Chi cercava fortuna fuori dal Ticino?

Stefania Bianchi ha da poco pubblicato un libro sugli abitanti dell’attuale Ticino che partivano per l’estero nei secoli passati, dove si raccontano anche strani processi di integrazione fra i ticinesi ante litteram e le popolazioni che da essi erano raggiunte. L’abbiamo intervistata.
Stefania Bianchi, a quali processi di integrazione fa riferimento?
«L’esempio tangibile lo troviamo proprio in copertina: un dettaglio dell’affresco che occupa una grande lunetta nel santuario di Santa Maria del Sasso a Morcote, realizzato nel 1513 da Domenico Pezzi di Puria. L’Andata al Calvario, uomini che si avviano sullo sfondo della città di Genova riconoscibile dalla lanterna che domina il porto, il molo vecchio, il castelletto, le mura medievali, luoghi noti ai molti artigiani e pregevoli artisti partiti alla volta della Superba. E il fatto che l’autore sia della Valsolda ci dà proprio il senso di questa umanità che si incontra, interagisce, condivide, crea delle reti di conoscenza, di lavoro, a volte di amicizia e di alleanze parentali».
Veniamo al presente. Oggi si distingue tra migranti economici e rifugiati, persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Una distinzione che vale anche per gli antichi abitanti dell’attuale Ticino?
«Fatta eccezione per l’età della Riforma che documenta partenze motivate dai conflitti religiosi, la “spinta” è soprattutto di natura economica. Per l’area dei magistri dei laghi si potrebbe parlare di “migrazione attitudinale” che poi diventa specializzazione di mestiere, ma talvolta può scaturire da eventi irreversibili che portano ad un allontanamento definitivo, ad esempio il disonore».
A cosa si riferisce?
«Penso al nipote di Anastasia che per vergogna abbandona Meride dopo il processo contro la donna che confessa la loro relazione carnale; ma questi sono casi “estremi” e di difficile ed occasionale identificazione. Altrimenti la maggior parte ricerca il miglioramento economico, ambisce alla realizzazione di un progetto, alla costruzione di un futuro al di là delle proprie radici, con gli stessi sentimenti e le stesse speranze che animano gli odierni esuli espulsi dalla fame e dalle guerre: migliorare la propria condizione esistenziale. Certo le premesse son ben diverse; per gli abitanti delle pievi meridionali della Svizzera italiana non si può parlare solo di fame e povertà dato che per chi parte c’è chi giunge già dal Cinquecento a lavorare sugli alpi e nei boschi della Svizzera italiana: pastori dalle valli Maggia e Verzasca, carbonai dalla valle Antrona, contadini e boscaioli dalla val Brembana».
Si parte molto per cercare lavoro, quindi. Esistono professioni tipicamente «ticinesi» all’estero? (Penso ai marronai e agli spazzacamini...)
«Tipicamente è forse eccessivo. Diciamo che esistono professioni in cui i ticinesi si sono distinti, imposti, e sono riusciti a creare una leadership, una sorta di monopolio. Penso ai facchini e ai brentatori della valle Leventina e della valle di Blenio nella Milano del Settecento; la loro presenza è così importante, con privilegi riguardanti la persona e le piazze di lavoro, e così ingombrante che i facchini lombardi si lamentano presso le autorità austriache affinché gli Svizzeri vengano allontanati perché rubano il lavoro ai locali. Questo mette in luce un altro aspetto molto attuale riconducibile alle migrazioni».
Quale?
«Dobbiamo imparare che ciò che oggi vale per molti poveri e diseredati, ha condizionato anche i destini specialmente delle valli superiori ancora per tutto il corso dell’Ottocento quando si prospettava il sogno americano. Ma l’America si può fare ovunque scrive Gaudenzio Giudini allo sfortunato figlio Giuseppe. È vero. Per ogni mestiere c’è ci ha fatto fortuna: dai marronai, un esempio per tutti i Ciani, ai grandi impresari dell’edilizia, un mercato spesso controllato dalle nostre maestranze che assumono anche ruoli istituzionali: Capitani a Torino, Proto a Venezia, Architetti camerali a Genova, dove per altro, hanno una specifica iscrizione all’arte. Infatti i mastri lombardi nel corso del Cinquecento si differenziano in Svizzeri e Spagnoli, così come a Torino nella compagnia di Sant’Anna in Luganesi e Milanesi, affermazioni identitarie che si traducono nell’organizzazione del lavoro e nella trasmissione delle competenze».
Infatti c’è anche una gloriosa migrazione artistica che è durata per secoli. Come si spiega questo ricco filone migratorio?
«Il ricco filone dei Magistri dei laghi trae le sue origini da questa praticata logica migratoria frutto di una predisposizione attitudinale insita, favorita dalla conoscenza e dalla pratica della materia; si pensi alle fiorenti cave del San Giorgio, le cosiddette predere rosse, alla ricchezza di biancone del Monte Generoso, che i magistri sanno lavorare con grande perizia, con grande maestria e quindi, quasi si trattasse di un imprinting genetico, hanno molteplici competenze nel trasformare marmi in altari, colonne ritorte, fontane, gesso in pregevoli stucchi e paliotti in scagliola. È chiaro che tendenzialmente la conservazione delle competenze è piuttosto rigorosa e passa attraverso la bottega, la palestra privilegiata per l’apprendimento prima della nascita delle accademie d’arte, e più tardi dei politecnici. Ma è solo con la grande cesura dell’età napoleonica e con la fine dei baliaggi che molte dinamiche cambiano, anche perché in ambito artistico si assiste al tramonto del rocaille, soppiantato dal gusto neoclassico, e quindi dei grandi apparati plastici decorativi che costituivano l’elemento dominante delle case reali e delle residenze signorili» .
E cosa succede?
«Molti dei discendenti di queste secolari famiglie di artigiani e artisti nel corso dell’Ottocento si convertiranno alle professioni liberali o cercheranno nuove professioni da esercitare all’estero, come ad esempio avviene per alcuni casati della valle di Muggio che si “trasformano” in commercianti di vetri, stampe, cornici, attivi a Parigi piuttosto che a Lione. E dalla Francia, più precisamente da Marsiglia, partono gli ultimi mastri verso nicchie di mercato edilizio, nel nuovo mondo o in terre magrebine, prima fra tutte l’Algeria, giovanissima colonia francese che attrae muratori e imprenditori da tutto il sottoceneri».
Da sapere
IL LIBRO
Il libro di Stefania Bianchi «Uomini che partono. Scorci di storia della Svizzera italiana tra migrazione e vita quotidiana (secoli XVI-XIX)» propone una scelta di saggi apparsi negli ultimi anni in riviste scientifiche svizzere e italiane, atti di convegno, monografie, non sempre di facile reperibilità.
I QUATTRO TEMI
La raccolta si articola attorno a quattro temi principali, nei quali si possono ravvedere alcuni paradigmi dominanti nell’ambito delle strategie migratorie tra Antico regime e primo Ottocento. Eccoli: mete e professioni, donne e migrazione, identità e quotidianità, contesti e destini.