BoJ, i mercati attendono una mossa mentre lo yen sta sprofondando

Il dato di gennaio sull’inflazione negli USA, che è salito oltre le attese degli analisti al 3,1%, allontana, ancora una volta, la prospettiva che la Federal Reserve possa presto ridurre il tasso d’interesse sul dollaro. E così, prosegue imperterrita la rimonta del «greenback», che da inizio anno ha guadagnato poco più del 3% sull’euro, oltre il 5% sul franco svizzero e, soprattutto, quasi l’8% sullo yen giapponese. Riguardo quest’ultimo, ieri si è verificato un cosiddetto «sell-off» (vendite massicce) e il superamento - per la seconda volta dal 2022 - del livello di 150 yen per dollaro, considerato la soglia di allarme dalle autorità monetarie giapponesi.
«Il deprezzamento dello yen è stato brusco e ampiamente guidato da operazioni speculative», ha puntualizzato Masato Kanda, viceministro delle Finanze per gli affari internazionali, aggiungendo che l’Esecutivo «si impegna a rispondere adeguatamente alle eccessive fluttuazioni dei tassi di cambio, senza escludere alcun mezzo».
«La narrativa sul “no landing” (ossia non ci sarà nessuna frenata, ndr) dell’economia USA estende di fatto la durata del “carry trade” tra dollaro e yen, i cui tassi reali positivi sono responsabili della maggior parte del rialzo di oltre il 7% del rapporto di cambio dall’inizio dell’anno», spiega Alim Remtulla, Chief FX Strategist presso EFG Bank a Lugano. Il carry trade è un’operazione speculativa consistente nel prendere a prestito denaro in Paesi con tassi di interesse più bassi, come il Giappone, per cambiarlo in valuta di Paesi con tassi più elevati, come gli USA. «Ma sarà piuttosto la forza del dollaro a influenzare il tasso di cambio con lo yen», precisa l’analista di EFG. «Al momento - aggiunge - stimiamo che il “fair value” del cambio sia attorno a quota 149, ma è probabile che questo salga grazie ai forti dati congiunturali statunitensi e a una Bank of Japan (BoJ) che si sente a proprio agio con la sua politica monetaria ultra-accomodante».
Lo yen debole colpisce particolarmente il Giappone, privo di risorse energetiche, facendo salire i prezzi delle importazioni e il costo della vita delle famiglie. L’inflazione nel Paese del Sol Levante è attualmente al 2,6%, ma sebbene sia in fase di attenuazione (nell’ottobre scorso era al 3,3%), la debolezza dello yen aumenta le pressioni inflazionistiche che probabilmente si ripercuoteranno sui salari durante i negoziati sul lavoro del mese prossimo.
Fine dei tassi negativi?
I mercati finanziari guardano alle prossime mosse della BoJ, in particolare l’attesa - e più volte paventata – uscita dal regime di tassi di interesse negativi. Il Giappone, lo ricordiamo, è l’unico Paese del G7 con tassi negativi sulla propria valuta.
Il governatore della BoJ Kazuo Ueda ha dichiarato negli scorsi giorni che le condizioni monetarie rimarranno «accomodanti» anche dopo lo stop ai tassi negativi; una posizione che ha continuato a sostenere il mercato azionario e la debolezza dello yen.
«La BoJ potrebbe normalizzare i tassi d’interesse sullo yen da qui a giugno, portandoli dall’attuale livello di -0,10% verso lo zero. In seguito, a seconda degli scenari che si svilupperanno a livello globale, ci potrebbero essere rialzi fino a 20 punti base entro la fine del 2024», conclude Remtulla.