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Campi Flegrei: il vulcano gigante sull’uscio di casa

Pensando a Napoli una delle immagini che vengono alla mente è quella del Vesuvio ma è a ovest del capoluogo campano che si trova una delle caldere più grandi della terra – Ce ne parla il geofisico Maurizio Ripepe
Napoli e il Vesuvio, la cui eruzione del 79 dopo Cristo distrusse le città romane di Pompei e Ercolano. © Shutterstock
Nicola Bottani
Nicola Bottani
05.03.2022 06:00

Ricordate l’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai? È il vulcano sottomarino situato nell’arcipelago delle Isole Tonga che all’inizio di quest’anno è esploso con una violenza eccezionale, tanto che dall’Oceano Pacifico gli effetti hanno fatto il giro del mondo. Una simile bomba a orologeria l’abbiamo anche alle porte di casa nostra ed è quella dei Campi Flegrei. Andiamoli a scoprire con le parole del geofisico Maurizio Ripepe.
Se pensiamo a Napoli, una delle prime immagini che vediamo stagliarsi nella nostra mente è quella del Vesuvio. Ossia il vulcano che nel 79 dopo Cristo, eruttando con immane forza, distrusse le città romane di Pompei e Ercolano e la cui ultima eruzione risale al 1944, in piena Seconda guerra mondiale. È però a Pozzuoli, a ovest della città partenopea, che troviamo il sistema vulcanico potenzialmente più pericoloso, appunto i Campi Flegrei. Rientra nel novero dei cosiddetti supervulcani, termine che però non appartiene a quelli della vulcanologia. È stato infatti coniato nel 2000 dagli autori di Horizon, programma di divulgazione scientifica trasmesso dalla catena televisiva britannica BBC.

L’esplosione dell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai dello scorso gennaio in una foto satellitare. © NASA
L’esplosione dell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai dello scorso gennaio in una foto satellitare. © NASA

Attività visibile a occhio nudo
«I Campi Flegrei – esordisce Maurizio Ripepe, che è professore all’Università di Firenze, dove è responsabile del Laboratorio di geofisica sperimentale – sono vivi e vegeti, continuano a ribollire, per così dire. Ciò è testimoniato dai fenomeni che ognuno di noi può osservare e apprezzare coi propri occhi nella zona di Pozzuoli. Per esempio, le fumarole che senza soluzione di continuità rilasciano nell’ambiente vapore acqueo e altri gas vulcanici ad alte temperature. La caldera dei Campi Flegrei, ossia la depressione che solitamente si forma in seguito allo sprofondamento della camera magmatica di un vulcano e non è da confondere con i crateri, ha un diametro di 13-15 chilometri. Ciò permette di intuire e capire quanto sia stata ampia e pure violenta l’ultima esplosione conosciuta di cui sono stati protagonisti. Questa eruzione risale a 39.000 anni fa ed è la manifestazione vulcanica più catastrofica avvenuta su territorio europeo negli ultimi duecentomila anni. In tempi decisamente più moderni l’attività dei Campi Flegrei è testimoniata anche dal sollevamento del suolo avvenuto nella zona di Pozzuoli, attualmente di alcuni millimetri all’anno ma che nel 1983 era stato di ben tre metri, fenomeno che era stato accompagnato da scosse sismiche di magnitudo 3-4».

Fumarole nella Solfatara di Pozzuoli: i Campi Flegrei sono sempre attivi. © Shutterstock
Fumarole nella Solfatara di Pozzuoli: i Campi Flegrei sono sempre attivi. © Shutterstock

Termini di paragone
Quale idea potremmo farci noi profani sulla portata delle eruzioni avvenute in Campania in epoca preistorica e ai tempi degli antichi romani?

«Per classificare la violenza delle esplosioni vulcaniche utilizziamo la scala VEI, acronimo di Volcanic Explosivity Index, espressione inglese che non necessita di una traduzione in italiano, per capire cosa significhi. Si calcola che l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo abbia raggiunto un valore attorno a 5 sulla scala VEI, mentre l’esplosione dei Campi Flegrei di 39.000 anni fa è arrivata a quello di 7. La differenza fra questi valori è di due unità, il che ai profani potrebbe apparire come poca cosa. Essendo però il VEI una scala logaritmica, ciò significa che l’esplosione dei Campi Flegrei è stata cento volte più forte di quella del Vesuvio fatale per gli abitanti di Pompei e Ercolano. Le ceneri della preistorica eruzione dei Campi Flegrei hanno perforato la stratosfera fino a un’altezza di 40 chilometri e sono state trovate fino a distanze di 2.500 km dal vulcano. È dunque facile intuire quali siano state la portata e le conseguenze dell’evento».

