L’intervista

Bettina Junker: Anche in Svizzera ci sono bambini da proteggere

Abbiamo incontrato la nuova responsabile del Comitato Svizzera e Liechtenstein dell’UNICEF
Bettina Junker, CEO di Unicef a Paradiso. (Foto Chiara Zocchetti)
Erica Lanzi
08.06.2019 06:00

Chi l’ha detto che i diritti dei bambini vengano usurpati solo lontano da qui? Se si parla di UNICEF la mente corre immediatamente alla classica foto di bambini di colore poverissimi che ci guardano con aria implorante. Invece a volte anche proprio sotto casa nostra in Svizzera esistono situazioni serie da affrontare e da correggere. Ce lo ribadisce Bettina Junker, che da gennaio 2019 ha assunto la direzione operativa del Comitato Svizzera e Liechtenstein per l’UNICEF. Di recente è stata a Lugano per una serata di beneficenza dedicata a un progetto di sviluppo della prima infanzia. L’abbiamo incontrata.

Bettina Junker, da quando è entrata in carica dorme sempre sonni tranquilli?

«Dormo benissimo, qualche volta certo una notte insonne capita. Però non tanto per le problematiche che trattiamo, ma perché ci sono davvero tante cose da fare e organizzare. Mettere delle priorità non è sempre evidente».

Quali sono le regioni geografiche maggiormente sotto il radar di UNICEF in questo momento?

«UNICEF è già in pianta stabile in 190 Paesi, ma sicuramente tra le regioni più critiche ora c’è lo Yemen (sopra: due ragazzini yemeniti in una casa distrutta a Sanaa, foto EPA) e il Sudan, o ad esempio una vasta area tra Mozambico, Zimbabwe e Malawi che è stata colpita da settimane di piogge torrenziali e alluvioni. Il raccolto è andato distrutto per cui sappiamo già adesso che tra pochi mesi ci sarà un’emergenza carestia. Il nostro vantaggio è che quando succede un disastro siamo pronti ad intervenire immediatamente e al contempo possiamo seguire e accompagnare lo sviluppo della situazione, cioè ben oltre lo stato di emergenza. Non agiamo però da soli, ci coordiniamo anche con diverse altre organizzazioni».

Il numero di crisi nel mondo aumenta costantemente. Le persone ne sono consapevoli? Come reagiscono?

«In Svizzera, quando l’informazione passa notiamo un grosso coinvolgimento da parte delle persone, che però non sanno come aiutare concretamente. Per noi l’aiuto è il denaro per portare avanti progetti specifici. Ma anche le donazioni ’’svincolate’’ sono particolarmente preziose: esiste infatti una miriade di situazioni problematiche, che però restano sconosciute. Tra l’altro capita spesso in Paesi vicini a cui non si pensa mai, come ad esempio la Romania. Tutti i bambini hanno diritto indiscriminatamente alla vita e a uno sviluppo sano».

Nel 2019 si festeggia il 30. anniversario della Convenzione per i diritti dell’infanzia. In pochi decenni avete registrato un miglioramento nelle problematiche dell’infanzia?

«È difficile a dirsi. La Convenzione è stata decisiva per avere un cambio di ritmo nell’affrontare i problemi dell’infanzia e ratificare il fatto che anche i bambini, categoria indifesa per definizione, hanno dei diritti (esistere, essere nutriti, vaccinati, educati, registrati all’anagrafe, e via dicendo). Come organizzazione vicina ai Governi accompagniamo l’operato della politica e in alcuni casi garantiamo la protezione giuridica dei bambini. In tanti ambiti ci sono stati molti miglioramenti, solo che oggi ci sono più crisi umanitarie e più catastrofi naturali, di conseguenza più bambini che soffrono. Chiaramente le problematiche cambiano. Ad esempio oggi si parla tanto dei bambini soldato e delle bambine messe a lavorare negli accampamenti militari. Siamo più attivi nello sviluppo dei bambini in età prescolastica, nella formazione femminile, ma anche nella protezione dei bambini dal lavoro e da ogni forma di violenza. Persino in Svizzera si notano dei fenomeni sociali che hanno risvolti negativi anche sui bambini».

