L’intervista

«C’è un Ticino politico peggiore dopo due anni di pandemia»

Con il sindaco Michele Foletti abbiamo fatto un bilancio luganese ma anche cantonale dell’anno che sta per chiudersi con la nuova occupazione degli autogestiti all’ex Macello
© CdT/Gabriele Putzu
Bruno Costantini
31.12.2021 09:57

Passate le elezioni comunali di aprile, nessuno avrebbe potuto immaginare che a Lugano il 2021 sarebbe stato funestato dalla morte del sindaco leghista Marco Borradori. La sua carica è tacitamente andata al vice Michele Foletti con il quale abbiamo fatto questo bilancio luganese ma anche cantonale dell’anno che sta per chiudersi con la nuova occupazione degli autogestiti all’ex Macello.

Era destino che a Lugano il 2021 finisse parlando ancora di autogestione. Qual è la soluzione per evitare che la Città resti ostaggio di una minoranza alla quale nulla è dovuto ma che si fa forte della pasticciata e grottesca gestione della demolizione in maggio dell’ex Macello?
«La soluzione è quella che abbiamo sempre proposto: dialogo con chi vuole dialogare. E in effetti persone che vogliono proporre scelte culturali libere ed autonome si sono sedute a discuterne con il Municipio. Tra poco presenteremo un progetto che va in questo senso. Ma cultura “alternativa” non vuol dire anarchia e illegalità».

Eletto un nuovo municipale, il democentrista Tiziano Galeazzi, e nominato il nuovo vicesindaco, il liberale Roberto Badaracco, in Municipio si è trovata la giusta chimica tra persone per lavorare bene?
«Siamo in sette in Municipio, importante è che ci sia una maggioranza di persone che riesce a lavorare insieme e – se possibile – avere anche un buon rapporto e mi sembra che ci sia, indipendentemente di chi sia stato designato vicesindaco, mentre è stato importante che il nuovo municipale abbia compreso il suo ruolo e si sia stia impegnando fino in fondo a svolgerlo. Posso dire che all’interno del Municipio le cose vanno generalmente bene, con l’amministrazione c’è stima, verso le altre istituzioni c’è collaborazione e fiducia. Occorre sicuramente lavorare maggiormente con il Consiglio comunale che ha dinamiche diverse e variegate».

Dopo la morte di Marco Borradori lei chiese unità della politica e vicinanza della cittadinanza. Evaporato il momento della commozione e del cordoglio qual è l’aria che tira?
«La vicinanza della popolazione c’è tutta. E ringrazio i cittadini di Lugano, ma non solo di Lugano, per l’appoggio che stanno dando al Municipio e a me. L’unità della politica è un altro paio di maniche: sento il sostegno da parte dei consiglieri di Stato, sento la collaborazione dell’Associazione dei Comuni ticinesi e quella dei sindaci, soprattutto di quelli delle realtà urbane; purtroppo a livello di Consiglio comunale in troppi hanno approfittato della morte di Marco per cercare di attaccare e indebolire il Municipio, penso e spero solo per calcoli elettorali, senza rendersi conto che in questo modo indeboliscono tutta la città e in definitiva l’intero cantone».

La rovente polemica sull’abbattimento per comunicazione «claudicante» dell’ex Macello, con la coda che abbiamo visto in questi giorni, e poi la morte improvvisa di Marco Borradori hanno fatto calare una cappa di negatività sull’inizio della nuova legislatura. Per il Municipio una salutare iniezione di fiducia è arrivata il 28 novembre con l’approvazione popolare del Polo sportivo e degli eventi. Ora si tratta di andare in cantiere. Si ricorda quando il defunto «conte zio» Attilio Bignasca diceva che la Città non sarebbe stata in grado di gestire un’opera così complessa?
«Certo che lo ricordo e aveva ragione. Proprio per questo abbiamo cercato la collaborazione con i privati, evitando quanto fatto con il LAC. Ora dobbiamo dimostrare di essere capaci a trattare e definire gli accordi: la fiducia ci è stata data dai cittadini, la politica farà sicuramente più fatica a darcela, se mai ce la darà. Però non metterei sullo stesso piano la questione dell’ex Macello e quella della morte del sindaco: mi sembra che siano situazioni umanamente molto distanti tra loro».

Come sono i rapporti con gli investitori privati ora che è arrivato l’avallo popolare?
«Non ho ancora avuto rapporti diretti con gli investitori, prima dobbiamo ancora risolvere altre questioni amministrative. I rapporti saranno sicuramente complicati perché ognuno cercherà di ottenere il massimo vantaggio. Occorrerà contrattare bene ed avere un gruppo di persone preparate e competenti che segua il progetto. Fino a questo punto mi sembra di poter dire che abbiamo lavorato bene, ora occorre proseguire sulla stessa strada».

Il voto favorevole al Polo sportivo è anche uno sprone per riprendere in mano progetti rimasti congelati? Che cosa, dopo il PSE, è prioritario rispetto anche alla situazione finanziaria della Città?
«Come ho sempre detto, prioritari sono gli investimenti per la qualità di vita generale dei nostri cittadini. Proprio per questo abbiamo lasciato aperto il sistema di finanziamento del PSE. Abbiamo davanti a noi il grande cantiere del Piano direttore comunale che ingloberà anche il masterplan del centro città e stiamo rilanciando con gli investitori il progetto del Polo turistico e congressuale al Campo Marzio. Ma non dimentichiamoci che stiamo già lavorando, con i conseguenti disagi, al futuro della Stazione».