Ma non è finita qui, con i grandi numeri... «Rimanendo a questa eruzione preistorica dei Campi Flegrei, si stima che abbia interessato un’area di tre milioni di chilometri quadrati (dieci volte la superficie complessiva dell’Italia, per intenderci) e che sono stati eruttati circa 200 km cubi di materiale. Quando a Stromboli, che si trova nell’arcipelago siciliano delle Eolie ed è una delle isole vulcaniche più famose al mondo, l’attività vulcanica, pressoché continua, genera per esempio emissioni di materiale pari a circa un metro cubo».

L’eruzione del Vesuvio avvenuta nel 1944.
L’eruzione del Vesuvio avvenuta nel 1944.

La questione della sicurezza
Tenendo conto dei dati evidenziati da Maurizio Ripepe, si può proprio dire che la bomba a orologeria dei Campi Flegrei riguarda da vicino anche il Ticino, pur se Napoli e Pozzuoli in linea d’aria si trovano a una distanza di poco inferiore ai 1.500 km da noi.

«Prima o poi i Campi Flegrei potrebbero essere protagonisti di un’altra attività eruttiva. Non possiamo però prevedere quando ciò accadrà e quanto sarà violenta. I vulcani impiegano lunghi archi di tempo per caricarsi, se mi concedete questa espressione, dopo di che eruttano enormi quantità di materiale molto velocemente. In ogni caso è certo che si pone una grande questione ed è quella dell’incolumità delle persone che vivono nelle regioni limitrofe».

La Città metropolitana di Napoli, ente territoriale che comprende 92 Comuni e ha una superficie di 1.171 km quadrati, alla fine di novembre del 2021 contava 2.975.624 abitanti. «Per avere il tempo necessario per evacuare un numero così grande di abitanti, è necessario prevedere con sufficiente anticipo una possibile eruzione, ma si deve anche riuscire a capire quanto sarà violenta ed estesa la sua area di impatto. Studiare soluzioni concrete da applicare è davvero complicatissimo, in un contesto come quello campano».

Il professor Maurizio Ripepe è responsabile del Laboratorio di geofisica sperimentale all’Università di Firenze.
Il professor Maurizio Ripepe è responsabile del Laboratorio di geofisica sperimentale all’Università di Firenze.

L’esempio più recente
Pensando all’esplosione violenta più recente di un vulcano, che cosa ci ha mostrato quella dell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai? «Innanzitutto possiamo dire che si è trattato di un evento che ha generato fenomeni eccezionali, con un valore sulla scala del Volcanic Explosivity Index fra 5 e 6. Si sono inoltre riunite le condizioni ideali per raggiungere la massima esplosività possibile. Si è infatti trattato di una cosiddetta eruzione di tipo freatico, con l’acqua che ha contribuito ad alimentarla. Infatti, il centro vulcanico era fra i 250 e i 300 metri sotto il livello del mare e l’acqua, entrando in contatto con il magma, ha fatto aumentare la potenza dell’evento. Se il centro vulcanico si fosse trovato a una profondità maggiore rispetto al livello del mare, diciamo attorno ai mille metri, la massa d’acqua soprastante molto probabilmente avrebbe attenuato gli effetti anziché alimentarli».

A Stromboli il mare si è sollevato di circa 1,5 cm in seguito all’eruzionedell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai. © Shutterstock
A Stromboli il mare si è sollevato di circa 1,5 cm in seguito all’eruzionedell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai. © Shutterstock

Quattro giri del mondo
Maurizio Ripepe ricorda pure che gli effetti di quanto è avvenuto nell’arcipelago delle Tonga sono stati a livello planetario. «Le onde d’urto dell’esplosione dell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, viaggiando nell’atmosfera, hanno fatto il giro del mondo per almeno quattro volte, come è stato rilevato dagli strumenti di misurazione. Compresi i nostri che sono posizionati a Stromboli, all’Etna e all’Amiata (gruppo montuoso di origine vulcanica che si trova in Toscana, ndr). A Stromboli l’onda d’urto è stata registrata anche dai sensori che si trovano in mare a una profondità di 50 metri e la cui funzione principale è di rilevare gli tsunami. Stromboli è a 17.740 chilometri dall’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai ma l’onda d’urto ha prodotto una pressione pari a un sollevamento del Mar Tirreno di circa un centimetro e mezzo. Un altro dato che la dice lunga sulla potenza di questa eruzione. L’onda d’urto è stata così forte da essere inoltre udita a oltre duemila chilometri di distanza e da produrre uno tsunami lungo le coste del Giappone e del Perù, che grosso modo sono a 8.000 e 10.000 km di distanza dalle Tonga».

