Il reportage

«Bollette molto più salate, ma gli ospedali sono al sicuro»

Le strutture dell'EOC non sembrano correre il rischio di rimanere al buio – L'aumento delle tariffe si fa comunque sentire: il costo sale da 8 a 13 milioni di franchi all'anno
© CdT/ Chiara Zocchetti
Paolo Galli
07.10.2022 06:00

Gli ospedali, così come le case per anziani e le case di cura, sono considerati consumatori protetti. Lo ha ribadito, ancora a fine agosto, la Confederazione. Insomma, non resteranno mai al buio, di sicuro non per volontà delle autorità politiche. E non saranno mai obbligati a sottostare a restrizioni e contingentamenti. L’energia continuerà a circolare per la tutela dei pazienti. Anche, quindi, nelle strutture della Svizzera italiana. Noi, proprio in questo senso, abbiamo visitato l’ospedale San Giovanni di Bellinzona, uno dei più avanzati in termini di approvvigionamento e di sicurezza. E qui abbiamo incontrato il direttore generale dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC), Glauco Martinetti, che subito ha snocciolato i temi sul tavolo delle discussioni. Sì, perché l’energia fa discutere. È un dovere delle autorità discuterne. «Il primo tema è quello delle garanzie di sicurezza. Il secondo è quello della disponibilità energetica. E il terzo è quello dei costi».

Un aumento di 5 milioni

Martinetti li sottolinea proprio in questo ordine. I costi al terzo posto? «Sì, perché la priorità è esserci sempre, essere sempre pronti e reattivi, capaci di rispondere alle esigenze dei pazienti. E poi perché, per farlo, dobbiamo garantire, anche per il futuro, fonti energetiche sicure. Il tema finanziario, be’, in questo momento è in balia della situazione, e c’è poco da fare». In tutti i casi, da un costo annuo per l’energia che si aggira attorno agli 8 milioni di franchi, l’EOC si prepara a passare «a 13 milioni». «Stimiamo quindi un aumento di 5 milioni di franchi, anche se molto dipenderà dai prossimi mesi, dall’andamento dei prezzi». Un duro contraccolpo. «La nostra cifra d’affari è di 845 milioni di franchi. Ecco allora che abbiamo i mezzi per far fronte a questi aumenti. Ma è vero che li sentiremo, eccome, perché siamo in una situazione nella quale abbiamo pochissima marginalità. Va ricordato infatti che le tariffe ospedaliere dell’EOC sono sotto la media nazionale».

Un lavoro che arriva da lontano

Ma questo, per il direttore generale, è comunque il punto 3 della sua agenda. Meglio concentrarsi sui punti 1 e 2, anche se - pure quelli - dipendono anche da condizioni esterne, quindi non solo dal controllo dell’EOC stesso. Le garanzie di approvvigionamento, agli ospedali, sono arrivate in tutte le salse. E l’ente stesso non se ne sta con le mani in mano. «È un lavoro costante, che arriva da lontano. Ogni ospedale infatti ha un proprio gruppo di generatori per garantire l’attività all’interno delle sue strutture. Ma non solo. Come EOC abbiamo provveduto a coprire anche le strutture correlate. Basti pensare alla centrale dei servizi di Biasca - dove si lavano i vestiti, ma dove pure si sterilizzano gli strumenti chirurgici -, anch’essa dotata di generatori. Stiamo tuttora mappando le nostre strutture e i rischi a esse legati». Ogni direttore, ogni capoarea, è stato pregato dalla direzione di analizzare la situazione all’interno delle proprie strutture, comunicando, se è il caso, quali servizi ancora non sono coperti da continuità nella fornitura di corrente. «Formalmente, non abbiamo creato un vero e proprio gruppo di lavoro interno», ma è vero che la comunicazione, attorno al tema, è costante. Il quadro che ne emerge è giudicato «rassicurante». Poi Martinetti riconosce: «C’è ancora del lavoro da fare per migliorare ulteriormente la sicurezza».

La garanzia

Una cosa è chiara, anche (o soprattutto) dopo aver visitato la nuovissima centrale del San Giovanni di Bellinzona: «L’EOC può garantire la funzionalità dei suoi ospedali. Potrebbe farlo anche nel caso in cui il Consiglio federale dovesse obbligare - sciagurata ipotesi, ma già parte del suo piano a tappe successive - uno stacco generale della rete». Non servono neppure prove generali. I controlli ai sistemi sono regolari. E, comunque, «arriviamo da due anni e mezzo pesanti a causa della pandemia. Abbiamo appena iniziato a riprendere il fiato, e non abbiamo segnali drammatici tali da spingerci a iniziative particolari o ad aumentare ulteriormente la soglia di stress dell’intera struttura».

In quanto invece ai risparmi, ci sono ospedali che già hanno annunciato misure per sprecare meno energia, a cominciare dagli HUG di Ginevra - che hanno pure annunciato un aumento delle bollette da 14 a 29 milioni di franchi! -. L’approccio dell’EOC, anche in questo caso, è pragmatico. «Vogliamo seguire le raccomandazioni del Cantone. Ci muoveremo, in questo senso, rappresentando 6.000 collaboratori, come fossimo un Comune ticinese di media grandezza. Riprenderemo quelle raccomandazioni e le faremo nostre, pur con i limiti del caso. Impensabile per esempio prevedere, in un ospedale, di toccare la temperatura. Ma ci sono altre misure che possono invece essere messe in pratica, a cominciare dallo spegnimento degli apparecchi o delle luci, dove possibile. Per non parlare dei locali amministrativi, nei quali possiamo seguire appieno le linee del Cantone».

