«C’è molto da fare ma con i colleghi il confronto è schietto»

Raffaele De Rosa, eletto il 7 aprile in Consiglio di Stato, ci ha aperto le porte del suo ufficio al primo piano del palazzo amministrativo. Il direttore del Dipartimento della sanità e della socialità parla a ruota libera del clima in Governo, del lavoro abbozzato, delle novità in arrivo con l’atteso pacchetto sociale e del suo PPD.
Dal 7 aprile, data della sua elezione, sono trascorsi 165 giorni. Le è capitato spesso di pensare a quella giornata?
«No. Per indole sono una persona che guarda sempre avanti e mai indietro. È ovvio che quella domenica rimarrà sempre nel mio cuore, è stato un giorno speciale. Ma dall’11 aprile, quando il Governo si è insediato, tutte le mie energie e i miei pensieri sono focalizzati sul fare bene questo mestiere. Le questioni aperte e le problematiche sul tavolo sono molte e voglio dare tutto me stesso per ripagare la fiducia che mi è stata accordata dai cittadini».
Da allora ha fatto poca vita pubblica, ha trascorso gran parte del tempo a studiare i complessi dossier del Dipartimento della sanità e della socialità. Si dice che lei sia piuttosto puntiglioso. Conferma?
«È così, sono una persona molto precisa. Chi mi conosce sa che mi piace lavorare al servizio del cittadino, senza risparmiarmi, studiare e approfondire i vari dossier prima di esprimere un giudizio. Forse tutto questo non è così compatibile con la vita del giorno d’oggi dove tutto è online e immediato. Ma vita pubblica e studio dei dossier non sono in antitesi. Infatti, apprezzo molto stare in compagnia e in mezzo alla gente, discutere e ascoltare le loro opinioni. Saper ascoltare, fare sintesi e agire sono gli ingredienti che permettono di risolvere i dossier più complessi».
Quale ha richiesto maggiore lavoro da parte sua?
«Posso elencare molti dossier: costi della salute, pianificazione ospedaliera e altri ancora, come quelle per anziani, invalidi e sociopsichiatrica. Poi ci sono iniziative popolari sul tavolo come ad esempio quella sulla qualità delle cure, sugli asili nido, per le cure dentarie, dei giovani PLR denominata “Le pacche sulle spalle non bastano” per risolvere la questione dei centri chiusi e c’è quella sugli ospedali di valle. Intendo riattivare l’iter politico per capire dove sarà possibile un compromesso e dove, invece, si andrà in votazione dando la parola ai cittadini».
Ha citato la patata bollente EOC-Cardiocentro. La questione è stata risolta positivamente. Quanto si sente sollevato?
«Era un dossier delicato e complesso. È stata da subito una priorità dare il mio apporto per risolvere la vertenza. Tengo a sottolineare il grande impegno svolto dal gruppo tecnico e dal gruppo strategico, come pure l’importante ruolo del Rettore dell’USI Boas Erez quale mediatore e garante del Governo. Tutte le parti hanno manifestato la volontà di raggiungere un punto d’incontro. Decisivo è stato trovare i punti di convergenza tra le parti e accantonare le questioni personali».


