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Calma (genialità) e gesso: così nascono le scagliole

Elfi Rüsch ci racconta la parabola di una tecnica dimenticata - Nel Settecento imperversavano le botteghe intelvesi e di Ascona
Paliotto d’altare nella chiesa di Santa Maria degli Angioli a Lugano, della bottega Solari. (foto Ely Riva)
Carlo Silini
06.04.2019 06:00

Ci voleva la passione catalogatrice di Elfi Rüsch per ridare dignità a un genere artistico particolarissimo che ha conosciuto la sua stagione d’oro proprio nelle nostre terre, tra l’inizio del Settecento e la fine del medesimo secolo: la scagliola. Avete presente la parte bassa di numerosi altari delle nostre chiese (tecnicamente: i «paliotti»), quelli traboccanti di motivi ornamentali rigogliosi a base di figure vegetali e animali -soprattutto uccellini - stilizzate e variopinte? Sembrano marmi intarsiati, ma spesso non lo sono. Si tratta di scagliole, appunto, manufatti in gesso levigato che esigono conoscenze e abilità tecniche padroneggiate da alcune antiche botteghe tra la Val d’Intelvi, Ascona e il Piemonte. Da lì sono usciti questi gioielli del rococò, l’ultimo fantasioso scampolo del barocco. Ad essi Elfi Rüsch (nella foto Puztu sotto) ha dedicato un vero e proprio catalogo, con fotografie di Ely Riva, L’arte della scagliola a intarsio in Ticino, pubblicato di recente da Casagrande.

«La catalogazione”, esordisce la studiosa che incontriamo (non a caso, come si vedrà) nella chiesa di Santa Maria degli Angioli a Lugano, “mi appassiona da decenni. Dopo aver lavorato per cinque anni con un architetto sono entrata nella piccolissima équipe di Virgilio Gilardoni che lavorava per la Società svizzera di storia dell’arte. Da allora ho catalogato di tutto: pietre romaniche, arredi sacri, reliquiari barocchi e oggetti vari d’arte popolare, la mia vera passione. Come le fontane, i lavatoi, i graffiti, svariati edifici, le molte cappelle e vie crucis sparse in tutto il cantone. È stata un po’ la mia vita».

Due i periodi preferiti da Elfi Rüsch, il romanico e il Settecento, in tutti i loro aspetti. Ed è nel Settecento che esplode l’arte della scagliola. Ma di cosa stiamo parlando, esattamente?

Elfi Rüsch, che cos’è la scagliola?

«Il termine scagliola indica due cose. Anzitutto la materia prima che si utilizza per fare questi manufatti. In secondo luogo i manufatti stessi, detti appunto scagliola. La scagliola come materia è un tipo di gesso finissimo, come lo zucchero a velo o il talco, che si trova in filoni particolari e che viene mescolata con dei pigmenti. Si fa un impasto e lo si stende su una struttura che nel nostro caso ha la forma di un frontale d’altare».

Come funziona la tecnica a intarsio?

«Consiste in una lastra che viene incisa. In queste incisioni viene immessa una massa morbida, come fosse plastilina, colorata a seconda delle esigenze dello scagliolista: per fare un fiore, una ciliegia, una farfalla o un limone, per dire».

Non si tratta di lastre dipinte, quindi?

«No, si tratta di lastre intarsiate anche se per alcune piccole finiture gli scagliolisti usavano il pennello. Non è neanche un intarsio di pietre, tipo mosaico. Le masse inserite negli incavi vengono poi pulite, spazzolate, levigate e lucidate. Alla fine il tutto viene coperto e lucidato un’ultima volta con cera d’api o altri oli speciali. L’effetto è quello del marmo, solo che è del tutto levigato. Non è facile da spiegare. Quando è possibile io faccio passare le dita sulla lastra alla gente che mi chiede di cosa si tratta per far capire che la superficie è completamente liscia».

Siamo in pieno Settecento.

«Esatto. Per il canton Ticino parliamo del XVIII secolo. I primi pezzi datati risalgono al 1703-1709 e la tecnica è in uso fino alla fine del Settecento. Poi se ne trova ancora traccia, ma soprattutto per lavori di restauro. Il pezzo ex novo più tardo che ho trovato è del 1798. Più avanti ho trovato solo interventi di restauro. Ma la tecnica è molto più antica».

A quando risale?

«Alla metà del Seicento. Ma qui parliamo di pezzi italiani. Uno dei centri di produzione è l’Emilia Romagna, dove dicono che sia stata inventata. In realtà è stata reinventata. Perché troviamo la scagliola già in epoca romana, solo che non era utilizzata a intarsio ma per rivestimenti parietali. In ogni caso dall’Emilia la tecnica si diffonde in tutta Italia, passa alla Baviera. I principi bavaresi mandavano infatti i loro stuccatori a imparare la tecnica a Roma per poi tornare e riempire di scagliole i loro castelli».

E nel resto della Svizzera?

«Ne troviamo in Svizzera interna, influenzate sia da opere bavaresi, sia da opere nostre e del Nord Italia. Nel Settecento si diffonde nuovamente, ma a partire dalla Valle d’Intelvi».

Perché mi ha dato appuntamento qui, alla chiesa degli Angioli a Lugano?

