Chiusa una magra caccia al lupo: «In Ticino è mancata la volontà»

«Delusione, ma anche un po’ di rabbia». Perché? «Perché il Vallese ha ucciso 24 lupi e il Ticino uno soltanto».
Valerio Faretti è il presidente del neonato Gruppo territori e alpeggi. Lo contattiamo al termine del periodo di regolazione «attiva» del lupo. Una possibilità introdotta dalla nuova ordinanza federale. La finestra temporale data ai Cantoni per gestire la popolazione di lupi sul territorio mediante interventi di controllo «attivi», ossia senza che siano giustificati da predazioni, si è infatti chiusa ieri.
«Il Vallese ha ucciso 24 dei circa 34 lupi inizialmente previsti. Il Ticino, invece, uno soltanto. Uno dei cinque che erano finiti nel mirino delle autorità».
Troppo poco, secondo Faretti: «Il margine di manovra concesso dall’ordinanza federale sulla caccia non è stato sfruttato. Gli effetti sulle tre mute ticinesi saranno quindi ridotti».
Ma come si spiega questa differenza con il Vallese? «È semplice. Il Vallese ha coinvolto circa 800 cacciatori abbinandoli ai guardiacaccia. In Ticino, invece, si ritiene che i cacciatori non siano all’altezza di questo compito. Ma credo che sia solo mancanza di volontà, perché anche in Ticino ci sono cacciatori pronti a mettersi a disposizione, cacciatori di qualità».
Secondo Faretti, sia la Federazione dei cacciatori, sia l’associazione per la Protezione del territorio dai grandi predatori hanno chiesto di poter partecipare alla regolazione del lupo, l’opzione però è stata scartata. «Il Cantone ha preferito evitare, lasciando il compito unicamente ai guardiacaccia, i quali tuttavia hanno una miriade di compiti e, in numero, non sono tantissimi».
Vista l’ampiezza del territorio e il potenziale di spostamento dei lupi, in grado di percorrere fino a 40 chilometri al giorno, era impensabile che si riuscisse a fare di più, osserva ancora Faretti. «L’organico dei guardiacaccia non è infinito. Il risultato era scontato». Di qui, appunto, la frustrazione per non aver potuto fare meglio. «La nuova ordinanza federale è senza dubbio un passo nella giusta direzione, in quanto concede maggiori margini di manovra ai Cantoni, introducendo la possibilità dell’abbattimento preventivo. Se il Ticino, però, non dispone delle risorse necessarie per agire, non vedo come si possa approfittare di questa modifica di legge», osserva Faretti, il quale, in ultima battuta, ricorda l’obiettivo per cui il Gruppo Territori e Alpeggi è stato creato:«In questi ultimi anni, diversi alpeggi caricati a bestiame minuto sono stati abbandonati a causa della presenza del lupo. Il nostro scopo è quindi di fare fronte unito affinché la politica ascolti le nostre rivendicazioni, salvaguardando nel contempo l’attività degli alpigiani e gli investimenti dei patriziati, proprietari degli alpeggi».
In realtà non era così scontato
Sulla difficoltà dell’operazione di regolazione si era già espresso Tiziano Putelli, responsabile dell’Ufficio caccia e pesca: «I nostri branchi sono transfrontalieri e la parte di territorio in Svizzera è molto estesa. L’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) ha inoltre posto una serie di condizioni, tra cui il divieto di tiro sui lupi singoli, ossia quelli avvistati da soli; in più è possibile sparare solo in prossimità di bestiame o di abitazioni». Condizioni che riducono notevolmente la possibilità di riuscita dell’operazione». Insomma, «non è detto che al 31 gennaio ci saranno 5 lupi morti», aveva spiegato Putelli, commentando l’ordine di abbattimento emanato dal Consiglio di Stato per i cinque esemplari ticinesi: tre del branco della Val Colla; uno del branco Carvina; uno del branco della Valle Onsernone. «Eppure, l’impiego dei cacciatori privati, accanto ai guardiacaccia, avrebbe potuto fare la differenza, come nel caso del Vallese», replica Faretti. «Evidentemente non si è voluto fare altrettanto». Da noi contattato per un commento, l’Ufficio caccia e pesca ha fatto sapere che sul tema verrà organizzata una conferenza stampa.
Avvistamenti giornalieri
«Per noi il lavoro non termina con questa tappa del 31 gennaio», commenta dal canto suo Germano Mattei, co-presidente dell’Associazione svizzera per la protezione del territorio dai grandi predatori. «In primavera dovremo affrontare il progetto di revisione dell’ordinanza sulla caccia in vista della sua applicazione prevista per il 1. febbraio 2025. Il prossimo periodo di regolazione del numero dei lupi avrà invece inizio il 1. settembre 2024 e durerà sino al 31 gennaio 2025. Sarà confermato? O vi saranno altre azioni di boicotto? Vedremo», si chiede Mattei. Quanto al numero di lupi abbattuti durante il periodo di regolazione proattiva, il co-presidente aggiunge: «In Ticino è stato prelevato un solo esemplare sui cinque autorizzati dall’UFAM, e questo nonostante il nostro cantone non sia stato toccato dai vari ricorsi che altrove hanno sospeso gli abbattimenti. E sì che di avvistamenti ne sono stati segnalati quasi ogni giorno».
Manca l’acqua, i prodotti caseari sono a rischio
Ma il lupo non è la sola questione a essere stata dibattuta in occasione della nascita del Gruppo Territorio e Alpeggi: «Il cambiamento climatico è in cima alle nostre preoccupazioni, in particolare per la mancanza di acqua che, di anno in anno, registriamo sugli alpeggi», spiega il presidente Valerio Faretti.
La presenza dell’acqua sugli alpeggi è fondamentale sia per l’abbeveraggio degli animali, sia per la produzione casearia: «L’acqua è essenziale nel processo di produzione casearia, sia per la pulizia delle attrezzature sia per la diluizione e il lavaggio dei latti», spiega Faretti. «La portata delle sorgenti sugli alpeggi diminuisce di anno in anno, pregiudicando, in alcuni casi, la lavorazione del formaggio». Alcuni alpeggi hanno dovuto scaricare il bestiame in anticipo perché l’acqua era esaurita, prosegue Faretti. Cosa possono fare quindi la politica e la società? «Potrebbero attuare iniziative decisive, fornendo supporto finanziario e sussidi, al fine di promuovere la ricerca di sorgenti alternative o stabilire connessioni tra gli alpeggi in cui le risorse idriche sono più abbondanti». Di certo, prosegue Faretti, «gli allevatori non possono caricare l’alpe a giugno con il timore di non avere acqua a sufficienza».
Attualmente, in Ticino, sono circa 200 gli alpeggi che vengono caricati con il bestiame. Un’ottantina di questi trasforma il latte in formaggio. «L’indotto economico generato dall’attività alpestre è stimato in 20 milioni di franchi all’anno», osserva Faretti. «Se la carenza idrica dovesse accentuarsi, l’attività casearia sugli alpeggi sarebbe a rischio».
Il Gruppo territorio e alpeggi comprende: l’Unione contadini ticinesi, l’Alleanza patriziale ticinese, l’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori, la Federazione ticinese delle condotte veterinarie (FTCV) e la Federazione ticinese dei consorzi caprino e ovino.