Come su un palcoscenico: dal suo ristorante ha visto la città passare

«E tu, Michele, cosa prendi?» «Granatina, con le patatine». Il ragazzino seduto al tavolo si gode la sua bibita all’ombra di Palazzo civico. Non immagina che un giorno salirà le sue scale da sindaco. Il titolare del locale lo osserva in silenzio. Osserva tutti e tutto, da quella prospettiva che abbraccia la piazza. Guarda la città passare. Sta ancora guardando, e Lugano sta ancora passando. Persone, discorsi, modi di vivere, macchine (eh sì, una volta si poteva), passioni, tradizioni, anni dorati e altri sbiaditi. È tutto in un libro: una sequenza d’immagini, ricordi e aneddoti sulla città, sulla sua trasformazione e sul percorso di un uomo. S’intitola Come su un palcoscenico – La mia Lugano da Piazza Riforma (Edizioni San Giorgio) e a presentarlo ieri, nella sala del Consiglio comunale, c’erano il titolare del locale, Guido Sassi, e il ragazzo della granatina diventato sindaco, Michele Foletti.
Una responsabilità in più
Sassi si forma e muove i suoi primi passi professionali come meccanico, ma il sogno è un altro: seguire le orme del padre e aprire un proprio ristorante. Succede nel 1981. «Vuoi proprio fare il ristoratore, vedo» gli dice papà. «Bene, qui ci sono le chiavi dell’Olimpia. Sono tue». «È stato il momento più importante della mia vita – ricorda Sassi nel libro – quello di gestire il locale dei luganesi, frequentato da personaggi politici, scrittori, artisti, attori, imprenditori e, non meno importanti, dai cittadini. Oggi potrei dire che la mia crescita è iniziata proprio allora, grazie a quell’ascensore sociale preso in piazza della Riforma e diventato la mia università della strada». Presto, Sassi si accorge che deve imparare il mestiere, a vari livelli: dall’allineamento preciso dei tavoli sulla piazza, che ottiene aiutandosi con un gessetto, alle scelte gastronomiche, fino al significato profondo del lavoro di ristoratore. L’allora sindaco Ferruccio Pelli gli disse: «Durante il giorno sopra ci siamo noi, alla sera sulla piazza ci sei tu. La politica la facciamo tutti noi durante le giornate che trascorriamo fuori casa; pertanto, sei chiamato a comportarti rispettando il tuo ruolo di esercente con l’ospitalità, la gentilezza e lo stare a disposizione dei clienti».
Il coniglio usciva sempre
Nel ‘91 c’è la Festa federale della musica popolare e Sassi, insieme ad altri professionisti del settore, prepara da mangiare per decine di migliaia di ospiti. «Ricordo ancora il menù del pranzo: salamino nostrano, ravioli alla ricotta e spinaci con pomodorini e cassata, mentre alla sera pennette alla carbonara e il nostro piatto forte: lo stinco di maiale cotto a bassa temperatura, accompagnato a verdure. E per finire, il gelato». Si parla anche di eventi. Nomi che ormai sono solo un ricordo per Lugano: Festival degli organetti, Festival dei sonnambuli, New Orleans, Maggiolata, Festival dei tamburini USA. Sassi contribuisce ad organizzarli, e con lui c’è una persona che prenderà come modello di creatività: Demetrio «Meto» Poggioli, titolare dell’omonima pellicceria e presidente del gruppo Feste del lago. «Quando le idee cominciavano a scarseggiare, ecco ancora il Poggioli tirare fuori il coniglio dal cilindro. E il coniglio usciva sempre».
Quel "bel viif"
Nella Lugano di allora usciva sempre anche il tempo per un aperitivo. Di solito la domenica mattina, dopo la messa. Erano «momenti di socializzazione dettati dal piacere di condividere discorsi su politica e sport, o semplicemente dalla voglia d’incontrarsi». «La tradizione voleva si bevesse lo spruzzino, un piccolo Campari con il selz, o ancor meglio il Campari dell’Oreste, il mitico barman dell’Olimpia. Ai bambini si faceva lo sprizzino con lo sciroppo di granatina servito nel bicchierino ghiacciato, per farli sentire degli ometti nel bere il rosso proprio come i grandi. Quanto bel viif, la Lugano da bere!». La «leggerezza di quegli anni», come la descrive l’autore, si riflette nel titolo dello statuto del Club dei 21, di cui Sassi faceva parte: «Mangia e bevi, ama forte e non aver paura della morte». Una leggerezza «che di lì a poco cederà spazio a periodi più complessi».
Un sindaco per ogni stagione
L’Olimpia è sempre stato un osservatorio anche sui cambiamenti e le correnti della politica. Come la nascita della Lega. «Il fatto che meglio descrive tutto questo fu teatralmente inscenato da Giuliano Bignasca, in arte il Nano. Era un sabato mattina quando arrivò con un carro trainato da cinque ciuchi, ciascuno dei quali rappresentava, con tanto di foto e nome, un consigliere di Stato». Si sono alternati anche diversi sindaci, fra i tavoli del ristorante. «Si può dire che Lugano ne abbia avuto uno per ogni stagione», intesa come epoca. Fra gli ultimi Giorgio Giudici, «non a caso soprannominato re Giorgio», Marco Borradori, «persona amabile che trovava modi garbati per affrontare situazioni complesse», e infine Foletti, «capace di ascoltare e dare forma a idee e progetti da lui proposti in gran silenzio».
Veemente per amore
Si diceva dei periodi più complessi, che nel frattempo arrivano e invadono inevitabilmente anche il selciato di piazza della Riforma, come il Ceresio quando esondava. La crisi finanziaria dei primi anni Duemila, il segreto bancario che sgretolandosi indebolisce la piazza finanziaria, la pandemia. Oggi Lugano cerca nuove strade, nuove idee per reiventarsi. «Troppe idee», secondo Sassi, che vede una città «ferma nell’immobilismo». «Potremmo essere davvero internazionali, ma non c’è la volontà. Il rilancio delle nostre eccellenze e della nostra tradizione può essere lo strumento per superare le crisi della nostra economia, la flessione del turismo e la mancanza di posti di lavoro». Il gerente fa l’esempio del lungolago da valorizzare. «L’amministrazione è piena di progetti e credo sia giunto il momento di agire». È sempre stato piuttosto diretto, Sassi. «Ho difficoltà a contenere la mia veemenza quando parlo di Lugano, forse perché la amo troppo».