Scienza

Batterie rinnovabili: in futuro potrebbero aiutarci granchi, aragoste e gamberi

Sulla rivista Matter uno studio sulle batterie a base di chitina – L'autore: «La fonte più abbondante di chitosano sono gli esoscheletri dei crostacei, che possono essere facilmente ottenuti dagli scarti dei frutti di mare; li troviamo lì sulla nsotra tavola»
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Red. Online
06.09.2022 19:10

Materiali rinnovabili e, di conseguenza, sostenibili. Sono al centro delle discussioni e dell'agenda politica, perché il problema ambientale è reale. Ma se spesso si pensa a composti chimici realizzati in laboratorio, a volte la realtà dimostra che è sufficiente guardare la natura. Su questo principio si basa lo studio del Centro per i materiali innovativi dell’Università del Maryland pubblicato sulla rivista scientifica Matter. Una ricerca scientifica sulle batterie a base di chitina, un materiale fornito dalla natura e quindi eco-friendly, perché lo smaltimento non comporta un eccessivo inquinamento. Dove si trova la chitina? Si tratta di una sostanza presente (principalmente ma non solo) nei gusci di granchi e aragoste. Che sia un passo importante verso la realizzazione di batterie a basso impatto ambientale?

Lo studio

Le batterie utilizzano un elettrolita per trasportare gli ioni avanti e indietro tra terminali caricati positivamente e negativamente. Un elettrolita può essere un liquido, una pasta o un gel e molte batterie utilizzano sostanze chimiche infiammabili o corrosive per questa funzione. «Sono state prodotte e consumate enormi quantità di batterie, aumentando la possibilità di problemi ambientali - ha spiegato il responsabile dello studio, Liangbing Hu -. Ad esempio, i separatori in polipropilene e policarbonato, ampiamente utilizzati nelle batterie agli ioni di litio, impiegano centinaia o migliaia di anni per degradarsi e aumentare il carico ambientale». Gli scienziati hanno creato una batteria di zinco con un elettrolita biodegradabile, un gel realizzato con il chitosano.

«Il chitosano è un prodotto derivato della chitina. La chitina ha molte fonti, comprese le pareti cellulari dei funghi, gli esoscheletri dei crostacei e le penne dei calamari. La fonte più abbondante di chitosano sono gli esoscheletri dei crostacei, inclusi granchi, gamberi e aragoste, che possono essere facilmente ottenuti dagli scarti dei frutti di mare. Li troviamo lì sulla nsotra tavola», ha quindi aggiunto Hu. Il chitosano, una volta combinato con lo zinco (metallo presente in natura), può dare vita a una nuova sostanza elettrolitica capace di alimentare una batteria fino a 400 ore.

E circa due terzi della batteria realizzata dagli scienziati potrebbero essere decomposti dai microbi in cinque mesi. «Lo zinco è più abbondante nella crosta terrestre rispetto al litio. In generale, le batterie allo zinco ben sviluppate sono più economiche e più sicure». Già, perché stando allo scienziato, le batterie prodotte con il composto di chitina e zinco possono essere caricate e scaricate molte volte con correnti notevoli senza creare problemi di prestazioni. Inoltre, non sono infiammabili e possono essere smaltite naturalmente senza contaminare il suolo, lasciando come materiale di scarto solamente lo zinco, che è riciclabile al 100% in altri prodotti.

Granchi, aragoste, gamberi, funghi e calamari

In pratica, uno scarto alimentare che può trovare una seconda vita: economia circolare. Già un anno fa un team di ricercatori spagnoli, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology, aveva realizzato un modello di batteria di flusso a vanadio in cui gli elettrodi erano costituiti dalla chitina estratta dai gusci dei gamberetti. «Le batterie a flusso di vanadio, a differenza delle batterie al litio, non forniscono un’alta densità di energia, ma un grande volume di accumulo di energia a basso costo, il che le rende ideali per immagazzinare energia da fonti rinnovabili come il solare e l’eolico», aveva allora spiegato uno degli autori dello studio, il biotecnologo Francisco Martin-Martinez. Il vero test sarà la produzione di queste batteria su grande scala, con l’utilizzo sul campo.

Liangbing Hu e il suo team intendono continuare a lavorare per rendere le batterie ancora più eco-friendly, migliorando pure il processo di produzione. «In futuro, spero che tutti i componenti delle batterie siano biodegradabili. Non solo il materiale stesso, ma anche il processo di fabbricazione dei biomateriali». Insomma, serve ancora tempo. Ma i primi risultati sono incoraggianti e permettono di guardare al futuro con fiducia, anche senza la paura della minaccia per la specie. «Quando si sviluppano nuovi materiali per le tecnologie delle batterie, tende a esserci un divario significativo tra risultati promettenti di laboratorio e la tecnologia adattabile su larga scala - ha commentato al Guardian Graham Newton, professore di chimica dei materiali all'Università di Nottingham -. Ci sono ancora alcune sfide da affrontare nello sviluppo delle batterie agli ioni di zinco, ma studi fondamentali come questo sono estremamente importanti».