Il vertice

Cina e USA firmano la tregua su dazi, terre rare e fentanyl

A Busan, in Corea del Sud, i leader delle due superpotenze hanno stabilito di fermare, almeno per un anno, la contesa politico-commerciale esplosa con maggiore forza dopo il 2 aprile - Gli analisti sono tuttavia cauti - Il democratico Chuck Schumer: «Il tycoon si è piegato a Pechino»
Dopo sei anni dal G20 di Osaka, in Giappone, Xi Jinping e Donald Trump sono tornati a incontrarsi personalmente. Lo hanno fatto ieri a Busan, in Corea delSud. ©Mark Schiefelbein
Dario Campione
30.10.2025 20:15

Novanta minuti di faccia a faccia, in compagnia di delegazioni ristrette. E, sul tavolo ricoperto da una candida tovaglia bianca, un accordo già scritto e discusso sino allo sfinimento da un nutrito gruppo di tecnici, nelle settimane scorse, a Kuala Lumpur, in Malesia.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente della Cina Xi Jinping hanno siglato oggi una tregua politico-commerciale di un anno. A fronte di una riduzione dei dazi USA, la Cina ha promesso di dare un giro di vite al commercio illecito di fentanyl, di riprendere ad acquistare soia dai grandi produttori del Midwest e, soprattutto, di non limitare, così come minacciato, le esportazioni di terre rare.

Nell’aeroporto della città sudcoreana di Busan, i due leader sono tornati a guardarsi in faccia dopo 6 anni - l’ultima volta era stata a margine del G20 di Osaka, in Giappone, nel giugno del 2019.

Trump ha annunciato che le tariffe sulle importazioni cinesi saranno ridotte dal 57% al 47%, dimezzando al 10% il tasso di tariffe relative al commercio di precursori di fentanyl. La Cina, come detto, ha accettato di sospendere i controlli sulle esportazioni delle terre rare, elementi diventati la più potente arma di contrattazione in mano a Pechino nella guerra commerciale con Washington.

L’intesa durerà un anno, ha scritto in una nota il ministero cinese del Commercio, aggiungendo che «le due parti hanno anche raggiunto un consenso sull’espansione del commercio agricolo e lavoreranno per risolvere i problemi relativi all’app di video brevi TikTok», che Trump vorrebbe portare sotto una proprietà controllata dagli Stati Uniti.

Cina e USA hanno pure concordato di sospendere le tasse portuali sul trasporto marittimo, progettate per contrastare il dominio del gigante asiatico nella costruzione navale, nel trasporto marittimo e nella logistica. Come contropartita, Pechino avvierà un processo di acquisto di energia dagli USA, ha scritto Trump in un post su Truth Social, alludendo a un grande affare in Alaska, dove la sua amministrazione ha propagandato un progetto di esportazione di gas naturale liquefatto (GNL) di 44 miliardi di dollari.

Si torna ad aprile

L’accordo ripristina sostanzialmente i legami commerciali esistenti tra i due Paesi prima dell’offensiva daziaria annunciata da Trump nel Giardino delle rose, alla Casa Bianca, il 2 aprile scorso. Il «Giorno della liberazione» - secondo la definizione che ne aveva dato lo stesso presidente americano - aveva in realtà messo in moto una pericolosissima escalation di ritorsioni. Per frenare le quali è stato necessario un durissimo negoziato.

La quasi totalità degli analisti, oggi, ha interpretato quanto deciso nel vertice di Busan come nient’altro che una fragile tregua in una guerra politico-commerciale le cui cause profonde restano del tutto irrisolte. Trump, per esempio, ha detto di non aver discusso con Xi del chip Blackwell di Nvidia, il processore alla base dei motori di Intelligenza artificiale del quale gli Stati Uniti vorrebbero vietare l’esportazione in Cina. Un’eventualità che l’impresa di Santa Clara, guidata dal taiwanese Jen-Hsun Huang, vuole scongiurare, ben sapendo che mantenere la sua presenza nel mercato cinese garantisce introiti di decine di miliardi di dollari all’anno. Non è un caso che proprio Jen-Hsun Huang sia sbarcato, questo pomeriggio, in Corea del Sud, poco dopo la partenza di Trump, per partecipare come osservatore al vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC), in programma oggi e domani a Gyeongju.

Anche la controversa questione di Taiwan - l’isola rivendicata dalla Cina come territorio proprio ma, da decenni, libero e democratico Stato divenuto potenza mondiale nella produzione high-tech - non è stata trattata nei colloqui di Busan (lo ha ammesso lo stesso tycoon ai giornalisti).

I test nucleari

Un altro elemento fa propendere gli analisti verso la temporaneità della tregua fra Cina e Stati Uniti. Pochi minuti prima che iniziasse l’incontro con Xi Jinping, il presidente americano ha ordinato la ripresa dei test nucleari, giustificando la sua decisione con la crescita degli arsenali di Russia e Cina. Dopo 33 anni, quindi, Washington rimette in moto la macchina dello sviluppo atomico. Un segnale politicamente molto forte, che ha spinto immediatamente il ministero cinese degli Esteri a dettare una nota nella quale ha ribadito la speranza che «gli Stati Uniti si attengano alla moratoria sui test nucleari».

I primi commenti

Non appena il presidente americano ha messo piede sulla scaletta dell’Air Force One che lo riportava a casa, sui media americani è scattato l’inevitabile meccanismo del “Chi ha vinto? Chi ha perso?”.

Il leader democratico del Senato USA, Chuck Schumer, in un post su X ha subito commentato in toni ironici il trionfalismo di Trump, spiegando come non fosse credibile in alcun modo. «Trump si è piegato alla Cina», ha scritto.

«Ciò che è chiaro è che i cinesi sono diventati sempre più audaci nell’esercitare una leva e sono felici di intascare tutte le concessioni degli Stati Uniti» - ha detto al New York Times Julian Gewirtz, diplomatico, storico, già direttore senior per gli affari di Cina e Taiwan nel Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca durante l’amministrazione Biden e, in precedenza, vicecoordinatore per gli affari globali della Cina nel Dipartimento di Stato USA. Mentre secondo Scott Kennedy - consulente senior per la Cina del Center for Strategic and International Studies (CSIS) di Washington, DC - «Xi Jinping ha guardato Trump dall’alto in basso e Trump ha sbattuto le palpebre. Xi ha imparato a gestire Trump e ha risposto alle minacce degli Stati Uniti con minacce più grandi, ottenendo alla fine che Washington facesse marcia indietro», ha detto Kennedy al Financial Times.

«L’America ha scoperto che anche i bulli possono essere vittime di bullismo - ha scritto sul Guardian Patrick Wintour - Di fronte alla minaccia di dazi fino al 145%, la Cina aveva subito detto che non si sarebbe mai piegata, promettendo di “combattere sino alla fine”. La domanda, ora, è se l’intesa raggiunta a Busan significhi che la lotta è davvero giunta al termine. E, se è così, alle condizioni di chi».