Visto che parliamo di Enti del parastato, conferma che non intende entrare nel CdA dell’EOC?
«Sto facendo delle riflessioni in questo senso, non ho ancora una risposta definitiva, vanno soppesati vantaggi e svantaggi ed entrambi gli scenari oggi restano validi».
Un consigliere di Stato necessita di uno staff fatto su misura, altrimenti non va lontano. È d’accordo con questa affermazione?
«Sì, sono assolutamente d’accordo. Ritengo tuttavia che anche gli altri collaboratori del Dipartimento siano altrettanto importanti e vadano valorizzati e responsabilizzati. Le parole che devono caratterizzare il mio staff, e in generale il lavoro all’interno del DSS, sono: fiducia, competenza, serietà e professionalità, cortesia e disponibilità, oltre ad una buona dose di energia per sostenere i ritmi intensi che caratterizzano le giornate di lavoro. Ogni collaboratore va responsabilizzato».
Ha previsto diverse modifiche all’organico che ha ereditato da Paolo Beltraminelli?
«Con l’arrivo di un nuovo direttore è normale che ci siano dei cambiamenti nello staff, che è l’unica cellula di 3 o 4 collaboratori legati direttamente al consigliere di Stato. Non ho però attuato subito questi cambiamenti; prima ho voluto prendermi un po’ di tempo anche per comprendere meglio le necessità. Alcuni collaboratori personali sono rimasti, altri - che ringrazio e ai quali auguro ogni bene - hanno deciso di affrontare nuove sfide professionali. Quale nuovo responsabile dello staff di direzione ho designato Nicolò Parente, mentre la nuova responsabile della comunicazione sarà Chiara Scapozza. Il team si completa con Sara Combi (comunicazione) e Ignazio Crasci (economista)».
Com’è stato l’approccio iniziale del giovane direttore con gli alti funzionari di lungo corso?
«Sono stato accolto molto bene. Abbiamo sin da subito messo sul tavolo le questioni e i temi principali del Dipartimento, e discusso insieme come affrontarle e risolverle. Ho poi esposto le mie priorità e il metodo di lavoro, che sono stati condivisi e ben recepiti. Il DSS è uno dei dipartimenti più grandi e complessi dell’Amministrazione cantonale (ndr. che conta circa 1.300 collaboratori); per questo ho ritenuto opportuno programmare sin da subito delle visite nei vari uffici e nelle diverse sedi per conoscere bene i vari servizi, come pure i collaboratori. Ho trovato dei professionisti responsabili, validi e motivati».

Nel DSS la seconda metà della passata legislatura è stata calda sul fronte dell‘amministrazione, anche per il caso Argo1 che lei ha vissuto dal fronte parlamentare. Ha adottato cambiamenti importanti nella conduzione di capi divisione e capi ufficio?
«Il caso Argo1 ha scosso l’amministrazione e intaccato l’immagine e la fiducia, sia all’interno, sia verso l’esterno. In qualità di nuovo direttore del DSS, questo dossier è per me tra quelli prioritari. Sin da subito, assieme ai funzionari dirigenti, abbiamo fatto il punto della situazione e allestito un programma intenso, con contenuti e tempistiche, per adottare le principali misure che s’impongono».
Presto le toccherà comunicare i premi di cassa malati in Ticino per l’anno prossimo. Mai un momento di grande gioia, o magari è tra coloro che credono in un’inversione di tendenza?
«Dall’entrata in vigore della LAMal, nel 1996, la situazione è andata di male in peggio, con i premi che sono raddoppiati. Il tema è federale e le competenze dei Cantoni sono limitate. Da quest’anno poi, le cose si sono fatte ancora più difficili, con l’Ufficio federale della sanità pubblica che non ha più permesso ai Cantoni di ottenere le informazioni necessarie per esprimersi sui premi proposti dalle casse malati. Di questa inaccettabile situazione ho potuto discutere personalmente, e a più riprese, anche con il direttore dell’Ufficio federale e nel Comitato della Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali della sanità. Rimango tuttavia fiducioso che si possa intervenire, sulla scia del pacchetto di misure per il contenimento dei costi proposto dal Consiglio federale, cercando di ridare piena voce ai Cantoni. Stiamo valutando come muoverci».
Premi e sussidi sono ormai concetti intimamente legati. Ci sono margini di manovra per ridurre l’attuale importante spesa per aiutare chi non ce la fa?
«Se la spesa attuale è importante è perché un’ampia fascia della popolazione è in difficoltà e non riesce ad arrivare alla fine del mese con i propri mezzi. Dopo i risparmi effettuati in questi ultimi anni, ritengo che non ci siano più margini di manovra per ridurre gli aiuti alle fasce più deboli della popolazione. Anzi, nell’ambito del nuovo pacchetto sociale che arriverà a fine settembre, e considerato l’aumento dei premi, sempre maggiore rispetto al rincaro, proporremo degli aiuti mirati per attenuare l’impatto di questa spesa obbligatoria».
Significa che di nicchie di privilegio non ve ne sono più?
«Mi sembra di poter dire che non ci sono “nicchie di privilegio” dopo le varie riforme che si sono susseguite in questi anni (ndr. passaggio dal reddito imponibile a quello disponibile, redditi massimi per il diritto ai sussidi). Gli abusi, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli (ndr. legge federale sull’assicurazione contro la disoccupazione, assistenza sociale, invalidità, sussidi di vario genere), vanno invece combattuti».