Lugano è una bella città, anche se un po’ troppo trafficata e un po’ troppo cementificata malamente. C’è tutto per vivere bene. Eppure la gente scappa. È solo colpa degli affitti alti?
«Che Lugano sia una città cara è innegabile, ma sicuramente ha tutto per vivere bene. La questione degli affitti alti è relativa perché Lugano offre molte possibilità in tanti quartieri. Ovvio, però, che con il miglioramento dell’offerta di trasporto pubblico a livello cantonale è aumentata anche la mobilità: si impiegano 12 minuti di TiLo per spostarsi da Bellinzona a Lugano che è meno di quanto si impiega da Pregassona per arrivare in centro. Stiamo però analizzando la questione anche perché subiamo più di altri il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e questo a lungo termine non è positivo per il futuro della città».

Lei è ormai un veterano del Gran Consiglio e ha quindi anche una visione cantonale. Che Ticino è quello che esce da quasi due anni di pandemia?
«Un Ticino politico peggiore; dopo un primo momento di coesione dovuta allo sconcerto, tutti sono ripartiti a giocare a chi la spara più grossa perdendo la visione globale dei problemi del cantone. La politica si sta dimostrando più meschina di ciò che credevo: gioca sulle paure e sulle difficoltà. Da sinistra a destra e viceversa. In Parlamento ci si accusa l’uno con l’altro e si resta fermi, non si fanno passi avanti».

Appunto, la politica, con certi suoi teatrini autoreferenziali e con certi dibattiti di cui non frega nulla nessuno, è a volte distante dai problemi quotidiani della maggioranza della popolazione. Cosa manca alla classe politica ticinese per essere più autorevole e incisiva?
«Il coraggio di avere visioni che vadano ben oltre al puro marketing elettorale, che alla fine non porta a nulla. E poi la politica parlamentare è autoreferenziale e ignora come funzionano le cose e i bisogni di cittadini e aziende. Basta vedere quante leggi quasi inapplicabili vengono partorite dal Gran Consiglio».

Lei prima ha parlato del sostegno dei sindaci, in particolare di quelli dei centri urbani. Di fronte all’inconcludenza della politica cantonale, si può immaginare che gli stimoli per lo sviluppo del Paese dovranno venire innanzitutto dal territorio con motore le realtà urbane? Fra sindaci delle Città ticinesi avete già un programma di collaborazione per muovervi con coerenza e concretezza nella costruzione della cosiddetta Città Ticino? Sarà, quest’ultimo, un concetto ancora piuttosto astratto, ma rappresenta quel «coraggio di avere visioni» di cui lei denuncia l’assenza.
«Io credo che gli stimoli migliori siano quelli che vengono dal basso, da chi è attivo sul territorio e vuole creare sviluppo. In questo senso i Comuni sono sicuramente più attenti a raccogliere questi stimoli. Al momento non abbiamo ancora un programma, ma solo discusso una specie di intento comune che potrebbe portare veramente alla concretizzazione della Città Ticino, ma occorre che le Città abbiano sufficiente autonomia politica e decisionale per essere protagoniste, con il Cantone, di questo progetto».

Del prevedibile ridimensionamento dell’ambiziosa riforma Ticino 2020 per rivedere i rapporti tra Cantone e Comuni che cosa potrà rimanere di utile?
«Vedremo se si giungerà a qualche soluzione operativa; sicuramente c’è almeno la possibilità di fare un po’ di pulizia tra i vari flussi finanziari. Ciò che rimarrà di positivo è la consapevolezza dei Comuni di poter fare squadra, di aver creato un sistema di collaborazione efficace grazie soprattutto all’impegno dell’Associazione dei Comuni e dell’ERSL come rappresentanti istituzionali».

Le persone che incontra in piazza della Riforma o al bar che cosa le dicono? Che cosa si aspettano dal sindaco?
«In generale sono contente e soddisfatte, si aspettano che continui a gestire la città con coerenza, senza tradire il mio spirito. Di fatto non ricevo minacce, lettere anonime e nessuno mi ferma in città per rimproverarmi di qualche cosa; è già un bel risultato. Certo qualche critica c’è sempre, ma se costruttive le critiche aiutano anche a migliorare».

Alle cittadine e ai cittadini luganesi, e alla popolazione ticinese in generale, che cosa augura per il 2022 per coltivare la speranza e la fiducia nel futuro senza farsi sopraffare dalla pandemia e dall’infodemia?
«Auguro semplicemente di ragionare con la propria testa, senza farsi condizionare da politici interessati e dai mass media sempre negativi. Auguro di credere sempre in se stessi come persone e come cittadini che – per fortuna – nel nostro Stato democratico possono sempre esprimersi nelle votazioni e potranno nel 2023 e nel 2024 scegliere i propri consiglieri di Stato e i propri municipali, oltre che i membri dei Legislativi».