L’intervista

Berlusconi: «Ho sentimenti di gratitudine nei confronti della Svizzera»

L’ex premier italiano in visita a Lugano per la firma di un contratto commerciale tra FC Monza e Philipp Plein ha parlato di rapporti bilaterali e di migranti
Silvio Berlusconi e Philipp Plein a Cassarate.
Stefano Sala
19.07.2019 08:02

L’ex premier italiano Silvio Berlusconi è giunto ieri a Lugano per ufficializzare la «fashion partnership» con la Philipp Plein nella sede di Cassarate del noto brand di moda. I giocatori dell’AC Monza, squadra di Serie C di cui l’eurodeputato italiano è proprietario, saranno infatti vestiti con abiti firmati dal designer tedesco. Silvio Berlusconi si è presentato all’incontro, che ha attirato diversi giornalisti sportivi, con il fratello Paolo, presidente del team lombardo, e l’amministratore delegato Adriano Galliani. L’ex premier italiano si è poi prestato alle domande dei giornalisti spaziando dai suoi rapporti con la Svizzera alla politica internazionale. In particolare Berlusconi ha posto l’accento sulla minaccia rappresentata da una possibile invasione di massa proveniente da quello che lui definisce «il continente unico cino-africano».

I rapporti tra Italia e Canton Ticino sono sempre un po’ tesi, cosa si potrebbe fare per migliorarli?

«Non vedo perché debbano esserci problemi tra i due Paesi. Ci sono state delle tensioni per quanto concerne i lavoratori italiani (i frontalieri attivi in Ticino ndr), ma credo che non ci sia nessun problema che non possa essere superato affrontandolo con serietà. Da parte mia ricordo che ho un rapporto di gratitudine nei confronti della Svizzera, visto che diede rifugio a mio padre negli anni della guerra, quando lui era ricercato come antifascista. Ricordo che il giorno più bello della mia vita è stato quando mio padre ritornò dal suo esilio volontario. Io scendevo ormai da tre settimane ad aspettarlo ad una fermata del tram. E quando finalmente arrivò mi abbracciò, portandomi in braccio fino a casa, baciandomi e stringendomi. E questo io lo devo alla generosità e all’ospitalità del popolo svizzero che mi ha salvato il papà. Quindi io nei confronti della Svizzera ho sempre un’apertura assolutamente totale».

Suo padre era un partigiano?

«No, faceva parte dell’esercito italiano, però quando venne costituita la Repubblica di Salò non aderì a tale iniziativa ma restò nell’esercito. Poi i nazisti presero di mira i soldati italiani, imprigionandoli e portandoli nei campi di lavoro in Germania. Mio padre era particolarmente conosciuto per certe sue dichiarazioni che aveva fatto nei confronti della Repubblica di Salò e del Governo fascista. Per questo era ricercato e riuscì a venire in Svizzera dove venne accolto dai cittadini elvetici che lo ospitarono. Trovò anche un lavoro, creò una compagnia italiana che presentò diversi spettacoli. Poi però ritornò in Italia. Per questo ho considerato sempre la Svizzera come la mia seconda patria. Del resto ho avuto per tanti anni una casa a Sankt Moritz e due dei miei figli hanno case in due paesi della Svizzera. Per non parlare dell’abitazione di mia proprietà sul Lago Maggiore dalla quale spesso andavo a Locarno in motoscafo».

Sempre buoni ricordi dunque?

«Sì, ho sempre considerato la Svizzera un Paese nel quale mi trovo a casa. Per questo anche quanto in Italia sono stato per numerosi anni al Governo non c’è mai stato nessun problema con la Svizzera ma solo simpatia. Ricordo che una volta ci fu un intervento del presidente svizzero quando scoppiò una crisi tra Berna e Tripoli, e Gheddafi fece imprigionare un imprenditore svizzero attivo in Libia. Io andai appositamente a Tripoli per far liberare questo imprenditore di cui ora non ricordo il nome (era Max Göldi, direttore della filiale libica dell’ABB ndr). Gheddafi obiettò che l’imprenditore era già stato condannato in primo grado e bisognava aspettare la sentenza di appello. Io dopo aver pranzato col leader libico gli dissi che sarei rimasto suo ospite fino alla liberazione dell’imprenditore svizzero. Nel pomeriggio il segretario di Gheddafi mi comunicò che il presidente libico aveva fatto liberare l’imprenditore svizzero e che era già stato imbarcato su un volo di linea con destinazione l’aeroporto di Zurigo, in quanto la povera Libia non poteva permettersi di mantenere un ricco italiano come me».

C’era da fidarsi di Gheddafi?

«Con me si è sempre comportato con grande lealtà. Voglio ricordare che grazie al trattato che firmammo con la Libia e altri Paesi costieri, in tutto il 2010 in Italia giunsero solo 4.400 migranti. Mentre poi i Governi di sinistra non eletti dal popolo italiano registrarono questo stesso numero di migranti in un solo weekend estivo del 2016. Il problema degli immigrati esiste ancora oggi e per il futuro speriamo che non arrivi un’immigrazione di massa, perché quello che possiamo ormai chiamare il continente unico cino-africano ha tra tutti i suoi abitanti il desiderio di venire a vivere nei Paesi del benessere, che sono l’Italia, la Svizzera e l’Europa. Per evitare che questo accada dobbiamo riunificare l’Occidente».

Come bisognerebbe fare?

«Per riunificare l’Occidente l’Europa, che oggi nel mondo non conta niente, deve diventare una potenza militare e per fare questo deve unificare le forze armate di tutti i Paesi che la compongono e in questo modo potrebbe assumere anche il ruolo di unificatrice dell’Occidente tornando in sintonia con gli Stati Uniti. Trump infatti ha recentemente criticato i Paesi della NATO in quanto hanno mancato l’impegno di destinare il due per cento del bilancio annuale per aumentare le spese per gli armamenti. Vi è inoltre stato l’errore di allontanare dall’Europa la Federazione russa che invece è un Paese che per storia, religione, cultura e stile di vita è assolutamente occidentale. Dobbiamo riprenderci la Russia perché solo un Occidente forte anche negli armamenti nucleari degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia e della stessa Russia potrà essere un contrasto forte di fronte alla minaccia di un’invasione di massa che potrebbe venire dall’Africa e dalla Cina e che è probabilmente nei piani del comunismo cinese».

Da cosa lo deduce?

«Ho parlato con molti professori universitari cinesi, ho parlato con giornalisti che studiano la politica cinese, e loro ritengono che un evento di questo tipo non sia soltanto possibile, ma sia addirittura ipotizzabile e probabile».

Passando alla politica italiana, Salvini dovrebbe staccare la spina al Governo?

«Penso che il leader della Lega, nonché ministro dell’Interno, sia già in ritardo per compiere questo passo».