Armi, tra Schengen e i diritti dei tiratori

«UNA LEGGE INGIUSTA, LIBERTICIDA E INUTILE»
L’INTERVISTA A LUCA FILIPPINI, presidente della Comunità d’interesse Tiro Svizzera

Per i favorevoli al recepimento della Direttiva UE un no pregiudicherebbe la cooperazione con gli Stati membri di Schengen e Dublino e pertanto i vantaggi per la sicurezza, il settore dell'asilo, il turismo, la libera circolazione e l'economia del Paese. Non volete sacrificare un po' tanto nel nome di uno sport che in ogni caso si potrà continuare a praticare?
«Non siamo contro Schengen ma contro una legge ingiusta, inutile e liberticida. Un no porterebbe il Consiglio federale a trattare con l’UE per trovare una “soluzione pragmatica” per restare in Schengen; era previsto già così dal Governo che lo ha comunicato in modo chiaro nel messaggio alle Camere nel 2004. Anche nel libretto della votazione aveva assicurato che per essere in Schengen non c’era la necessità della clausola del bisogno né di inasprimenti alla nostra legge sulle armi. Dire che un no mette in causa Schengen non ha dunque alcun fondamento razionale. Questa legge proibisce un diritto fondamentale dei cittadini per niente: tutte le misure proposte non servono a combattere il terrorismo che è l’obiettivo della direttiva; non va recepita solo poiché alcuni gruppi d’interesse non vogliono ricordarsi di ciò che ha promesso il Consiglio federale nel 2004».
Affermate che le nuove norme creerebbero «una spaccatura fra il cittadino e l'esercito di milizia». Ma chi vorrà tenere l'arma d'ordinanza potrà continuare a farlo.
«Il punto non è questo. La legge proibisce la maggior parte delle armi in mano a privati e cerca poi di ovviare al disarmo generalizzato con autorizzazioni eccezionali per alcuni gruppi di cittadini, misure che non compensano la proibizione. Il cittadino-soldato ha in dotazione un fucile per il suo servizio. Se vuole comperarne un altro simile, deve acquistare un’arma proibita... e la sua non lo . La società svizzera e il nostro sistema si basano sulla responsabilità individuale e sulla milizia. I cittadini svizzeri sono tenuti al servizio militare dove gli si affida non solo il fucile d’assalto, ma anche l’impiego di esplosivi, carri armati, ecc... Per tutto ciò sono abbastanza giudiziosi. Appena lasciano l’uniforme diventano così irrazionali e pericolosi che lo Stato proibisce loro armi normalmente in commercio – tra cui anche la versione civile del fucile con cui hanno svolto servizio?».
Anche per i cacciatori e i giovani tiratori non cambierà nulla.
«La nuova legge proibisce a tutti i cittadini alcuni tipi d’arma, tra cui quasi tutti i fucili semiautomatici. Inoltre, la direttiva prevede nel 2020 e ogni 5 anni di rivedere le misure. Junker stesso ha affermato di voler andar oltre e che la “Direttiva è una pietra miliare nel controllo delle armi da fuoco in Europa”. Per i cacciatori cambia sì qualcosa, come cittadini sono toccati dalla proibizione delle armi semiautomatiche, solo i fucili da caccia al momento non sono ancora toccati. Per i cacciatori basta guardare cosa è già legge e cosa sta succedendo in altri Paesi europei. Continuare ad affermare che non cambia niente è pura miopia».


