Il progetto

Caccia al cervo «clandestino» nei boschi del Malcantone

Discese, salti, impennate: un gruppo di amici, dal nulla, mette in piedi un parco dedicato alla bici da montagna — Il suo nome? «Black Deer Project»
L'idea è portata avanti già da quattro anni e ora, con tutte le carte in regola, si pensa alla promozione e allo sviluppo
Jona Mantovan
15.09.2022 07:07

Nei boschi del Malcantone c'è un cervo «clandestino». Alcuni lo descrivono come un animale dalla folta pelliccia, scura come la notte. «Già! È una ‘pecora nera’, il nostro cervo è un ribelle!», esclama ridendo Alessandro Pollini. Spigliato, capelli dal taglio sportivo e girati all'indietro, indossa una maglietta blu con una gigantesca scritta bianca, inequivocabile: «Black Deer Project». Di fronte a lui, si apre una radura in mezzo ai boschi nei dintorni di Arosio. Qua e là si notano dei sentieri che puntano dritti verso valle, punteggiati da rampe coperte da tappeti. Eccolo qui, il nostro cervo 'occulto'. In cima alla collina, una serie di cartelli indicano il nome di queste ripide discese. «The Beefy Bunny» (coniglietto cicciotto), «The Joyful Squirrel» (scoiattolo gioioso), «The Royal Falcon» (falco reale). Geo Zech, settantacinque anni, è in sella sulla sua bici da montagna con protezioni di tutto punto. «Faccio al massimo qualche saltino, non come i giovani che esibiscono acrobazie spericolate», dichiara dall'alto della sua serenità nella 'terza età' per poi inforcare il percorso con il suo «cavallo d'acciaio». Una mossa che, agli occhi di chi non è esperto, appare alquanto pericolosa. Ma il pensionato sembra perfettamente a suo agio nel zig-zag del sentiero. Più sotto c'è un altro spiazzo, saranno una decina di persone in tutto che si preparano a fare lo stesso. «Siamo una comunità della mountain bike», continua Pollini. «Puntiamo sul divertimento, non sulla competizione». Ecco cosa distingue la realtà del «Cervo nero» da molte altre, in Ticino e non.

Qui non si fa la gara a chi è vestito meglio, come capita in certe discipline
Adelaide Crivelli, 40 anni impiegata Ufficio federale delle dogane

Come nel film «E.T.»

«C'è molto rispetto ed è un ambiente molto umile», dice Adelaide Crivelli—impiegata in una sede locale dell'Ufficio federale delle dogane, quarantenne e madre di Leonardo, quattro anni—che ha raggiunto il posto «semisegreto» insieme al marito, Daniele. «Qui non si fa la gara a chi è vestito meglio, come capita in certe discipline». Luca sta risalendo il pendio, spingendo la sua «dueruote». Ha appena eseguito un salto clamoroso. Un volo che a vederlo dal vivo ricorda molto da vicino la scena chiave del film «E.T. l'extra-terrestre», il classico dell'82 diretto da Steven Spielberg.

Prima uscivo con gli amici... ma adesso, questa, è tutta un'altra storia. Quando lo pratichi, ti diverti talmente tanto che è difficile da spiegare
Luca, 14 anni

«Questo sport mi ha rivoluzionato la vita. Prima uscivo con gli amici... ma adesso, questa, è tutta un'altra storia. Quando lo pratichi, ti diverti talmente tanto che è difficile da spiegare». E com'è quando si sta sospesi a mezz'aria, a qualche metro da terra? «Intendi dire l'‘airtime’? Ah, sono momenti che vivi in quell'istante. Ti senti libero. Sei tu, la tua bici e basta».
Il 14.enne spiega di aver raggiunto quel livello di sicurezza in poco tempo. «Ho avuto degli ottimi insegnanti. Sette mesi fa non sapevo nemmeno cosa fosse, il salto in bicicletta... Quando ho traslocato, alcuni miei nuovi amici mi hanno portato qui. E da quel momento ho deciso che doveva essere la mia vita!», conclude con un sorriso.

«Ci siamo dati da fare. C'è tanto lavoro e tutto volontariato», riprende Pollini. «All'inizio eravamo tre, quattro persone. In poco tempo, però, abbiamo iniziato a diventare un bel gruppo. Oggi siamo conosciuti anche oltre i confini nazionali, come pure nella Svizzera tedesca», spiega il giovane (33 anni), che nella vita lavora come manutentore di impianti. 

Terra ideale per le mountain-bike

Luca Reich—che insieme a Damiano Mengozzi e Alessandro Pollini ha dato vita al progetto—decide di fare una pausa dopo una lunga serie di salti. Un po' trafelato, si toglie il casco. «Il Ticino è terra ideale per la mountain bike. Ma qui manca una comunità, attorno alla disciplina. Una comunità che possa dare anche una linea sugli sviluppi degli ultimi anni». Le parole chiave, secondo Reichlin, sono aggregazione, confronto tra generazioni e rispetto. «Ci sono posti dove andare, ma manca lo spirito di gruppo. Un luogo dove ci si possa sentire parte di qualcosa». È questo, insomma, il tono che ha portato alla ribalta il Black Deer Project, con un profilo Instagram. Parallelo a questo, c'è pure l'Associazione Ticino Mountain Bike Trailbuilding. «Si tratta della forma legale con la quale ci esponiamo e ci apriamo ai vari attori: enti, comuni, istituzioni varie...», dice il 35.enne impiegato come operatore sociale. 

