Stati Uniti

«Colpire o no», le opzioni sul tavolo del tycoon

Questo è il dilemma di Donald Trump che, decidendo la via dell'intervento militare, rischia di trascinare l'America e il Medio Oriente in un nuovo conflitto dalle conseguenze imprevedibili
© KEYSTONE (EPA/JIM LO SCALZO)
Ats
18.06.2025 20:35

Colpire gli impianti nucleari iraniani con le super bombe o continuare sulla strada della diplomazia per trovare un accordo con Teheran.

Questo è il dilemma di Donald Trump che, decidendo la via dell'intervento militare, rischia di trascinare l'America e il Medio Oriente in un nuovo conflitto dalle conseguenze imprevedibili. Senza considerare l'incognita di un eventuale cambio di regime in Iran che potrebbe trasformare il Paese in un nuovo Iraq o un nuovo Afghanistan.

Secondo gli analisti americani, le prossime 48 ore saranno cruciali per il presidente. Il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha assicurato che il suo dipartimento è «pronto ad eseguire qualsiasi ordine» del commander-in-chief, il Congresso chiede di essere coinvolto nel processo decisionale e, intanto, una terza portaerei, la USS Ford, si sta già dirigendo in Medio Oriente.

The Donald, tuttavia, sembra non aver preso ancora una decisione, almeno non la svela. Continua a chiedere la resa incondizionata di Teheran ma lascia aperto uno spiraglio per la soluzione diplomatica, dichiara di aver perso la pazienza ma continua a lanciare ultimatum.

D'altra parte, per alcuni osservatori, la sua imprevedibilità in politica estera è una strategia ben precisa: la cosiddetta 'madman theory', la teoria del pazzo', utilizzata anche da Richard Nixon durante la Guerra Fredda. Si tratta, in pratica, di assumere un atteggiamento di deliberata incertezza per costringere gli avversari (o persino gli alleati, nel caso di Trump) a piegarsi alle proprie condizioni.

Ma quali sono le opzioni che il presidente americano sta valutando in queste ore frenetiche? Innanzitutto un intervento diretto degli Stati Uniti. L'ipotesi potenzialmente più pericolosa e dalle conseguenze inimmagginabili che, tuttavia, è sul tavolo dello Studio Ovale da giorni.

Prima ancora della riunione di lunedì nella Situation Room, Trump aveva ordinato il dispiegamento in Europa di oltre trenta aerei da rifornimento che possono essere utilizzati per supportare i caccia a protezione delle basi e del personale americano in Medio Oriente.

Sono proprio questi aerei che possono rifornire di carburante i bombardieri B-2, gli unici velivoli dell'esercito Usa che possono trasportare la gigantesca bomba Mop (abbreviazione di Massive Ordnance Penetrator), nota anche con il nome in codice GBU-57, una bomba da 12,3 tonnellate sviluppata proprio per colpire gli impianti nucleari sotterranei di Fordow. La seconda ipotesi è che Trump decida di continuare a sostenere Benjamin Netanyahu senza attaccare direttamente.

Pubblicamente il presidente americano ha dichiarato d aver esortato il premier israeliano ad «andare avanti», ma secondo funzionari della Casa Bianca Trump non vuole arrivare all'eliminazione dell'ayatollah Ali Khamenei. In questo secondo caso, i cacciatorpediniere navali e i missili terrestri americani che stanno già contribuendo alla difesa di Israele contro la rappresaglia iraniana continuerebbero a fare il loro lavoro ma non ci sarebbe un'escalation negli attacchi con le super bombe.

La terza possibilità è quella sostenuta dal movimento Maga, il passo indietro. Prendere le distanze dalla guerra di Israele contro l'Iran e dal sostegno «di ferro» all'amico Bibi in nome dell'America First, la promessa che ha fatto vincere le elezioni a Trump.

L'Iran ha già minacciato di attaccare le basi Usa nella regione se Washington continuerà a supportare Israele o deciderà di entrare in guerra. E il rischio di perdite americane vedrà probabilmente crescere esponenzialmente la pressione Maga sul presidente affinché si ritiri e spinga Netanyahu a concludere l'offensiva il prima possibile.