Secondo voi recepire la Direttiva violerebbe la volontà popolare. Ma il popolo ha votato anche a favore degli Accordi di Schengen e Dublino.
«Il popolo ha accettato nel 2005 la proposta del Consiglio federale di aderire a Schengen; un accordo che permette di principio di non riprendere un Aquis di Schengen senza venirne esclusi e che permette esplicitamente di mantenere un diritto liberale sulle armi. Il popolo ha dunque accettato nel 2005 che il Governo rifiutasse un’evoluzione, come nel caso presente della Direttiva sulle armi, che prevede la clausola del bisogno e una proibizione generale di armi e cercasse una soluzione pragmatica con l’UE. Portare come argomento per la Direttiva l’accettazione da parte del popolo dell’accordo di Schengen è assurdo! Inoltre, dobbiamo lasciarci proibire i nostri fucili e sperare che ci diano autorizzazioni eccezionali esattamente da quelle persone che “dimenticano” che non dovevano introdurre la clausola del bisogno? Mi sembra pretendere un po’ troppo».
Tra i sostenitori del referendum c’è chi dice che sarebbe possibile negoziare con l’UE per trovare un’altra soluzione. Anche lei lo crede?
«Perché devo credere meno al Consiglio federale che ha trattato l’accordo di Schengen rispetto ai vertici di PPD e PLR che vogliono obbligare il popolo ad accettare inasprimenti sulle armi che loro stessi avevano consigliato di rifiutare ancora 8 anni fa? Nell’articolo 7, capoverso 4, dell’accordo di Schengen, citato spesso dai fautori, si dice anche: “Il presente accordo non è più considerato applicabile a meno che il comitato misto, previo attento esame delle modalità con cui continuare l'accordo, decida altrimenti entro 90 giorni”. È dunque chiaro che anche in caso di non accettazione vi è un pesante interesse per entrambi i partner a continuare l’accordo. Si da per acquisito un automatismo su Schengen, questo non è vero ed è preoccupante che questo errore è presente sia negli argomenti dei fautori sia nel libretto del Consiglio federale. Come già indicato, in caso di non recepimento l’accordo stesso prevede di trovare una soluzione pragmatica per rimanere in Schengen. Il non recepimento di una direttiva sulle armi fa parte del caso normale di discussione per una soluzione pragmatica: lo ha affermato il Consiglio federale nel 2004 e 2005. In 90 giorni si può anche arrivare alla conclusione che serve più tempo. Anche per la Brexit si sono allungati i tempi. Sia la Svizzera che l’Europa hanno interesse a trovare una soluzione per garantire lo status quo».
Dalla vostra parte ci sono agenti di polizia che avvertono: l'accesso al sistema d'informazione di Schengen SIS non è fondamentale. Contro avete però la fedpol, secondo cui rinunciare a Schengen sarebbe una condanna alla cecità. Perché i cittadini non dovrebbero credere a fedpol?
«Non bisogna dimenticare: lo scambio d’informazioni va nelle due direzioni e i punti negativi elencati per la Svizzera in caso di un’ipotetica uscita da Schengen valgono anche per l’UE. Nessuno ha interesse a perdere questo scambio che è l’unica misura efficace per combattere il terrorismo. Ci si vuole obbligare a recepire misure sulle armi che non portano niente per lottare contro il terrorismo (comunicato anche dai partiti di centro ai dibattiti parlamentari) e in caso contrario si vuole rinunciare all’unica misura che serve a qualcosa come lo scambio di informazioni? Non mi sembra una gran coerenza».
«AUMENTARE LA SICUREZZA E CONSERVARE LE NOSTRE TRADIZIONI»
L’INTERVISTA A ROCCO CATTANEO, membro della Commissione della politica di sicurezza del Nazionale (PLR)

Che rapporto personale ha con le armi da fuoco Rocco Cattaneo?
«Posso dire di essere cresciuto in mezzo alle armi. I miei nonni erano maestri tiratori, mio padre e mio fratello cacciatori. Ho molta ammirazione per lo sport del tiro e per i tiratori, tant’è che ho accettato con grande piacere di entrare nel Comitato d’onore della Festa federale del tiro Svizzero, che si svolgerà a Lucerna nel 2020».
Ha comprensione per chi pratica il tiro e ha paura che recependo la Direttiva europea sulle armi, qualcosa di questa tradizione svizzera possa andar perso?
«Come membro della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale ho seguito da vicino tutto l’iter parlamentare che ha portato al progetto di legge su cui ci esprimeremo. Sia in Commissione che in Parlamento abbiamo lavorato molto per rendere il disegno di legge il più possibile conforme alla cultura e alle tradizioni svizzere. Ad esempio: i militi che terminano l’obbligo di servizio potranno continuare a portare a casa l’arma d’ordinanza, non verrà introdotto nessun test medico né psicologico, non ci sarà un registro centralizzato delle armi, ecc...».
I referendisti avvertono: stiamo votando su una direttiva che prevede un meccanismo di inasprimento ogni 5 anni. Nel giro di 10 anni il risultato sarà il disarmo. Hanno ragione?
«I referendisti lanciano fumo negli occhi. Primo, non si tratta di una direttiva imposta ma di una modifica di una Legge federale. Ricordo che la Svizzera è sovrana nel decidere se accettare cambiamenti di legge dati dal recepimento di Direttive legate a Schengen/Dublino. Secondo, non è previsto nessun meccanismo automatico di inasprimento ogni 5 anni. Il disarmo tra 10 anni è pura fantasia».
Sempre i referendisti affermano che se lo scopo principale è la lotta al terrorismo, la ripresa delle norme europee non servono a nulla.
«La revisione tocca solo le armi semiautomatiche ad alta capacità di colpi (ad esempio il Fass 90), facilmente trasformabili in armi automatiche. Il primo scopo è di aumentarne la trasparenza e la rintracciabilità, restringendo così il campo dell’illegalità. Purtroppo la Svizzera è una facile piazza d’acquisto d’armi per la criminalità internazionale organizzata. Inoltre anche in Svizzera abbiamo vissuto drammi, come la strage nel Gran Consiglio di Zugo del 2001 con 14 morti. Lo scorso anno un giovane in possesso di armi semiautomatiche aveva in programma una strage alla Commercio di Bellinzona. Il secondo scopo è quello di non mettere in pericolo l’associazione a Schengen/Dublino, da cui la Svizzera trae enormi benefici in termini di sicurezza e gestione dei flussi migratori (senza Dublino saremmo invasi da richieste d’asilo). Infatti, un no il 19 maggio attiverebbe automaticamente il processo di esclusione dagli accordi. Per interromperlo, gli Stati membri UE e la Commissione europea dovrebbero approvare all’unanimità un’eccezione in favore della Svizzera entro 3 mesi. Le probabilità che ciò accada in tempi così brevi sono minime».