Cioè? Quali sono i problemi dell’infanzia in Svizzera?

«Ad esempio da una parte si allarga la forbice tra ricchi e poveri, in parte anche come conseguenza dell’esplosione dei costi sanitari, dei minori aiuti sociali, dell’immigrazione - e questo colpisce direttamente molti bambini. Ci sono poi i problemi legati ai diritti di asilo che impediscono i ricongiungimenti dei nuclei familiari. È un tema anche la violenza in tutte le sue forme, così come il diritto ad essere ascoltati. E poi il lavoro: anche in Svizzera ci sono dei settori per cui le singole fasi di assemblaggio internazionale contengono del lavoro minorile».

In Svizzera e nei Paesi sviluppati oggi si parla anche molto di pedofilia. Non è un tema anche questo?

«Certo, lavoriamo costantemente affinché vengano prese le misure necessarie per combattere questo grave problema (che riguarda tanto i Paesi sviluppati quanto quelli poveri). Ma UNICEF si occupa di tutte le forme di violenza che plagiano l’infanzia, non solo degli abusi sessuali su minori».

Ci sono dei progetti specifici lanciati da UNICEF Svizzera?

«Certo. In Svizzera e in Liechtenstein gestiamo l’iniziativa ’’Comunità a misura di bambino’’, per cui i Comuni lavorano coi ragazzi per sviluppare misure da attuare entro quattro anni. Ci impegniamo anche affinché gli ospedali sostengano le neo mamme nell’allattamento al seno, fondamentale per lo sviluppo di un bambino: in Ticino ci sono quattro ospedali che hanno la certificazione ’’ospedale amico dei bambini’’».

Se verso 1.000 franchi all’UNICEF, quanto arriva al progetto finale?

«Il comitato di UNICEF Svizzera e Liechtenstein lavora a stretto contatto con l’UNICEF a livello internazionale: raccoglie donazioni relative ai progetti e non, che vengono poi utilizzate per i programmi dell’UNICEF in vari Paesi. Secondo la nostra esperienza il 75% delle donazioni fatte a UNICEF Svizzera confluisce nei progetti internazionali o viene utilizzato a favore dei bambini in Svizzera».

Trump ha deciso di tagliare i fondi per le organizzazioni umanitarie. Questo orientamento ha avuto degli effetti anche sulla filantropia privata?

«Fortunatamente no. Il multilateralismo viene messo sotto pressione su più fronti, e questo avrà un impatto sulle donazioni pubbliche. Anche Berna sta discutendo intensamente sull’ammontare dei fondi federali per l’aiuto allo sviluppo. Tuttavia la Svizzera è un partner molto affidabile per l’UNICEF, anche i donatori privati sono molto impegnati. Stanno nascendo anche nuove forme di collaborazione col settore privato col programma ’’Shared Value partnership’’. Le aziende non solo sono interessanti come donatori nell’ambito della loro responsabilità sociale d’impresa, ma possono anche sostenere l’UNICEF con i loro servizi, le loro competenze o la loro esperienza».

Il direttore esecutivo di UNICEF Henrietta Fore ha sottolineato spesso che vorrebbe vedere più innovazione e tecnologia all’interno dell’organizzazione. Che misure concrete sono state prese?

«Per Henrietta Fore è molto importante coinvolgere maggiormente il settore privato per sviluppare nuove forme di innovazione. Ci sono tanti esempi, come i droni che vengono utilizzati per il trasporto di sangue quando le strade sono distrutte. Un altro esempio è un progetto in Costa d’Avorio, dove l’inquinamento della plastica è un problema enorme: una società ha trovato un modo semplice per fondere i rifiuti raccolti e con essi realizzare mattoni di plastica. Con il materiale verranno costruite aule scolastiche. È interessante notare che per una volta il trasferimento di innovazione non parte dal nord, questa idea arriva infatti dalla Colombia».

Ci sono tante iniziative, anche private e di piccole dimensioni, che si impegnano per l’infanzia. Concorrono alla causa di UNICEF o rappresentano una dispersione di energia?

