro e, in secondo luogo, si pensa che lasciando in pace il proprio vicino si faccia del bene, non è qualcosa di mal visto lasciare tranquilla la gente. La nostra vita esiste anche in un posto dove non conosciamo nessuno».

L’ibridità è quel concetto sociologico che ci permette di vivere in un luogo ma di trovarci con la testa in un altro, sono i rapporti che riusciamo a tenere vivi a distanza grazie alla tecnologia

Un altro aspetto molto importante, sottolinea Cattacin è quello dell’ibridità: «È il fatto di vivere in un luogo ed essere con la testa e le amicizie in un altro. Questo è un meccanismo tipico dei nostri giorni perché possiamo tenere i contatti nel mondo virtuale in modo estremamente facilitato rispetto a quello che era trent’anni fa». Le amicizie, infatti, sono sempre meno “territorializzate” e secondo il Professore questa è la tendenza della società del futuro: «Siamo immersi in un mondo di reti sociali e anche i rapporti di amicizia seguono questo percorso. Ad esempio, io ho un amico a Bologna, uno a Bruxelles, ma magari non ce l’ho nel palazzo dove abito. Questa è la realtà delle reti d’amicizia e dei legami del futuro: sono molto meno legati al territorio e molto più alle esperienze di vita, anche a quelle realizzate attraverso i media sociali».

Legami forti, legami deboli e legami «invisibili»

Il caso della signora Beretta racchiude tutto un insieme di fattori secondo Cattacin «ci si chiede come sia possibile che sia potuto succedere, ma raramente la risposta è l’indifferenza, spesso ci sono mille altre spiegazioni, come in questo caso. E sono le più importanti». È un discorso di legami sociali, spiega il Professore: «Con l’Università di Ginevra abbiamo condotto una ricerca nella quale si distinguono i legami forti dai legami deboli. Quelli forti sono tra famiglia e partner. Mentre i legami deboli sono tra conoscenti o persone delle quali si sa poco. La sociologia lavora sempre su queste logiche, nelle situazioni urbane soprattutto, dove la maggior parte della gente lavora tutto il giorno. Ma ci sono anche dei legami che non sono vissuti, sono i “legami invisibili” come li chiama Maxime Felder, che ha condotto la ricerca». Ma cosa sono questi legami invisibili? «Sono le osservazioni che uno fa di tutto quello che succede attorno a sé: a che ora il vicino accende la luce, a che ora esce di casa, il fatto di sentire suonare la sveglia ogni giorno alle 7, tutte questi indizi che ci dicono che il vicino è in casa. Significa conoscere una persona – attraverso le sue abitudini – anche se realmente non la si conosce. E a volte si arriva anche a farsi dei film. Probabilmente quello che è successo con questa signora: qualcuno si sarà dato una giustificazione sulla sua assenza. Magari la signora era partita, magari è andata in casa anziani. Ognuno si era fatto probabilmente la sua storia in testa per giustificare quella lunga assenza.»

Ma a cosa servono questi legami invisibili? «La gente cerca di creare attorno a sé sistemi che creano una fiducia, un senso di famigliarità. E questo fa sì che ci si senta meglio, più al sicuro in qualsiasi momento del giorno e della notte. Se non c’è questo sistema di sicurezza, la persona ha paura. Ci sono tanti elementi: le luci dei negozi quando le vediamo accese, i rumori dei vicini attorno a noi. Questo fa sì che si crei un sistema di osservazione che non è più il controllo sociale classico, ma un sistema di famigliarità attorno a sé. Che basta e avanza per evitare di dimenticarsi di un vicino morto per due anni in casa».

I legami invisibili creano dei sistemi di fiducia, delle reti di famigliarità che ci fanno sentire protetti e rassicurati; possono essere anche solo le luci dei negozi o i rumori che sentiamo dal muro dei vicini

La situazione nel nostro Cantone

Ma in Ticino qual è la situazione? Quanto spesso capitano questi casi? Ci risponde Tarchini: «Nel nostro Cantone gli ultimi casi di persone morte in situazione di solitudine risalgono al 2017. Non ci è dato a sapere se ve ne siano stati altri, nel frattempo, e neanche la polizia cantonale tiene una statistica di questi casi». E fa una precisazione: «È estremamente difficile dare dei numeri e non siamo noi a poterlo fare. Siamo attivi con molti servizi atti a contrastare la solitudine, creare occasioni di incontro e socializzazione ma soprattutto fornire aiuti concreti per la gestione del quotidiano e che favoriscano il benessere e la qualità di vita della persona anziana. Il volontariato a domicilio è un settore di attività che va proprio a contrastare la solitudine di molte persone, garantendo loro una visita regolare da parte di una persona per una passeggiata o anche solamente una chiacchierata».

Abbiamo anche domandato alla responsabile di Pro Senectute - visto che, come sappiamo, la popolazione sta invecchiando sempre di più - se questi casi potrebbero aumentare. «Tutti gli attori della rete sono attivi per evitare situazioni del genere. Il Cantone investe molto nelle risposte che vanno date a persone fragili che vivono ancora al proprio domicilio. Quando parte una segnalazione di una persona “fragile” che vive in situazione di solitudine, possiamo dire con certezza che questa persona non viene abbandonata e si cerca di far di tutto per sostenerla, sia con un aiuto concreto (cure a domicilio, pulizie, ecc.), sia per darle una possibilità di “uscire” dalle quattro mura e trovare stimoli per riprendere una vita sociale». Un esempio che ci riporta Tarchini è quello del servizio di pasti a domicilio di Pro Senectute: «Le persone addette alla distribuzione sono delle vere e proprie sentinelle, attive per intercettare possibili situazioni di degrado e capire che una persona inizia ad avere problemi importanti. Sono formati per dare un aiuto immediato alla persona che si trova nel bisogno». Anche se, precisa Tarcini, non si può arrivare ovunque, soprattutto nei centri urbani. «La differenza in questo senso possono farla proprio i vicini di casa, è per questo che è importante sensibilizzare la popolazione su temi di solidarietà nei quartieri e vicinanza a chi è più fragile. Da parte nostra stiamo lavorando su questo con i progetti di quartiere che vogliono proprio ricreare la solidarietà di quartiere che è andata perduta nella società moderna».

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