Il personaggio

Biancoblù e contento di esistere

Mamma di Ambrì, papà di Piotta e un nonno di nome Gino Gobbi: conosciamo il «filosofo» Francesco Polli
©¬Ti-Press
Marco Ortelli
26.02.2023 07:00

Mamma di Ambrì, papà di Piotta, nonno materno quel Gino Gobbi tra i fondatori della squadra di hockey dell’Ambrì Piotta e primo presidente del Club, Francesco Polli, classe 1982, formazione in Scienze ambientali al Poli di Zurigo, può ben essere caratterizzato come un tifoso a denominazione di origine controllata. Nato a Faido, cresciuto nel Luganese, il nostro interlocutore rievoca così il proprio «imprinting» con l’hockey su ghiaccio. «Tutti i fine settimana si saliva nella casa ad Ambrì con i nonni. A quei tempi le partite si giocavano di martedì e di sabato, quindi più o meno un sabato sì e uno no c’era la partita, un vero e proprio evento: la fiumana di gente che passava davanti a casa, le luci e i rumori della Valascia si percepivano semplicemente aprendo la finestra. Ogni tanto, uscivo di casa per andare a prendere le mandorle caramellate con la mamma o il papà e quell’enorme edificio luminoso e rumoroso mi affascinava». Tra una mandorla, una boccata d’aria «leventinese» e l’altra, incollato alla radio a immaginare le partite dell’Ambrì con il nonno «presidente», la passione per l’hockey del piccolo leventinese indossa definitivamente i colori biancoblù verso i 6 anni d’età. «Il vero innamoramento è avvenuto dopo aver assistito con mio papà alla prima partita dal vivo alla Valascia. HCAP -ZSC, vissuta dalla Curva Sud. Me la ricordo bene! Ambiente pazzesco, da nodo in gola, con tanto di vittoria. Folgorato! Credo fosse la stagione 1988-89».

Dalla Sud alla Gottardo Arena

Curva Sud che Francesco non ha più lasciato fino a una decina d’anni fa, quando al rientro dagli studi a Zurigo, si è accomodato nella tribuna blu. Come ha vissuto la Valascia dal suo interno? «Era un luogo mitico ricolmo di storie sportive e non. E sono quelle storie e la prospettiva di scriverne altre che trasformavano la scomoda e fredda Valascia in un luogo di aggregazione eccezionale che la gente ha amato e amerà per sempre».

Ora le pagine di storia, tifosi, il club, le stanno scrivendo nella Gottardo Arena, dove Francesco segue la sua squadra dal Settore I della tribuna. Nella nuova pista si è trasferito anche lo spirito della valle? «Lo spirito dei tifosi in grandi linee è rimasto uguale. Il tifo è sempre lo stesso, le persone son ancora quelle (anzi ce n’è qualcuna in più!). Percepisco tanto entusiasmo e presenza. Forse, un po’ diverso è il post-partita dove noto una leggera tendenza ad abbandonare pista e dintorni più velocemente». A proposito della nuova costruzione il tifoso DOC ne sottolinea con gratitudine l’importanza. «Non so se tutti si siano ancora resi conto dell’impresa titanica che è stata realizzata nel costruire questa nuova pista ad Ambrì. Dobbiamo essere felici di aver una nuova casa dove noi e le prossime generazioni di tifosi Biancoblù possiamo continuare a trovarci e vivere emozioni».

Sono sicuramente emotivo. Devo dire che non conosco tantissimi tifosi HCAP distaccati

Le emozioni del tifoso

Detto dell’ambiente, diciamo del tifoso. «Sono sicuramente emotivo. Devo dire che non conosco tantissimi tifosi HCAP distaccati. Mi identifico appieno con la squadra e così vivo la partita come se facessi parte del gruppo che scende sul ghiaccio. Insomma, cerco di fare la mia parte anche dagli spalti». E come la mettiamo con l’umore post-partita, è forse hockeypatico, variabile come in meteorologia? «Sento molto di più i pre-partita che i post. I giorni delle partite sono sicuramente un po’ più nervoso. Invece il risultato spesso è relativo. Perdere non piace a nessuno, ma quando la squadra gioca con la giusta attitudine e dà tutto per la maglia anche se si perde, si passa lo stesso una buona giornata senza troppe tragedie o isterismi». Della sua carriera di tifoso, al curvaiolo trapiantato in tribuna piace segnalare una curiosità. «Tempo fa ragionavo su un aspetto che ritengo significativo e comune a molti tifosi dell’Ambrì. Ho stimato che per seguire la squadra percorro ogni anno circa 4.400 chilometri (con diversi mezzi di trasporto). Un dato che rende bene l’idea della passione dei tifosi. Nel mio caso questi viaggi (delle vere e proprie trasferte anche quando si gioca in casa) durano tra andata e ritorno quasi un’ora e mezza, tempo che condivido sempre con amici e parenti che salgono con me. Un tempo piacevole che fa parte del “pacchetto partita HCAP” e al quale sono legati alcuni tra i migliori ricordi».

L’insostenibile leggerezza del derby

Derby? Francesco Polli ci racconta una chicca. «Agli albori della storia Ambrì e Lugano andavano super d’accordo. Sembra che i colori delle maglie dei Leventinesi dovessero essere bianconeri, in onore della squadra di calcio luganese, ma una svista - nel senso letterale del termine - di chi doveva scegliere la lana le ha fatte biancoblù». «Oggi - chiosa il tifoso DOC - siamo fortunati, la rivalità delle due squadre alimenta in modo reciproco il mito delle stesse». E come vive questa sfida che taglia in due il Cantone? «Fino a qualche anno fa li sentivo un po’ di più. Oggi, senza voler sminuire i bianconeri, li vivo come le altre partite. Poi, come detto sono cresciuto nel Luganese, ho diversi amici bianconeri, la rivalità è una sana rivalità filosofico-sportiva. Dico così perché se proprio devo individuare qualcosa che differenzia le due tifoserie lo trovo nell’approccio filosofico. Ho l’impressione che i tifosi biancoblù di base siano contenti di esistere e di poter lottare per delle vittorie (sportive e non), mentre il tifoso bianconero sembra che debba vincere per essere felice dando un po’ più per scontato il resto... Non c’è nulla di male nelle due visioni, sono solo diverse».

In questo articolo: