Cade in bici e reclama 270.000 euro

Lui sostiene di essere caduto con la bicicletta a causa della rottura di una forcella difettosa. L’azienda produttrice, invece, punta il dito contro la sostituzione da parte del ciclista dei cerchi e dei pattini dei freni originali con altri di materiale incompatibile. Da quell’incidente sono passati più di sette anni, durante i quali si sono espressi vari gradi di giudizio, ultimo in ordine di tempo il Tribunale federale. Ma non è ancora stato chiarito se il ciclista ha diritto o meno ai 270.000 euro che reclama come indennizzo per la rovinosa caduta che gli causò gravi ferite e due giorni di coma farmacologico.
Era il 5 giugno 2017 tra Budoni e Agrustos, in Sardegna, dove un 83.enne imprenditore toscano si era recato con alcuni amici, come ogni anno, per seguire la propria passione per le due ruote. L’anziano cicloamatore pedalava in sella a una bicicletta da corsa di fabbricazione svizzera quando, a un certo punto, cadde dal mezzo e sbatté violentemente il viso sull’asfalto. Trasportato d’urgenza all’ospedale di Olbia, fu ricoverato per i postumi di un trauma cranio facciale e la frattura della mano, del gomito e delle vertebre.
Una volta uscito d’ospedale, l’imprenditore ha intentato una causa con la quale chiedeva un indennizzo di 270.000 euro all’azienda svizzera produttrice della sua bicicletta da corsa, a suo dire difettosa. Un’argomentazione corroborata da una perizia disposta dal Tribunale di Grosseto, secondo cui la caduta del ciclista era stata causata dalla rottura della forcella della bicicletta, a sua volta causata da un difetto del materiale composito, la fibra di carbonio (lo spessore della fibra di carbonio influisce sulla resistenza della forcella).
L’azienda produttrice, che ha sede nel canton Friborgo, ha messo in dubbio le conclusioni della perizia e, ancor prima, ha contestato la legittimità del cicloamatore italiano a intentare la causa nel proprio Paese di domicilio. Rifacendosi alla Convenzione di Lugano, che stabilisce le competenze internazionali dei tribunali in materia civile e commerciale, l’azienda sosteneva che il caso dovesse essere risolto nel Paese in cui la bicicletta era stata prodotta, ossia in Svizzera.
Questioni territoriali
Dopo un tentativo di conciliazione fallito, l’azienda si è quindi rivolta a un tribunale distrettuale friborghese con una domanda di accertamento negativo dei diritti nei confronti del ciclista. In altre parole, l’azienda chiedeva che si sancisse l’inesistenza di obblighi in relazione all’incidente avvenuto il 5 giugno 2017.
Incredibilmente, il Tribunale distrettuale della Sarine ha dichiarato la domanda irricevibile, giudicando che siccome la forcella era stata fabbricata in Cina non poteva spostare la causa nel Paese, la Svizzera, in cui la bicicletta era stata solo concepita. La rottura della forcella sarebbe eventualmente legata a un problema di fabbricazione e non di concezione.
Una tesi confermata dal Tribunale d’appello friborghese ma ora smentita e annullata dal Tribunale federale. I giudici della massima corte elvetica hanno ritenuto che non fosse il caso di perdersi in quisquilie. Se la bicicletta è stata prodotta e venduta da un’azienda svizzera, è in Svizzera che devono essere stabiliti eventuali indennizzi per difetti di fabbricazione, non di certo inCina, sebbene vi siano state prodotte alcune componenti, tantomeno nel luogo dell’incidente e di domicilio del denunciante, l’Italia.
Dopo sette anni, è quindi stato stabilito il luogo dove deve svolgersi la causa. Ora si tratterà di stabilire la legittimità dell’indennizzo al cicloamatore, che nel frattempo ha compiuto 90 anni in perfetta salute.