Sestante

«Ci voleva un nuovo bastione, e Leonardo andò a Locarno»

Cinquecento anni fa moriva il grande artista e scienziato italiano - Marino Viganò spiega perché è probabile che il «rivellino» sia opera sua
Progetto di fortezza con bastione «martiniano», (1507, circa). (Biblioteca Ambrosiana Milano, Codice Atlantico)
Carlo Silini
27.04.2019 06:00

Leonardo da Vinci è stato in Ticino, più precisamente a Locarno. Ha studiato con scrupolo il sito fra l’acquitrino e la motta e ha progettato un edificio ad uso difensivo di straordinario valore, il «rivellino», che all’insaputa di molti ticinesi esiste ancora oggi. Se ha ragione Marino Viganò (nella foto in alto sopra il titolo, autore del saggio Leonardo a Locarno - Documenti per una attribuzione del «rivellino» del castello 1507, ed. Casagrande, 2009), la presenza e l’azione del genio fiorentino - di cui ricorrono in questi giorni i 500 anni esatti dalla morte - è molto più di una debole ipotesi o dell’ingenuo desiderio dei suoi innumerevoli fan di oggi di immaginarlo attivo anche da noi. Per celebrare il tondo anniversario gli chiediamo di accompagnarci nel viaggio alla scoperta (o riscoperta) della possibile, voir probabile, presenza di Leonardo nel nostro cantone.

Marino Viganò, lei studia dal 2002 e attribuisce a Leonardo il «rivellino» di Locarno: cos’è, e quand’è costruito?
«Due i profili della questione, che separerei: tipologia, committenza, datazione, e attribuzione a un artefice. Il primo dato è ormai appurato, il secondo resta opinabile benché gl’indizi siano solidi e univoci. Il «rivellino» del castello di Locarno è un bastione per artiglierie, sia a cielo aperto, sia in casamatta, e cioè in galleria. Di pianta pentagonale, con due facce, due fianchi – uno dei quali incassato in una rientranza nel maniero medievale – e una gola rivolta alla parte più antica della fortezza, alto sul livello del lago in origine circa 18 metri, riflette, con caratteristiche assai evolute, il genere di fortificazioni ideate e sperimentate in Italia centrale e meridionale fra il 1470 e il 1503».

Cosa dice la documentazione, in merito?
«I radi documenti residui di funzionari e oratori nel Milanese provano che è commissionato da Charles II d’Amboise, seigneur de Chaumont, grand maître e luogotenente generale per Luigi XII di Valois-Orléans, re di Francia, duca di Milano; che è uno dei molti «rivellini» aggiunti alle piazze milanesi dal giugno 1507 al maggio 1508 per parare un’invasione di Massimiliano I d’Absburgo, «re dei Romani», col sostegno dei Cantoni elvetici e delle Leghe grigie; e che pertanto è, in tal senso, «seriale» come periodo della fondazione e circostanze dell’impianto. Tali dati son attestati dall’identificazione del committente, «der grametter vonn Maÿland der von giomünd», dal nome dei baluardi, «propugnaculis quae revellinos vocant», e dall’elenco dei siti muniti di rivellini, «Gauennam, Nouocomum, Locarnum, Domidossolam, Tiranum, Piatamalam, Lucanos, Nouariam».

Un «rivellino» tra molti altri, quindi?
«No. Non «seriale» è infatti la tipologia, del tutto differente da quella usuale nel nord della penisola, un unicum, di vent’anni in anticipo sui primi esemplari del genere, eretti, dal 1527, da esperti dell’Italia centrale nel territorio di Venezia. E poiché è genuino, e immutato nella struttura e denominazione – anche in età svizzera è detto «Rafellin» –, ecco la questione di rintracciare un ingegnere con tali competenze, al servizio allora dei francesi. Sette anni d’indagini hanno suggerito Leonardo da Vinci, richiamato nella Milano in «stato di guerra», nel maggio 1506, proprio dallo Chaumont, trattenuto ben oltre i tre mesi di licenza, sino a fine agosto 1507 – in piena campagna difensiva –, qualificato, nel luglio 1507, da Luigi XII, «n[ost]re paintre et Jngenieur ordinaire» e inclinato inoltre poco innanzi verso quelle tipologie proto-bastionate, testimoniate in vari suoi progetti».

Qual è la situazione di Locarno all’epoca?
«È un borgo del ducato di Milano, ai confini, «capitale» di una contea estesa tra le valli Maggia e Intelvi, creata nel 1439 da Filippo Maria Visconti per Franchino III Rusca, feudo cuscinetto contro le calate in val Leventina del Cantone Uri, con il fine di spartire gli oneri della difesa. Situazione instabile, aggravata, appena insediatisi i francesi, dalla dedizione di Bellinzona ai Cantoni forestali il 14 aprile 1500, dall’assedio di Lugano del 19 agosto-12 settembre 1501 e di Locarno stessa, dal 18 marzo al 10 aprile 1503, quando le mine nel punto attaccabile del castello, tra il lago e il rilievo su cui sorge, fanno collassare una torre; e quando per incitare i confederati a ritirarsi, Luigi XII cede loro de jure la val di Blenio e Bellinzona con la pace di Arona (11 aprile 1503). La frontiera cade allora tra Gudo svizzera e Cugnasco francese, con Locarno esposta, a differenza d’altri siti, Domodossola, Chiavenna, Tirano, Como, Lugano, protetti da monti e rocche di prima linea: ovvio che, nel 1507, nel timore di un’invasione di imperiali, elvezi, grigioni, si munisca Locarno d’un baluardo poderoso, sanando il crollo del torrione, inglobato nel «rivellino».

Siamo nel periodo in cui Leonardo è a Milano, e il «rivellino» è commissionato dai francesi. Su questo si basa l’attribuzione?
«Sì, lettere danno un’ispezione del d’Amboise nel Sopraceneri, come in altre aree da munire, al 16-17 luglio 1507. Il committente dei rivellini, seriali, e la data sono quindi certi, ma quello a Locarno è «alla Francesco di Giorgio Martini», tipologia di vent’anni in anticipo per l’area; e invece familiare al da Vinci, che già nel 1504 chiosa il manoscritto II del trattato martiniano d’architettura – veicolo del modello –, è richiesto dal committente, trattenuto quindici mesi, qualificato ingegnere. Si aggiunga che nonostante i tentativi, puerili e maldestri, di sminuire l’attribuzione, nessun nome alternativo accettabile viene affacciato per spiegare quell’unicum, sicché il pur opinabile esito della ricerca incontra, con le cautele del caso, consensi prudenti e tuttavia sempre più confortanti».

È ipotizzabile la presenza fisica di Leonardo in Ticino?
«Piantata fra l’acquitrino e la motta, con le traiettorie d’artiglieria da calibrare, l’opera richiede la cognizione del sito. L’ispezione giustificherebbe pure i benefit assegnati al da Vinci, nel 1507, dal regime; che lo stipendierà – «A m[essir].e leonnard painctre iiijc l.[iures]» e «A M[essir].e leonnard Vincy florentin iiijc l.[iures]», secondo i mandati del 1510 e 1511 – e lo invierà, allo stesso modo, a ispezionare durante la guerra di Cambrai (1509-’11) i feudi veneziani annessi tra la Bergamasca e il Bresciano. Il punto è riportare il da Vinci, circondato oggi da un’«aura sacrale», alla sua reale entità: un ottimo ingegnere militare, spedito di frequente in missione, con incombenze molto concrete».