Baby boomer, occhio alle ortensie

«Abbi un po? di rispetto per l?inchiostro, e sappi che solidifica solo ad alte quote». Seguendo il poetico invito del rapper italiano Dargen D?Amico, voglio elevare la serietà media dei temi di questa rubrica. Basta con i paragrafi viranti al turpiloquio su videogiochi, gravidanze extrauterine e consumi esuberanti, sull?elezione di Norman Gobbi in Consiglio di Stato o sulla consistenza delle mie feci di stamattina (che, per la cronaca, era davvero soddisfacente). Oggi intendo infatti occuparmi di un conflitto generazionale prossimo venturo, che interesserà molti di noi.
Ad attirare la mia attenzione, per prima, era stata una provocazione dello scrittore inglese Martin Amis, classe 1949, il quale invocava un?eutanasia generale obbligatoria per tutti gli ultrasettantenni. Fermo restando l?ovvio invito a dimostrare egli per primo – fra otto anni – la validità del suggerimento, le reazioni furibonde e isteriche alla boutade mi avevano fatto riflettere sulla portata dell?eventuale gerontosoppressione; in effetti, rischieremmo di dovere eliminare una fetta molto significativa – e in costante crescita – della nostra popolazione.
In un secondo tempo, mi ha poi colpito una considerazione di Konrad Hummler sulla crisi economica greca. Secondo il banchiere sangallese, siamo giunti a tanto perché l?Europa si è trasformata nel «Regno delle Pretese»; un Continente nel quale gli Stati devono fare i salti mortali per assicurare un Welfare smisurato a cittadini viziati, sempre meno inclini a fare la loro parte attraverso le imposte, e men che meno ad affrontare delle rinunce.
Questi due spunti apparentemente scollegati, insieme ad altre suggestioni raccolte qua e là, mi hanno portato a intravedere un conflitto nascente tra baby boomer – i nati all?indomani della Seconda guerra mondiale, oggi vicini alla pensione – e i loro figli e nipoti.
Punto di partenza è la ricostruzione, semplice e univoca, di quanto realizzato dalla generazione dei nostri padri. Consumando e sprecando le risorse del Pianeta come mai nessuno prima di loro, hanno edificato per se stessi un modello di vita all?insegna di un benessere insostenibile a lungo termine, vendendo poi ai loro figli – e a chi, nel resto del mondo, ne è ancora escluso – il sogno di farne parte e perpetuarlo, in saecula saeculorum. Oggi, giunti al momento di ritirarsi dalla vita attiva, costoro pretendono la garanzia di un pensionamento altrettanto lussuoso, finché morte non ci separi; un trattamento per il quale ovviamente a pagare dovremmo essere noi – i loro figli e nipoti – pur nella certezza che alla loro età non potremo, mai e poi mai, ricevere altrettanto.
È chiaro che nessuno, preso individualmente, ha una responsabilità per quel che è successo, frutto di un?ebbrezza collettiva per il progresso emersa da una serie di circostanze storiche e tecnologiche. È altrettanto chiaro che oggi ci pare crudele dire a chi ha lavorato 50 anni sul cantiere – per esempio – che dovrà ritardare il momento della sua meritata quiescenza. Tuttavia – cari nonni, padri, zii e vostri coetanei – la colpa non è nemmeno nostra, perché noi non c?eravamo quando costruivate il giocattolo che ora ci crollerà addosso; il minimo che possiate fare, quindi, è rimboccarvi le maniche e aiutarci a minimizzare le conseguenze del disastro.
Certo, potete anche dire no, restare aggrappati ben saldi al vostro paracadute dorato e lasciarci soli, con il pavimento lurido del giorno dopo la festa. In tal caso, però, non lamentatevi se poi qualcuno di noi – preda del risentimento – verrà di nascosto nel vostro giardino di pensionati felici, a cagare tra le ortensie.