Spostavamo dei rametti secchi, pulivamo le tracce dalle foglie secche, tagliavamo radici e tronchi morti con un seghetto, a mano... Tutto per non dar nell'occhio, non so se mi spiego...
Daniele Crivelli, 40 anni, tecnico radio-tv e 'pioniere' del Black Deer Project

I tre fondatori sostengono all'uniscono come sia importante l'aspetto legale. Anche perché in realtà il cervo ‘ribelle’, in questi boschi, ha una lunga tradizione. Non sempre in regola, anzi. All'inizio proprio per nulla. E c'è pure un testimone che lo può raccontare. È Daniele Crivelli, che non si fa problemi ad ammettere il fatto che «ai suoi tempi» questo genere di iniziative fossero in una zona grigia, se non abusive al cento per cento.

Il pioniere

«Ho iniziato a praticare questo sport verso la fine degli anni Novanta. All'epoca avevamo organizzato qualcosa di simile a Collina d'Oro. Poi mi sono trasferito a Mugena e, insieme a un paio di amici, avevo adocchiato proprio questo bosco», racconta il quarantenne, che lavora come tecnico radio-tv e che di questo mondo sportivo fatto di discese da brivido e salti da capogiro ne è il pioniere. «Ma quel che avevamo fatto io e il mio amico Gianluca non era per nulla paragonabile a quanto si può vedere qui, oggi. Noi spostavamo dei rametti secchi, pulivamo le tracce dalle foglie secche, tagliavamo radici e tronchi morti con un seghetto, a mano... Tutto per non dar nell'occhio, non so se mi spiego...», ammicca.

Abbiamo chiesto tutti i permessi e abbiamo l'autorizzazione della proprietà del fondo. L'area che si estende per oltre trecentomila metri quadrati...
Damiano Mengozzi, 35 anni, operatore sociale e cofondatore del progetto


Ma si spiega eccome, perché il gruppo di 'spericolati' all'epoca non era ben visto. E di chiedere i permessi per questi interventi non se ne parlava nemmeno. «Per la popolazione e per le autorità eravamo i 'pazzi' che scendevano 'a fuoco' dalle piste, eravamo un pericolo pubblico. Ecco perché questo luogo era l'ideale già a quel tempo, avevamo studiato dei tracciati che non incrociavano mai i sentieri percorsi dagli escursionisti». Una separazione, quella tra ciclisti e pedoni, che va a beneficio della sicurezza di tutti. «Sono contento che abbiano 'ripreso' le nostre tracce e le abbiano sviluppate fino a diventare quel che sono oggi, con le varie espansioni e la comunità di appassionati. Davvero, complimenti».

Sicurezza e legalità prima di tutto

Ma oggi com'è la situazione? Saremo mica di fronte a un abuso edilizio clamoroso? Damiano Mengozzi, operatore sociale 35.enne, scuote la testa e sorride. Lui è nel trio di fondatori di questa nuova realtà. «Abbiamo chiesto tutti i permessi e abbiamo l'autorizzazione della proprietà del fondo, la famiglia Soldati. D'altronde, il grosso di tutta l'infrastruttura si sviluppa su una superficie di oltre trecentomila metri quadrati...».

L'ambiente è rilassato, ci sono persone di qualsiasi genere, dai piccoli ai grandi, a quelli più anziani fino ai 'medi', come me!
Miguel, 42 anni, autista di autocarri

Con una dimensione del genere non si può sbagliare, soprattutto sul fronte della sicurezza. Spingendo la sua «enduro» su per la salita, saluta i giovanissimi che stanno postando su Tik-Tok le ultime acrobazie. «È uno sport estremo, questo. E qualche incidente può sempre capitare. Non sembra, ma qui l'accesso ai mezzi di soccorso risulta comodo. Sia per le ambulanze, sia per l'elisoccorso della Rega».

Atmosfera rilassata

Attorno all'area del "falò", si aggiunge un nuovo simpatizzante, conosciuto a tutto il gruppo. È Miguel, autista di autocarri 42.enne. Appena terminata una giornata di lavoro, sta valutando insieme ad altri alcuni dettagli dei tracciati.
Tra le «confabulazioni» farcite di termini tecnici come «step up», «step down», rampe e angoli, assicura di come l'atmosfera, qui, sia molto speciale.
«L'ho scoperto cercando 'salti, mountain-bike e Ticino' e sono apparsi dei video di questo parco. Ho chiesto dove fosse ed eccomi qui. L'ambiente è rilassato, ci sono persone di qualsiasi genere, dai piccoli ai grandi, a quelli più anziani fino ai 'medi', come me!», scherza.

I media sociali

I media sociali sono stati importanti anche per Matteo. «Un paio di anni fa ho visto qualcosa su Instagram. È allora che ho deciso di avvicinarmi a questo sport. Ora per me è un'attività fondamentale», dichiara il 16.enne, informatico in formazione alla Scuola Spai di Locarno.
Sfogo, divertimento, tempo trascorso con gli amici... una realtà spuntata dal nulla, inizialmente lontana dagli sguardi indiscreti, è diventata un luogo di aggregazione e di attività sportiva, probabilmente molto più sano di parecchie offerte che si possono trovare nel Sottoceneri.

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