Case per anziani, l'obiettivo dei nuovi posti letti è lontano: «Urge pensare a delle alternative»

John Gaffuri è presidente dell’Associazione dei direttori delle Case per anziani della Svizzera Italiana da inizio anno. Un settore sotto pressione, anche per via dei ritardi nella creazione di nuovi posti letto.
Siamo arrivati al «giro di boa» della pianificazione integrata LAnz-LACD 2021-2030. Uno dei pilastri della pianificazione è la creazione, entro il 2030, di 1.180 nuovi posti letto nelle case per anziani (CPA). A oggi, a che punto siamo?
«I dati dell’Ufficio degli anziani e delle cure a domicilio indicano che, a fine 2024, i nuovi posti letto creati sono stati circa 330-370. Secondo la pianificazione, entro il 2025 i nuovi posti letto avrebbero dovuto essere all’incirca 600».
I numeri indicano quindi che la creazione di posti letto nella CPA è in ritardo rispetto a quanto pianificato. Quali sono i motivi principali?
«Sicuramente un aspetto importante è rappresentato dal lungo e tortuoso iter burocratico da percorrere per realizzare una nuova struttura. Basti pensare che, nella migliore delle ipotesi, ci vogliono otto anni per creare una nuova casa per anziani in Ticino. Tuttavia, il nostro sistema politico e amministrativo fornisce molti strumenti a chi vuole opporsi a un progetto, allungando spesso a dismisura le tempistiche. È un problema comune a tutte le grandi opere, non solo per le nuove case per anziani. Un ulteriore freno allo sviluppo di nuove case o alla loro riqualifica è l’attuale modello di finanziamento che pone gli enti che vogliono portare avanti un progetto di fronte a rischi finanziari notevoli. Per fare un esempio, oggi il Cantone garantisce una determinata cifra a finanziamento di un progetto; qualsiasi sorpasso di spesa – ipotesi non remota in edilizia – è a carico dei promotori, esponendoli a rischi imprenditoriali non sempre sostenibili per fondazioni o enti pubblici».
A suo avviso, al di là dei ricorsi e delle lungaggini che da sempre ostacolano la creazione di nuove strutture o la ristrutturazione di quelle esistenti, manca la volontà politica di accelerare su questo fronte?
«Nonostante l’invecchiamento della popolazione sia un fenomeno sotto gli occhi di tutti, si è un po’ reticenti a mettere la realizzazione di nuove strutture al centro del dibattito pubblico, passo fondamentale per creare quel clima di consenso diffuso che permetta ai progetti di concretizzarsi. Abbiamo visto casi recenti di progetti bocciati dalla popolazione in cui la casa per anziani non è stata percepita come una priorità da parte dell’elettorato, sottovalutando il ruolo che le case oggi hanno come motore delle comunità in cui sono inserite. Le nuove strutture nascono come aperte a tutti, offrono servizi come la posta, bar, ristoranti, servizi sanitari, svolgendo insomma quel ruolo aggregativo che spesso viene meno nelle realtà più piccole. Ecco, vorrei che si avesse la sensibilità di investire di più nelle strutture, non solo per garantire cure dignitose ai nostri cari, ma per innescare effetti positivi su tutta la comunità».
In caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo di 1.180 nuovi posti letto entro il 2030, qual è lo scenario a cui andremo incontro? E quali sarebbero le conseguenze sulla popolazione anziana e i familiari?
«Dato che l’obiettivo sarà difficilmente raggiunto, urge pensare a delle alternative. Accanto alle misure di sostegno promosse dal piano di azione cantonale, che prevede un rafforzamento dei servizi attuali e un’intensificazione delle collaborazioni in particolare tra servizi domiciliari, centri diurni e case anziani, un’ulteriore opportunità è quella dello sviluppo delle cosiddette forme abitative intermedie, come le residenze intergenerazionali, che si stanno affermando in alcuni cantoni ma che sono ancora poco diffuse in Ticino. L’assistenza a domicilio può avere un ruolo nel mantenere l’anziano a casa più a lungo, ma spesso è una soluzione transitoria e presenta alcuni limiti, sia sotto il profilo dei costi che del rischio di isolamento sociale di chi vive a casa e non ha una rete familiare. Non bisogna dimenticare che avere un sistema di assistenza agli anziani adeguato è fondamentale per sgravare le famiglie. Il rischio altrimenti è che le famiglie debbano dedicare il loro tempo alla gestione degli anziani, sacrificando il lavoro e togliendo, di fatto, risorse all’economia. In quest’ottica, credo si dovrebbe riconoscere di più il valore del volontariato: la solidarietà intergenerazionale a sostegno del mondo socio-sanitario è qualcosa che tocchiamo con mano ogni giorno e che dovrebbe essere riconosciuta in qualche modo anche dall’ente pubblico, ad esempio attraverso sgravi fiscali».
Attualmente ci sono lunghe liste d’attesa in Ticino? È possibile avere una stima regionalizzata?