Le strade di Zafferana Etnea ricoperte da cenere vulcanica dell’Etna in una foto dello scorso mese di febbraio.© Salvatore Allegra/Keystone
Le strade di Zafferana Etnea ricoperte da cenere vulcanica dell’Etna in una foto dello scorso mese di febbraio.© Salvatore Allegra/Keystone

Quando la Terra viene sconvolta da eventi naturali

Quando la natura si scatena, le conseguenze per il nostro pianeta e soprattutto per gli organismi viventi che lo abitano, noi uomini compresi, possono essere serie e molto estese. Addirittura di portata planetaria e con effetti che si prolungano per anni.

Occhio anche al cielo
«La vita sulla Terra – spiega Maurizio Ripepe – corre i pericoli più grandi per due fenomeni naturali: l’esplosione di un vulcano, come quello dei Campi Flegrei, oppure l’impatto di un meteorite. Per esempio il bolide che circa 65 milioni di anni fa, precipitando dal cielo nella regione della penisola messicana dello Yucatán, ha causato nel Cretaceo l’estinzione di circa il 70 per cento delle specie viventi del pianeta di allora, fra cui i dinosauri. Terremoti, inondazioni, tsunami e altri eventi catastrofici possono pure creare danni notevoli, ma hanno aree d’impatto più limitate e dunque non producono effetti di tipo globale».

I dinosauri si estinsero circa 65 milioni di anni fa a causa di un meteorite. © Shutterstock
I dinosauri si estinsero circa 65 milioni di anni fa a causa di un meteorite. © Shutterstock

L’Uomo di Neanderthal
«In epoca preistorica, la cenere immessa nell’atmosfera dall’esplosione dei Campi Flegrei di 39.000 anni fa ha originato nel continente europeo un abbassamento delle temperature medie fino a 8-9 gradi per circa due anni. Un fenomeno che unito alle piogge acide ha avuto effetti catastrofici sull’ambiente per quasi un secolo. Si pensa che questo drastico cambiamento del clima sia stato una delle cause che hanno portato all’estinzione dell’Uomo di Neanderthal, che a differenza dell’Homo Sapiens non è stato in grado di adattarsi al repentino mutamento delle condizioni ambientali», sottolinea ancora Maurizio Ripepe.

Ricostruzione del volto di un Uomo di Neanderthal. © Shutterstock
Ricostruzione del volto di un Uomo di Neanderthal. © Shutterstock

L’eruzione del Tambora
«Un’eruzione di portata globale – prosegue il nostro interlocutore – è inoltre stata quella del Tambora, vulcano dell’isola indonesiana di Sumbawa. È avvenuta nel mese di aprile del 1815 ed è l’unica eruzione che in epoca storica ha raggiunto il valore di 7 sulla scala VEI, paragonabile dunque a quella preistorica dei Campi Flegrei. Ha generato il collasso del cratere centrale del Tambora e la formazione di una caldera di 6-7 chilometri di diametro. Ceneri e gas di questo vulcano sono state espulse fino ad un’altezza di alcune decine di chilometri, nella stratosfera, riducendo così il passaggio dei raggi solari. Gli effetti, dal sud-est asiatico, si sono estesi al nostro emisfero e quindi all’Europa. E in misura così marcata che il 1816 è poi passato alla storia come l’anno senza estate, poiché è stato caratterizzato, dal punto di vista climatologico, da basse temperature, abbondanti precipitazioni e nevicate nei mesi estivi».

Scorcio della caldera del Tambora in Indonesia. © Shutterstock
Scorcio della caldera del Tambora in Indonesia. © Shutterstock

L’aiuto della vulcanologia
Insomma, i vulcani davvero possono complicare la vita sulla Terra, quando entrano in azione... «Proprio per questo un aiuto può arrivare dalla vulcanologia e dagli scienziati. Non possiamo evitare le eruzioni nelle loro più disparate forme, ma grazie alle nostre ricerche siamo in grado di capire sempre meglio i fenomeni che le caratterizzano. Di conseguenza, possiamo anche cercare di comprendere come, perché e quando entrano in attività. Collaborando con organismi come la Protezione civile, noi scienziati possiamo dare una mano a valutare con cognizione di causa quali misure si potrebbero prendere per salvaguardare la vita e l’incolumità delle persone, non solo quelle che sono a contatto più stretto con un vulcano».