Per dare luce verde alla riforma fiscale il vostro collegio ha concordato una contropartita d‘investimento nel settore della scuola e nella socialità. È soddisfatto di questo metodo?
«Le riforme fiscali di una certa importanza sono spesso accompagnate da misure sociali. Ciò avviene sia a livello federale, sia a livello cantonale. Credo che sia un metodo pragmatico e concreto di trovare soluzioni condivise e la convergenza politica su temi di valenza strategica per il Cantone. Rispetto alla prima riforma fiscale e sociale ora i tre temi sono distinti: c’è la fiscalità, la scuola e la socialità. Il problema dell’unità della materia non si pone più. Nell’ottica di costruire una convergenza la soluzione adottata è chiara e trasparente».

Lei è tra coloro che, senza un controbilanciamento, si sarebbero sdraiati sui binari della fiscalità?
«Per quanto mi riguarda la questione non si pone in questi termini. Per riuscire a realizzare delle riforme strutturali è talvolta necessario trovare dei compromessi. Inoltre, nell’ambito delle discussioni con i colleghi su questo tema, abbiamo sin da subito riconosciuto l’importanza di poter bilanciare la riforma fiscale (più che necessaria) con altre misure, come detto nel campo della scuola e del sociale».
Qual è la proposta cardine che troverà spazio nel suo pacchetto dipartimentale?
«Gli ambiti di intervento del pacchetto sociale saranno cinque: la riduzione dei premi di cassa malati (RIPAM), gli assegni familiari integrativi (AFI), gli assegni di prima infanzia (API), il reinserimento sociale e professionale e la lotta al lavoro nero. Una realtà che non si può sottacere e sottovalutare».
Tutto questo oggi è possibile perché le finanze stanno vivendo un periodo florido?
«La situazione delle finanze pubbliche è migliorata in questi anni grazie alle misure di risparmio introdotte negli scorsi anni e alla tenuta dell’economia. Per questo ritengo importante riportare serenità nel rapporto con i Comuni e intervenire nel campo sociale con misure mirate e puntuali».
Il fatto che 3 su 4 fossero suoi colleghi in Parlamento conta qualcosa o no?
«Dal mio punto di vista rappresenta un vantaggio, e credo che sia interessante anche per gli altri colleghi. Conoscersi, aver collaborato, oppure semplicemente essersi confrontati su numerosi temi, permette di superare la diffidenza iniziale e l’incertezza. Ciò ha permesso a tutto il collegio governativo di andare dritti al sodo, senza tanti fronzoli, e di essere immediatamente operativi sin dalle prime sedute».

E del momento che sta vivendo il suo partito cosa ne dice?
«Sono convinto che il PPD abbia dei valori e delle persone valide che hanno molto da dare a questo Paese. Ciò è anche confermato dalla presenza capillare nei Comuni, nei quali spesso il PPD rappresenta un punto di riferimento, dalla tenuta alle recenti elezioni cantonali e dall’ottimo lavoro svolto a Berna».


Pensa anche lei che la congiunzione fra il PLR al PPD (nella peggiore delle ipotesi) di certo non potrà fare male?
«Credo che sia stata una scelta coraggiosa. I due partiti, pur nel rispetto della loro storia, diversità e caratteristiche, hanno dimostrato in questi anni di saper lavorare bene assieme. Per quello che mi concerne, in qualità di consigliere di Stato, ritengo fondamentale il dialogo e la collaborazione con tutte le forze politiche. Un Esecutivo deve lavorare quotidianamente nell’interesse del Cantone e del cittadino, facendo scivolare in secondo piano le questioni prettamente partitiche».
Qual è la più importante sfida che attende il Ticino in questa legislatura?
«Per quanto riguarda il DSS, la sfida principale è rappresentata dall’evoluzione dei costi della salute e dal freno all’aumento dei premi di cassa malati. Si tratta però di problemi che vanno risolti in un orizzonte temporale che travalica quello della singola legislatura, come quelli rappresentati dall’evoluzione demografica e dall’invecchiamento della popolazione. Più in generale, per il Ticino, sono prioritari la tutela del nostro mercato del lavoro, la formazione (nuova facoltà di medicina), la mobilità (apertura del tunnel del Ceneri ad esempio), l’ambiente e la qualità di vita».