«Perché proprio qui si trovano quattro paliotti tutti di provenienza intelvese. Come dicevo, la valle d’Intelvi era uno dei centri di produzione delle famiglie che lavoravano in modo particolare la scagliola. Generalmente si trattava di stuccatori – molti dei quali hanno girato tutta Europa - che erano anche abili scagliolisti. E in questa chiesa abbiamo paliotti solo di origine intelvese».

Ammiriamo insieme le opere nei paliotti d’altare delle cappelle laterali sulla destra (per chi entra) e in quello dell’altare maggiore, oltre la parete con il grandioso affresco della crocifissione del Luini. Ma ci tocca osservare tutto da dietro le grate, l’accesso a quelle aree è riservato e, in generale, chi entra nella chiesa difficilmente si concentra su questi oggetti d’arte cosiddetta minore.

«Eppure, ci spiega Rüsch, ne vale davvero la pena. I quattro esempi della chiesa degli Angioli sono tra i più antichi conosciuti delle nostre parti e provengono tutti dalla stessa bottega, quella intelvese dei Solari: quattro generazioni di artisti che si trasferiscono poi in Piemonte e sono particolarmente attivi nel Monferrato. Una scuola di famiglia che si caratterizza per l’eleganza e per lo stile molto riconoscibile (agli occhi di un’esperto, ndr). Uno di essi è anche datato: 1709. Sono di tipo geometrico, tripartiti, con dei motivi come rettangoli, quadrati, esagoni eccetera. Le figurine centrali dei paliotti sono sempre legate ai titoli della cappella in cui sono collocati. Qui abbiamo per esempio san Francesco».

Ma in Val d’Intelvi non c’era soltanto la bottega dei Solari per le scagliole.

«Vero, la seconda famiglia è quella di Giovan Battista e Gaetano Rava o Rapa, non si capisce bene quale sia la dizione esatta. Non si sa bene neppure se fossero fratelli o se la bottega fosse composta da padre e figlio, insomma la genealogia non è chiara».

Sfogliando il libro scopriamo che i paliotti dei Rava (o Rapa) si riconoscono soprattutto per un motivo decorativo loro specifico: il cosiddetto «baldacchino cinese» che sovrasta le figure centrali.

E in Ticino?

«In Ticino abbiamo una bottega importante ad Ascona, quella di Giuseppe Maria Pancaldi con due generazioni, padre e figlio. Ma ci sono anche botteghe meno conosciute e studiate».

C’è chi ha ipotizzato che l’uso della scagliola fosse un economico sostitutivo dei marmi intarsiati. Ma in Ticino il marmo c’era eccome e di ottima qualità: quello delle cave di Arzo.

«Esatto. E infatti non bastano le ragioni economiche per spiegare il fenomeno della scagliola. Il fatto è che era diventata una vera moda. Va detto che non solo l’intarsio marmoreo era difficile (basti pensare all’opificio delle pietre dure); anche la lavorazione della scagliola era complessa e non stupisce che ci fossero dei segreti di bottega. Ripeto, a mio avviso la scagliola deve essere diventata una moda come attesta anche una certa concorrenza tra le varie botteghe, con una ricerca di motivi decorativi particolari. Abbiamo delle chiese dove vediamo opere di intelvesi e opere di asconesi. È molto curioso».

IL LIBRO

Il libro L’arte della scagliola a intarsio in Ticino, testi di Elfi Rüsch e foto di Eli Riva, è di fatto una catalogo ragionato sulle scagliole organizzato per regioni geografiche (Tre Valli, Bellinzonese, Locarnese, Valli locarnesi, Luganese e Mendrisiotto), il che facilita le considerazioni intorno alla diffusione dei paliotti e alla ricettività di questa particolare tecnica.

LA DOCUMENTAZIONE

Le scagliole sono manufatti ascrivibili all’artigianato e alle «arti minori» di antica tradizione, che nelle nostre regioni (e nell’alta Italia) hanno raggiunto il loro massimo splendore nel XVII e XVIII secolo. Oggi disponiamo di una notevole documentazione per la Valle d’Intelvi, per tutte le diocesi piemontesi, per la riva sinistra del Lago Maggiore e per singoli manufatti presenti in area milanese, lodigiana e parmense.

LA TECNICA

«Scagliola» è una sorta di gesso finissimo come talco, con cui sono stati eseguiti i manufatti definiti con lo stesso termine. La definizione è dovuta al fatto che questo gesso si sfalda facilmente o si stacca in natura a finissime scaglie. Nonostante le apparenze, non si tratta né di una superficie dipinta (con rare eccezioni) né di un intarsio marmoreo. Si tratta di arte o, meglio, di una tecnica illusionistica e di illusionismo cromatico, di «mimesi» nel senso di imitazione di altre opere (che sono però servite da modello).

I MAESTRI

Grazie alla presenza della firma, abbiamo lavori riconducibili con certezza a Pietro Solari (1687-1762), a Francesco Solari/Solarius (1707-1769), a Gaetano Rava (date non reperite) e a Giovan Battista (Gio Batta) Rava (1680-1748) intelvesi,2 nonché a Giuseppe Maria Pancaldi (Ascona 1700 ca-1778?) asconesi e a Carlo Giuseppe (1737-post 1823).