«È sempre una collaborazione, non una concorrenza. Quando c’è una crisi si cerca sempre di lavorare come un’enorme organizzazione (cluster), in cui ogni cellula si assume un compito specifico anche per evitare i doppioni. Ad esempio spesso non siamo noi a effettuare direttamente le vaccinazioni, deleghiamo. Il vantaggio di UNICEF è che essendo vicina ai Governi ha il contatto diretto coi centri di potere. Ma poi l’obiettivo è che i progetti passino nelle mani delle autorità locali, il che è importante per garantirne la sostenibilità».

Prima di entrare in UNICEF lei ha lavorato per 17 anni in banca. Quali esperienze ha portato con sè dal settore profit?

«Ho imparato tantissimo, dalla comunicazione, al branding, al management, alla gestione delle persone, al network. Esperienze utilissime, perché lavorare in un’organizzazione non-profit non è poi così diverso. La professionalità richiesta è praticamente la stessa. E non potrebbe essere altrimenti, perché il nostro successo dipende proprio dalla capacità di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche dell’infanzia. Arrivare dall’industria orientata al profitto offre anche un altro vantaggio, quello di conoscere il funzionamento interno delle aziende e quindi capire cosa è importante per le società con cui lavoriamo».

Non ha trovato quindi grosse differenze culturali come una minore efficienza operativa?

«A livello di professionalità assolutamente no. Ho notato che chi lavora per le organizzazioni senza scopo di lucro lo fa perché ha una motivazione personale molto forte per aderire alla causa. Mentre chi lavora nel profit tende ad avere altri incentivi per alzarsi e andare a lavorare alla mattina».

È per questo che cinque anni fa ha deciso di cambiare fronte?

«Diciamo che mi è sempre piaciuto lavorare, ma ero arrivata a un punto della mia vita in cui quello che facevo non mi bastava più, volevo impegnarmi in qualcosa che effettivamente servisse anche agli altri. Finché un giorno ho letto per caso un annuncio di lavoro, ho saputo subito che per me era la cosa giusta (Bettina Junker tra il 2014 e il 2018 è stata attiva presso la Lega svizzera contro il cancro, ndr)».

Mamma e donna in carriera. Con quale strategia ha fatto le sue scelte nella vita?

«Non si fa tutto da soli nella vita. Mio marito è sempre stato ed è molto presente nell’educazione dei figli e anche sul fronte lavorativo ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno creduto in me e mi hanno stimolata e spinta a crescere. Oggi cerco di fare la stessa cosa coi giovani, è importante».

Quali sono ora gli obiettivi per il suo mandato presso UNICEF Svizzera? Dove andranno messe le priorità?

«In primis nel far capire alle persone in Svizzera e nel Liechtenstein l’importanza dell’operato di UNICEF. Ciò significa rafforzare il marchio dell’associazione e raccogliere fondi. Al contempo garantire che ogni investimento di denaro e di energia, sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione, sia il più efficiente possibile ai fini dell’obiettivo finale, che è quello di aiutare i bambini di questo mondo».

Da dieci anni in Ticino viene organizzata una serata di gala. Quali altre iniziative ci sono?

«La serata di gala è particolarmente importante anche perché è l’unica di questo tipo che viene organizzata in Svizzera. Quest’anno vogliamo raccogliere circa 60.000 franchi. La somma è destinata a un progetto per l’educazione nella prima infanzia per bambini etiopi. Oltre a quello c’è la ’’settimana delle stelle’’, una campagna di raccolta fondi dai bambini per bambini in tutta la Svizzera. Lo scorso anno a Locarno 500 allievi hanno organizzato due mercatini di Natale, un concerto in chiesa e una corsa sponsorizzata, con cui hanno raccolto 21.000 franchi. Da alcuni anni abbiamo anche il patronato di Castellinaria a Bellinzona, durante la quale l’UNICEF assegna un premio al film che meglio dà voce ai diritti dell’infanzia. Siamo davvero grati al Ticino per la sua proattività, è un esempio anche per le altre regioni della Svizzera».