«Considerando solo le case per anziani con un mandato di prestazione, negli ultimi 2 anni l’occupazione è oscillata tra il 98% e il 99% dei posti a disposizione, con quell’1-2% di disponibilità legato essenzialmente alle tempistiche necessarie alle nuove ammissioni. Ad esempio, nelle due strutture del Parco San Rocco che dirigo (Coldrerio e Morbio Inferiore), al momento abbiamo una ventina di persone in lista d’attesa, tra cui diverse con criteri di urgenza. Va anche sottolineato che le regioni che mostrano una minore pressione sulle liste di attesa sono spesso quelle con una più alta concentrazione di strutture un po’ vetuste. Probabilmente gli anziani di oggi non sono più disposti ad andare in strutture che non rispondono agli standard abitativi attuali o che non prevedono spazi aggregativi adeguati».
Il settore sociosanitario ticinese, ma non solo, è minacciato dalla carenza di personale. Già oggi numerose CPA lamentano difficoltà nel reperire personale. A oggi, qual è la situazione?
«In un recente sondaggio svolto tra i nostri associati abbiamo constatato che sono diverse le realtà che già sperimentano difficoltà a trovare profili qualificati. Per il nostro settore è fondamentale essere percepito come un datore di lavoro attrattivo, scardinando l’immagine obsoleta e distorta del lavoro in casa anziani quale scelta di ripiego. Certo è che la disparità salariale dei nostri operatori sanitari rispetto ai colleghi di altre realtà, nonché i guadagni ottenibili agendo da infermiere indipendente non aiutano in tal senso».


Quali azioni concrete si potrebbero mettere in pratica per cercare di limitare o attenuare il problema della carenza di personale?
«Molte case per anziani si impegnano in politiche di fidelizzazione del personale volte ad allungare la vita professionale di chi lavora all’interno delle nostre strutture. Ciò significa, ad esempio, trovare delle soluzioni personalizzate per i collaboratori che permettano un equilibrio tra vita professionale e privata, aspetto non sempre facile per chi lavora nel settore acuto, nonché l’aggiornamento costante delle competenze per rispondere ai cambiamenti del settore. A livello di sistema sarebbe invece utile snellire l’oneroso iter burocratico che deve affrontare chi segue un percorso di riqualifica professionale per iniziare a lavorare in casa per anziani. Guardando in prospettiva, l’applicazione di tecnologie come l’intelligenza artificiale o la domotica potrebbero sgravare i collaboratori delle mansioni più ripetitive e a basso valore aggiunto, liberando risorse da dedicare alla cura dei residenti».
Il Cantone attraversa un momento di difficoltà finanziaria. Le risorse non bastano per tutti. L’impressione, tuttavia, è che il tema dell’invecchiamento della popolazione non venga preso con la necessaria attenzione. Condivide? Che cosa chiede alla politica cantonale?
«Pur essendo nella media degli altri Cantoni in termini di investimento per l’assistenza e la cura degli anziani, in Ticino l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno più marcato che nel resto del Paese, ponendo il settore di fronte alle sfide che conosciamo. Non solo le case sono piene, ma i residenti presentano situazioni socio-sanitarie più complesse rispetto al passato, con le intuibili conseguenze sui costi per la loro cura. Credo che il dibattito pubblico debba chinarsi sulla scelta tra destinare più risorse al settore o rivedere le prestazioni erogate. Le ottimizzazioni organizzative e la creazione di reti sono certamente aspetti importanti, ma non basteranno a garantire le risorse per un settore dove circa l’80% costi sono rappresentati dal personale».
Il nuovo contratto di prestazione per il settore è fermo al palo: i prezzi del fabbisogno medico, dei materiali e degli alimentari, che generano il 15% circa dei costi delle CPA, sono fermi (con pochi aggiornamenti) a 10 anni fa e non si riesce più a coprire i costi. Perché sembra tutto immobile su questo fronte?
«Alcuni adeguamenti sono stati effettuati a fronte dell’evoluzione dei costi ai cui siamo stati confrontati di recente. Tuttavia, questi adeguamenti non sono sufficienti ed è auspicabile arrivare a una revisione complessiva del mandato di prestazione in tempi rapidi, anche perché la pressione economico-finanziaria su diverse case è notevole in questo momento».
Restando sul tema della sostenibilità finanziaria delle CPA, è possibile avere una stima di quante di esse generano perdite e quante, invece, riescono almeno a chiudere in pari i bilanci?
«Gli ultimi dati consolidati a disposizione sono quelli del 2022 e indicano che circa un terzo delle strutture ha chiuso in perdita, un terzo in pareggio e un terzo ha fatto registrare degli utili. Va sottolineato che le differenze di andamento dipendono dalla situazione specifica di ogni struttura e non si riscontra una casistica tipo (ad esempio dimensioni della struttura o tipo di organizzazione) collegata alla situazione economico-finanziaria delle case».
In generale, è preoccupato per la situazione del settore anziani?
«Le sfide sono davanti ai nostri occhi: sicuramente c’è un po’ di preoccupazione ma, al contempo, anche fiducia. Credo che la cosa più importante per le case e gli enti proprietari sia lavorare a fianco a fianco con il Cantone, i Comuni e la politica con un orizzonte di medio-lungo termine. I nuovi modelli di cura e assistenza agli anziani e il rafforzamento dell’offerta non possono prescindere infatti da un lavoro di squadra tra i diversi attori. Voglio però dare un’ulteriore lettura positiva della situazione. La particolarità del caso ticinese ci dà l’opportunità di essere un laboratorio a livello nazionale, di sperimentare e sviluppare nuove soluzioni, prodotti e iniziative in grado di rendere il nostro Cantone un punto di riferimento per il resto della Svizzera».