Berna

Canone radio-tv, il Governo deve studiare un’alternativa al metodo di calcolo

Il criterio del solo fatturato va riesaminato, alla luce dei problemi riscontrati da numerose imprese - Il postulato di Fabio Abate (PLR) è stato accolto dal Consiglio degli Stati - Il «senatore»: «Ci sono altri metodi»
Radio in ufficio: una realtà. Varie aziende però per gli Stati pagano troppo canone. (Foto Shutterstock)
Giorgia von Niederhäusern
18.06.2019 16:53

BERNA - Da quest’anno, il canone radiotelevisivo è addebitato anche alle imprese, indipendentemente dal possesso o meno di apparecchi di ricezione. Le imprese assoggettate all’IVA in Svizzera che realizzano una cifra d’affari a livello mondiale pari o superiore a 500.000 franchi all’anno sono obbligate a versare il canone. La fattura annuale varia, a dipendenza del fatturato (e non del guadagno), da 365 a 35.590 franchi. Un metodo di calcolo che il Consiglio federale deve riesaminare. Il Consiglio degli Stati ha infatti votato a favore di un postulato (che come tale non necessita di essere approvato da entrambe le Camere parlamentari per essere approvato) in tal senso di Fabio Abate - e firmato anche da altri sei membri della Camera alta - con 25 voti contro 11 e 2 astensioni.

Il «senatore» ticinese non ha voluto mettere in dubbio il principio secondo il quale le aziende ora devono pagare il canone. Il criterio in base al giro d’affari «sta però mettendo in una situazione difficile varie piccole e medie imprese», ha affermato. Un fenomeno riscontrato in Ticino e nel resto della nazione.

Varie società che rientrano nella categoria assoggettata con un fatturato di almeno a 5 milioni di franchi, sono chiamati a pagare un canone pari a 2.280 franchi, una cifra sproporzionata se paragonata all'effettivo guadagno ottenuto. In sostegno alla richiesta di Abate, Thomas Minder (indipendente, ma nel gruppo UDC), imprenditore sciaffusano, in aula ha ribadito che un grande fatturato milionario non significa anche grossi margini o guadagni.

Da parte sua, Simonetta Sommaruga durante il dibattito ha affermato che, in ogni caso, è previsto un esame del nuovo sistema di riscossione del canone a metà del 2020 con lo scopo di ottenere un primo bilancio. Fino ad allora per la consigliera federale non c'è motivo di ripensare il modello stabilito. Le aziende che oggi pagano il canone sono solo un quarto del totale delle imprese svizzere, ha poi enfatizzato Sommaruga. La maggior parte della somma destinata alla televisione e radio pubblica insomma giunge dalle economie domestiche, non dalle società. Inoltre, all’epoca della decisione riguardo al metodo di fatturazione era stata presa in considerazione «tutta una lista di possibilità». Se è stata scelta una fatturazione del canone sulla base del giro d’affari c’è un perché. In ogni caso, anche se il Governo fosse obbligato dal Parlamento a rivedere il metodo prescelto, ha detto la titolare del Dipartimento delle comunicazioni mettendo le mani avanti, è improbabile che si giunga a un nuovo modello che sostituisca quello attuale.

Un quarto delle aziende, ha spiegato Abate al Corriere, «sono comunque 150.000 imprese in tutto il Paese. Una cifra che giustifica un esame della situazione». Anche perché per il liberale esistono altri metodi alternativi che si potrebbero usare. Ad esempio, dare la possibilità di pagare il canone sulla base della notifica di tassazione, concedendo a chi lo volesse l’opzione di dare come riferimento sempre ancora la cifra d’affari.

Anche Comuni scontenti

Stando ai reclami giunti ai politici, diverse società hanno avuto la cattiva sorpresa di vedersi imporre a più riprese, attraverso filiali o partecipazioni a consorzi.

Il gruppo PPD alle Camere si è già detto inquieto dal fatto che anche i consorzi debbano pagare il canone per le imprese.