Bolan

Assalto al Jaffar Express in Pakistan: «Uccidevano davanti ai nostri occhi»

Alcuni passeggeri, tra civili e agenti di polizia, hanno raccontato le ore di paura e tensione passate a bordo del treno dirottato dai separatisti del Baluchistan
©FAYYAZ AHMED
Red. Online
13.03.2025 20:01

È successo tutto molto velocemente. E quello che sembrava un normale viaggio in treno, per 450 persone si è tramutato in un inferno. Martedì sera, i terroristi separatisti del Baluchistan hanno attaccato un treno che stava circolando nella remota valle di Bolan, fra le montagne nell'ovest del Pakistan. In un primo momento, prendendo in ostaggio 182 persone «ritenute militari» e non civili, e uccidendo 20 soldati di guardia. 

Ieri, dopo una giornata di tensione, un blitz delle forze speciali pachistane ha portato alla liberazione di tutti i passeggeri. Anche se in un bagno di sangue. Secondo i funzionari della sicurezza, il bilancio finale è di 33 miliziani, 21 ostaggi uccisi e 4 militari uccisi.  

Oggi, dopo 30 ore di assedio, sono state diffuse alcune testimonianze, sia di testimoni oculari che delle persone a bordo del Jaffar Express al momento dell'assalto. Persone che hanno vissuto attimi di vero e proprio terrore. «Ero sul treno che è stato attaccato», ha raccontato il signor Hussain alla BBC Urdu, provando a spiegare, a parole, la paura provata quando il treno a nove carrozze si è fermato improvvisamente. «I terroristi hanno bombardato i binari, sparato sul treno e preso d'assalto le carrozze». 

Un agente della polizia ferroviaria che si trovava a bordo del treno, sempre alla BBC, ha spiegato che al momento dell'assalto il treno non si trovava in una galleria, come dichiarato inizialmente dalle autorità pakistane, ma «in un'area aperta». «All'inizio ho combattuto insieme ad altri agente della polizia», ha raccontato. «Cercavamo di tenere a bada i militanti, ma poi le munizioni sono terminate. Loro si muovevano davanti a noi, sulla montagna, ed erano in tanti, molti più di noi, centinaia», ha continuato l'ufficiale, sottolineando di essere accompagnato, in quel momento, da quattro poliziotti ferroviari e da due membri del Frontier Corps, paramilitare del Pakistan. 

«Ho detto al mio compagno di darmi il fucile G-3 perché è un'arma migliore. Abbiamo iniziato a sparare a nostra volta, ma in un'ora e mezza i nostri proiettili erano finiti. Eravamo indifesi». A quel punto, i separatisti hanno fatto scendere i passeggeri dal treno, secondo il racconto dell'agente. «Hanno iniziato a controllare le carte e a dire alla gente da che parte andare», ha aggiunto, spiegando che gli ostaggi sono stati divisi in gruppi lungo il treno, in base alla loro etnia. I terroristi, in lingua balochi, li minacciavano: «Abbiamo avanzato richieste al governo e se non saranno soddisfatte non risparmieremo nessuno: daremo fuoco al treno». Secondo l'agente, i militanti ricevevano ordini precisi, «come quello di uccidere». «Prendevano persone del gruppo e le uccidevano. Hanno ucciso molte persone, sia militari che civili». 

Qualcuno, però, è stato più fortunato, ed è riuscito a fuggire prima che fosse troppo tardi. Tra i liberati c'era anche Noor Muhammad. Considerato un «semplice civile», l'uomo è stato liberato dopo un'ora, quando alcuni armati hanno forzato la porta del treno e sono entrati dicendo «uscite o vi spareremo». Una volta scortato all'esterno, il signor Muhammad ha detto ai militari che sua moglie si trovava ancora nel retro del vagone. «L'hanno scortata fuori dal convoglio e ci hanno detto di andare via, dritti, senza voltarci». La coppia ha dovuto camminare attraverso la natura selvaggia «con grande difficoltà», fino a raggiungere la stazione ferroviari di Panir. 

Diversa, invece, l'esperienza del signor Mehboob, che alla BBC Urdu ha raccontato come, durante la notte siano stati sparati colpi d'arma fuoco. «È stata colpita una persona vicina a me, che aveva cinque figlie. Quando qualcuno viene ucciso davanti ai tuoi occhi non sai cosa fare», ha raccontato. Un altro passeggero ha detto di aver assistito alla morte del cugino. «Stava supplicando i militanti di non ucciderlo, perché aveva delle figlie piccole, ma la sua vita non è stata risparmiata».