La progettualità

Questo, a corto termine. «Ma c’è una progettualità che non nasce oggi, non nasce dalla crisi. Da anni stiamo provvedendo a adeguamenti di carattere strutturale basati sulla sostenibilità e sul risparmio energetico. Penso alle lampade a LED così come agli impianti fotovoltaici, si veda la nuova area a Mendrisio. Insomma, dal più piccolo particolare a quelli più imponenti». La crisi ora potrà semmai svolgere un ruolo di acceleratore. «Ma non riguarda solo l’EOC», puntualizza Martinetti. «E non solo i risparmi, ma anche le nuove tecnologie». Intanto, anche in termini di riscaldamento, cinque sedi dell’EOC (Bellinzona, Novaggio, Locarno, Acquarossa, Biasca) lavorano già con le rinnovabili, cippato, termopompe, teleriscaldamento (Teris). In altre sedi sono in dirittura d’arrivo progetti che vanno proprio in questa direzione. «Per arrivare qui è stato fatto un grande lavoro, e continueremo a farlo, proprio a tutela dei pazienti». 

Come viene garantita la continuità in un ospedale? L'esempio del San Giovanni

Dall’ospedale neppure si nota. Eppure c’è, e solo questo conta. Ad accompagnarci all’interno della nuovissima centrale elettrica, una sorta di bunker, sono il responsabile dell’impiantistica Damiano Ulrich, il collaboratore dell’area tecnica Adams Ceresa e Jonathan Raffa, responsabile del servizio tecnico al San Giovanni. «Possiamo andar giù a vedere», ci dicono con orgoglio. La centralina - realizzata in collaborazione con l’AMB - sa ancora di nuovo. Tutto è intonso. Scopriremo, da qui in poi, che la parola d’ordine è «ridondanza». Sì, ma al contrario dell’uso comune e superficiale del termine, qui parliamo di una ridondanza buona, essenziale proprio perché garanzia massima di continuità di approvvigionamento. D’altronde, come sottolinea Ulrich, «il San Giovanni è come un quartiere di Bellinzona, con quasi 2.000 abitanti». L’approvvigionamento deve essere garantito e continuo. È proprio per questo motivo che l’ospedale è allacciato alla rete di distribuzione generale dell’AMB, l’azienda elettrica bellinzonese, da tre linee diverse. Sì, tre allacciamenti alla rete pubblica. «È il nostro primo sistema di sicurezza». Il tutto è ben riassunto nei due quadri principali, subito all’entrata della centralina. Due quadri in due locali diversi. Per quale motivo? La ridondanza, certo. E a nord dell’ospedale c’è addirittura un altro quadro. Tutto, qui al San Giovanni - ma vale anche per le altre cliniche dell’EOC -, è pensato secondo questo concetto.

Detto questo, concretamente, in caso di black out che cosa succede? «Partono entrambi i generatori d’emergenza. Si avviano da soli entro tre secondi». Tre secondi, una soglia non casuale, per evitare che inizino a lavorare alla minima instabilità della rete. «Entro quindici secondi sono in grado di dare la corrente a tutti i servizi prioritari, il 70% del carico. E poi, man mano, a tutto il resto dell’ospedale». Ma prima di visitare i generatori, passiamo dal locale batterie. Tante batterie blu, tutte collegate tra loro. Servono a garantire un’ulteriore autonomia, di un’ora almeno, a pieno regime. In sostanza garantiscono la continuità nell’attesa dei generatori. Quei quindici secondi di buco. I generatori sono, dal canto loro, macchine molto fotogeniche. «Sono le nostre Rolls-Royce». Sorridiamo. «No, davvero, hanno motori Rolls-Royce». Sono macchine sempre pronte al carico, dotate di una loro intelligenza. Collegate a un tank da 22.000 litri di carburante, garantiscono cinque giorni di corrente all’insieme dell’ospedale. «Le normative elettriche parlano di 24 ore». Questi arrivano anche a 7 giorni. L’anno scorso i generatori erano entrati in funzione, brevemente, in occasione del violento nubifragio che aveva colpito la regione nel mese di agosto. Lo stacco era durato solo qualche secondo. Ma negli ospedali ticinesi accade raramente, anche perché - come ci viene spiegato - sono tutti allacciati in cavo, non attraverso linee aeree. Pazienti e personale curante neppure si accorgono delle interruzioni. La ridondanza serve a questo.

Spesso le macchine vengono sottoposte a controlli. I generatori vengono messi sotto sforzo, sempre senza togliere la corrente. Insomma, potremmo dire che le Rolls-Royce tengono in caldo i motori. Pronti per l’inverno. Così come, al San Giovanni, pronte sono pure le caldaie. Trovano posto, nei meandri della centralina, a due passi dal serpentone che porta riscaldamento dalla rete Teris, quindi dal termovalorizzatore. Dovesse interrompersi il teleriscaldamento, entrerebbero in funzione le vecchie caldaie. È tutta una questione di soluzioni alternative, di sicurezze.