Qualche membro di polizia afferma che finora lo scambio di informazioni nello Spazio Schengen non ha funzionato poi tanto bene.
«A questa affermazione di preoccupante superficialità rispondo dapprima citando una frase di Nicoletta della Valle, Direttrice di Fedpol: “Senza Schengen la Polizia svizzera si ritroverebbe figurativamente cieca e sorda”. Infatti, da anni le nostre autorità di polizia utilizzano con successo il Sistema d’informazione Schengen, una banca dati condivisa dove sono registrate tutte le persone ricercate e gli oggetti rubati. Ogni giorno vengono effettuate oltre 300.000 ricerche nel sistema e solo nel 2018 ci sono stati 19.000 riscontri positivi. Inoltre, la Conferenza dei governi cantonali, la Conferenza delle direttrici e dei direttori dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia e la Conferenza dei comandanti di polizia cantonali dicono sì alla Legge sulle armi».
I contrari dicono anche che le nuove norme rischiano addirittura di portare nuovi pericoli. In quanto distoglierebbero la polizia dal suo lavoro effettivo (per esempio «per gestire e controllare le clausole del bisogno di centinaia di migliaia di detentori di armi ligi alla legge»).
«Già oggi chi vuole acquistare un’arma semiautomatica deve richiedere un permesso al Cantone e soddisfare determinati requisiti. Dopo la revisione si potranno sempre acquistare queste armi richiedendo un’autorizzazione eccezionale. Si dovrà semplicemente dimostrare dopo 5 e 10 anni di essere iscritti in una società di tiro o di sparare regolarmente (5 volte in 5 anni), mentre chi le acquista per collezione dovrà tenerne una lista e custodirle in sicurezza. Gli attuali possessori di queste armi non ancora iscritte in un registro cantonale avranno 3 anni di tempo per notificarle. Per militi, ex militi che hanno a casa il fucile d’ordinanza, cacciatori, giovani tiratori e possessori di armi già iscritte in un registro cantonale non cambierà nulla: nessuno porterà via loro l’arma!».
Ad ogni modo, l’onero burocratico aumenterà per le autorità. Anche i Cantoni hanno espresso critiche su questo punto.
«La burocrazia sarà ridotta all’osso. L’ordinanza regola i dettagli del processo di notifica. Proprio per questo abbiamo preteso dal Consiglio federale una soluzione agile e digitale per la gestione dei registri cantonali delle armi».
Il recepimento della Direttiva per i contrari viola la volontà popolare. Il 13 febbraio 2011 i votanti non hanno voluto nessuna clausola del bisogno, nessuna registrazione a posteriori, nessun divieto di armi «particolarmente pericolose».
«In primo luogo, l’iniziativa limitava fortemente i tiratori e i militi. Allora anch’io mi ero opposto. La revisione su cui votiamo ora permette di aumentare la sicurezza pur mantenendo intatte le nostre tradizioni. Inoltre, il contesto era un altro. Oggi, votare no significa mettere a rischio gli enormi vantaggi degli Accordi Schengen/Dublino».
Inoltre le promesse fatte dal Consiglio federale prima della votazione su Schengen e Dublino (nessuna restrizione incisiva della legge sulle armi e nessuna clausola del bisogno a causa di Schengen) verrebbero spezzate.
«Guardi, alla fine occorre essere pragmatici: dobbiamo valutare cosa abbiamo sui due piatti della bilancia. Da una parte delle modifiche legislative marginali che, senza toccare gli interessi di cacciatori, tiratori sportivi ed esercito, permettono tuttavia di aumentare la trasparenza sul possesso di queste armi molto pericolose. Dall’altra, il rischio di essere esclusi da Schengen/Dublino, di importanza fondamentale per la nostra sicurezza nazionale. Dunque votare sì significa aumentare la sicurezza e conservare le nostre tradizioni».