Il raid

Bombe israeliane sulla chiesa di Gaza: uccisi tre civili, nove i feriti

Colpito a una gamba pure don Grabriel Romanelli, prevosto argentino della Sacra Famiglia - Il ministero degli Esteri di Tel Aviv esprime «profondo dolore», ma parla comunque di un «incidente» - Il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa: «Certamente non li lasceremo mai soli»
©Khames Alrefi
Dario Campione
17.07.2025 21:00

Un carro armato si avvicina a una chiesa. Arma l’obice. E fa fuoco. Seminando morte e distruzione in un luogo di pace, di preghiera e di raccoglimento. La guerra cieca non conosce pietà. E a Gaza, ormai da quasi due anni, la pietà è sepolta. Sotto le macerie. Assieme a decine di migliaia di vittime innocenti.

Tre morti e nove feriti è il tragico e parziale bilancio dell’ultimo raid compiuto quest'oggi dall’esercito israeliano contro la chiesa della Sacra Famiglia, a Gaza. Le vittime sono Saad Issa Kostandi Salameh, 60 anni, custode della parrocchia della Sacra Famiglia; Najwa Abu Daoud; e Foumia Issa Latif Ayyad, 84 anni, una donna che, ha scritto il quotidiano Haaretz, «riceveva supporto psicosociale all’interno di una tenda della Caritas nel complesso» dell’unica chiesa cattolica della Striscia.

Alcuni dei feriti sono in gravi condizioni. Colpito a una gamba, fortunatamente in modo lieve, anche il parroco, padre Gabriel Romanelli, 56 anni, argentino, appartenente alla Famiglia religiosa del Verbo Incarnato, una congregazione fondata a San Rafael, vicino Mendoza, nel 1984, da don Carlos Miguel Buela. Tra i feriti pure Suhail Abo Dawood, il giovane palestinese che tiene sull’Osservatore Romano la rubrica «Vi scrivo da Gaza».

Dopo aver ricevuto le prime cure mediche nel vicino ospedale di al-Ahli, Romanelli è comunque subito tornato nella sua comunità dove, in questo momento, sono ospitate 500 persone in fuga dalla guerra.

Le testimonianze

Testimoni oculari hanno raccontato all’Associated Press che un carro armato dell’esercito israeliano (IDF) ha sparato contro la Sacra Famiglia attorno alle 10 del mattino (ora di Berna). La chiesa era piena di profughi, i quali avevano trovato riparo nel complesso edilizio religioso giudicandolo un posto sicuro. Tra loro anche almeno una cinquantina di bambini «con bisogni speciali». La Chiesa latina e il patriarcato di Gerusalemme gestiscono due scuole nella Striscia di Gaza, oltre a un’organizzazione che ha distribuito cibo a circa 10 mila persone. L’attacco dell’IDF è quindi giunto inatteso, anche se, probabilmente, non del tutto.

Infatti, così come confermato in un’intervista ad al-Araby News da monsignor William Alshomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme, gli sfollati nella chiesa «avevano ricevuto dagli israeliani l’avvertimento di evacuare la chiesa due giorni fa, martedì. Molti di essi, però, si erano rifiutati di andarsene».

In un comunicato diffuso sui propri canali social poche ore dopo il bombardamento, i vertici dell’esercito israeliano hanno ammesso di essere «a conoscenza dei rapporti riguardanti i danni causati alla Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza City e le vittime sul posto. Le circostanze dell’incidente sono in fase di revisione - hanno scritto - L’IDF compie ogni sforzo possibile per mitigare i danni ai civili e alle strutture civili, compresi i siti religiosi».

Con una mossa rara, anche il ministero degli Esteri di Tel Aviv, in un comunicato stampa pubblicato poche ore dopo l’attacco, ha espresso «profondo dolore per i danni alla Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza City e per le vittime civili». Ha tuttavia continuato a definire «incidente» quanto accaduto, parlando di «circostanze non ancora chiare» e annunciando una «indagine» i cui «risultati saranno pubblicati in modo trasparente. Israele non prende mai di mira chiese o siti religiosi e si rammarica di aver fatto del male a un sito religioso o a civili non coinvolti», ha aggiunto. Di tenore un po’ diverso, invece, il post pubblicato su X dall’ambasciatore di Israele in Italia, Jonathan Peled, il quale - pur esprimendo «profondo rammarico per ogni danno arrecato a vite innocenti» - ha scritto che il suo Paese «sta conducendo una guerra di estrema complessità contro un’organizzazione terroristica sanguinaria che, in spregio a ogni principio umanitario, si scherma dietro la popolazione civile di Gaza in scuole, ospedali e luoghi di culto».

Al momento dell’esplosione, le vittime erano «tutte in chiesa. Questo lo sappiamo per certo», ha detto a Vatican News il patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa. Il porporato potrebbe, nelle prossime ore, andare nella Striscia. «Noi cerchiamo sempre di raggiungere Gaza in tutti i modi possibili, direttamente o indirettamente -ha detto infatti Pizzaballa - Ma adesso è presto per parlare di tutto questo; adesso, bisogna capire l’accaduto, capire che cosa bisogna fare per proteggere la nostra gente e, naturalmente, fare in modo che queste cose non accadano più. Poi si vedrà come proseguire ma, certamente, non li lasceremo mai soli».

Stallo nei negoziati

Il raid contro la chiesa della Sacra Famiglia è l’ultimo episodio di una guerra che nessuno riesce a fermare, nemmeno il presidente degli Stati Uniti che pure, all’inizio del mandato, aveva promesso una rapida conclusione del conflitto.

Nell’ultima settimana, ha scritto il New York Times, «non ci sono stati progressi significativi nei negoziati tra Israele e Hamas sulla nuova proposta di cessate il fuoco sostenuta» dall’amministrazione di Washington. Israele ha continuato il suo implacabile assedio alla Striscia di Gaza, con l’obiettivo di distruggere ciò che rimane di Hamas, la milizia che ha dato il via alla guerra con l’attacco del 7 ottobre 2023, un blitz nel quale morirono oltre 1.200 persone.

Un funzionario (official) del Governo dello Stato ebraico, intervistato dall’Associated Press a condizione di anonimato perché coinvolto nei negoziati in corso, ha detto che Israele ha mostrato una certa volontà di scendere a compromessi, ad esempio sul corridoio di Morag, che attraversa il sud di Gaza. Tuttavia, ha aggiunto, rimangono altre questioni irrisolte, tra cui l’elenco dei prigionieri palestinesi che devono essere liberati da Israele e gli impegni per porre fine alla guerra. «Ci sono segni di ottimismo - ha detto il funzionario - ma non ci sarà un accordo immediato».