Il lavoro, ai vulcanologi e ai geofisici come il professor Ripepe, non manca di sicuro. Nel mondo ci sono infatti millecinquecento vulcani attivi, fra i quali l’Etna, tornato a dare spettacolo con i suoi getti incandescenti in queste settimane.

Fra ricerche, primati e capolavori letterari

L’Osservatorio Vesuviano
La più antica istituzione scientifica che si dedica allo studio dei vulcani è l’Osservatorio Vesuviano. È stato fondato nel 1841 e la sua sede originaria si trova sulle pendici del Vesuvio, a 608 metri sul livello del mare sul Colle di San Salvatore, fra Ercolano e Torre del Greco. Nel 2001 è diventato la sezione di Napoli dell’INGV, ossia l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. L’ultima eruzione del Vesuvio è avvenuta fra il 16 e il 29 marzo del 1944, in piena Seconda guerra mondiale.

Turisti visitano il Vesuvio con la città di Napoli sullo sfondo. © Shutterstock
Turisti visitano il Vesuvio con la città di Napoli sullo sfondo. © Shutterstock

Studi in corso per le allerte precoci
Dal 2007-2008 il Laboratorio di geofisica sperimentale dell’Università di Firenze, diretto dal professor Maurizio Ripepe, è impegnato in un progetto di ricerca sulla problematica delle allerte precoci in caso di imminenti eruzioni vulcaniche. «Il sistema – spiega Maurizio Ripepe – si basa sulle onde acustiche, poiché i gas in pressione rilasciati già prima di un’esplosione interagiscono con l’aria e provocano onde acustiche. Le onde di pressione/acustiche più energetiche hanno una frequenza inferiore ai 20 hertz. Gli uomini non possono udirle, ma si propagano anche per migliaia di chilometri, al contrario delle onde sismiche che vengono smorzate e attenuate molto rapidamente dalla crosta terrestre. Attualmente questo sistema è operativo sul vulcano dell’Etna e ci permette di prevedere le eruzioni con un anticipo che mediamente è di 70 minuti. Da notare che solo un decimo dei 1.500 vulcani attivi nel mondo viene monitorato regolarmente».

L’Etna in attività in un’immagine dello scorso 22 febbraio. © Salvatore Allegra/Keystone
L’Etna in attività in un’immagine dello scorso 22 febbraio. © Salvatore Allegra/Keystone

I giorni cupi di Mary Shelley e Lord Byron
Nell’estate del 1816, caratterizzata da piogge incessanti, temperature rigide e anche nevicate in seguito all’esplosione del Tambora avvenuta l’anno precedente in Indonesia, la scrittrice inglese Mary Shelley soggiornò a Ginevra, dove raggiunse il poeta e suo connazionale Lord Byron. In quei mesi Mary Shelley scrisse la sua opera più conosciuta, ossia Frankenstein o Il moderno Prometeo e Lord Byron la poesia Darkness (Tenebra), il cui tema è la fine del mondo. Quei giorni cupi trascorsi a Ginevra hanno quindi ispirato due capolavori della letteratura mondiale.

Il geyser «Old Faithful» nel Parco nazionale di Yellowstone. © Shutterstock
Il geyser «Old Faithful» nel Parco nazionale di Yellowstone. © Shutterstock

Le maggiori esplosioni della storia
Tra le eruzioni vulcaniche più potenti della storia figurano quelle dello Yellowstone (Stati Uniti) e del Toba (Indonesia). L’esplosione dello Yellowstone è avvenuta 600.000 anni fa e a tutt’oggi l’omonimo Parco nazionale è ricco di manifestazioni di tipo vulcanico, per esempio i geyser. Quella del Toba risale invece a 70.000 anni fa e ha prodotto una caldera di circa 100 chilometri di diametro. Entrambe queste eruzioni hanno emesso materiale lavico nell’ordine di 1.000 km cubi e sulla scala VEI (Volcanic Explosivity Index) sono classificate di grado 8, quello massimo. Ciò significa che sono state 10 volte più potenti di quella dei Campi Flegrei risalente a 39.000 anni fa e 1000 volte di più rispetto all’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo.

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