Assistere al proprio funerale: quando Black Mirror diventa realtà

E se vi dicessimo che ora, grazie all’intelligenza artificiale, è stato compiuto un ulteriore passo per riuscire a comunicare con i morti? In Gran Bretagna, infatti, l’ologramma della defunta 87.enne Marina Smith ha preso parte al funerale della stessa, comunicando e rispondendo alle domande dei presenti. Inquietante o rincuorante? Questo momento ha avuto luogo grazie ad una nuova tecnologia, prodotta da StoryFile e disponile sul mercato inglese a partire da inizio agosto. Si tratta di una piattaforma online che punta a «rendere l’intelligenza artificiale più umana», come recita lo slogan sul loro sito web. Online è possibile porre domande ad un simpatico signore di mezza età e ricevere delle sue basilari risposte, ma questo non è che un assaggio di ciò che questo software può creare.
È stata la stessa signora Smith, attivista dell'Olocausto, a volerlo, in realtà. Per riprodurre i pensieri, i ricordi e l’immagine olografica della defunta, StoryFile ha combinato una valutazione psicologica di esperti con le tecnologie di studio più avanzate, messe in pratica durante delle sessioni di registrazione in cui la donna, allora ancora in vita, rispondeva a domande di ogni genere sulla sua vita, memorizzandole su un computer. «Le persone si sentono più sicure quando registrano i loro dati. I familiari in lutto potrebbero ottenere una versione più libera e più vera della persona amata che hanno perso» commenta al Telegraph il figlio, Stephen Smith. Così facendo sono riusciti a ricreare nel dettaglio un clone intangibile in grado di comunicare con i parenti ancora in vita. «La cosa straordinaria è che ha risposto alle domande fornendo anche nuovi dettagli e con onestà» aggiunge.
Ma quanto questo tipo di intelligenze artificiali sono davvero in grado di riprodurre la realtà? E in che modo verrebbero accolte in Svizzera? Andrea Rizzoli, direttore dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale (IDSIA USI-SUPSI), ci dà un’opinione in merito.
Un’illusione molto simile alla realtà
«In parte è realmente possibile conversare con queste tecnologie come se fossero i nostri cari - comincia Rizzoli - perché questi sistemi di intelligenza artificiale sono costruiti sulla base di una gamma molto ampia di informazioni. Immaginiamoci, per esempio, di dialogare con uno scrittore del passato come Tolstoj. Alle informazioni del programma potremmo aggiungere anche i suoi romanzi, le sue lettere personali e altri dati disponibili su di lui. Tutto questo ci permetterebbe di interagire in maniera abbastanza naturale».
Rimane comunque un’illusione. «Avremmo solo la parvenza di comunicare con lo scrittore. Infatti, non scopriremmo realmente il suo pensiero, ma il risultato di correlazioni statistiche estratte dall’enorme mole di dati usata per addestrare il sistema» continua il direttore dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale USI-SUPSI. «Il problema con questo tipo di tecnologie è che non puoi sapere con certezza quando la macchina fornisce informazioni corrette e quando invece si tratta di assurdità». Rizzoli a questo proposito cita l’esempio di GPT-3, un software di intelligenza artificiale particolarmente efficiente nella produzione automatica di testi. Interrogato su come gestire una persona colpita da un attacco cardiaco, fra varie affermazioni corrette, questo programma ha anche sostenuto che provocare dei forti colpi di tosse possa essere un rimedio efficace. Informazione, questa, del tutto errata.

Ma ricolleghiamoci al caso di un nostro caro scomparso. Attualmente, è ancora un’illusione credere di poter parlare con qualcuno di defunto: «Così come GPT-3 ha compiuto errori, lo stesso potrebbe avvenire per una tecnologia in grado di riprodurre i pensieri di qualcuno. Il software di StoryFile sembra essere pensato come un’interfaccia avanzata per accedere a contenuti preregistrati, ma un uso non attento di software di generazione del linguaggio potrebbe portare a distorsioni del pensiero originale della persona «archiviata» nel sistema. Non dobbiamo inoltre illuderci che questi sistemi siano degli esseri senzienti, oltretutto bisogna anche considerare che gli esseri umani cambiano nel tempo. Il contenuto archiviato e riprodotto dalle macchine, invece, no» commenta Andrea Rizzoli.
Cosa ne penserebbero gli svizzeri?
Anche in altre nazioni, oltre alla Gran Bretagna, si potrebbe sviluppare un interesse per macchinari in grado di metterci in comunicazione con persone che ormai non sono più con noi. «Questo dipende molto dall’approccio di una società di fronte alla morte. Sono sorpreso che tra le prime ad usufruire di questa tecnologia sia stata un’inglese. Come la Svizzera, anche la Gran Bretagna è una società con una cultura piuttosto riservata. Per questo mi è difficile immaginare che qui questo tipo di approccio possa prendere piede. Al contrario - afferma Rizzoli - è molto probabile che negli Stati Uniti possa spopolare, del resto già nel secolo scorso lo scrittore britannico Evelyn Waugh aveva satirizzato sulla cultura funebre americana nel romanzo Il caro estinto.


Una questione etica
In che modo è una questione di riservatezza? L’intelligenza artificiale a cui affidiamo le nostre memorie, acquisisce piena libertà su di esse. «La persona deceduta accetta che la sua storia, i suoi ricordi e le sue opinioni vengano trasferite in una macchina, senza poter prevedere con certezza quella che sarà la comprensione e l’interpretazione del software in proposito. La tecnologia potrebbe generare pensieri molto differenti rispetto a quelli dell’originale». Ci deve quindi essere una consapevolezza riguardo agli abusi, le inefficienze e le carenze di queste macchine da parte di chi sceglie di farne uso. «Ma come facciamo a dare il nostro consenso su qualcosa che non sappiamo come ci rappresenterà in futuro quando noi non ci saremo più?». È questo il dubbio sollevato dal direttore dell’IDSIA USI-SUPSI.
«Una funzione di conforto che potrebbe alienare»
Sicuramente il tema non smetterà di affascinare, ma per i parenti dei defunti quest’illusione potrebbe anche diventare dannosa. «Avere la possibilità di comunicare con chi non è più con noi, soprattutto se scomparso in maniera tragica, potrebbe essere di conforto. D’altra parte, però, potrebbe avere anche una funzione alienante. Pensiamo alla situazione più dolorosa: la madre perde il figlio in un incidente e si attacca a questa macchina per poter parlare con lui. Ma non è il figlio con cui sta comunicando, è un surrogato». Un’affermazione che fa pensare a Be Right Back, una puntata di Black Mirror, serie di Netflix. L’episodio mostra come la compagna del giovane Ash, scomparso in seguito ad un incidente stradale, si rifugi nella comunicazione con una riproduzione, creata online, del defunto. Presto, però, l’incompiutezza del clone la rende frustrata e delusa. Si rende conto, infatti, che per quanto il nuovo Ash assomigli all’originale, non l’avrebbe potuto sostituire nella sua totalità.
Andrea Rizzoli, conclude ribadendo i rischi etici di una tecnologia che sembra portare con sé diverse contraddizioni. «È la vendita di un’illusione, di un sogno. Ma a che prezzo per la persona che ne farà uso?».