Come un libro di Agatha Christie, ma in aula il giallo non viene risolto

Non sempre è stato il maggiordomo. Le intrecciate vicende di tre collaboratori di una famiglia del Luganese – uno dei quali, un giardiniere, è stato condannato per danneggiamento e violazione di domicilio ma assolto dall’accusa di furto in correità con una governante – hanno tenuto banco in aula penale. «Sembra di essere dentro a un romanzo di Agatha Christie, con i suoi tipici personaggi» ha commentato l’avvocato Fabio Soldati, legale della famiglia a cui sono stati rubati gioielli per un valore di circa centomila franchi. La differenza, rispetto alle storie dell’autrice britannica, è che la giustizia non è riuscita a risolvere il giallo, o almeno non del tutto. Il giudice Marco Villa ha infatti prosciolto l’accusato per il furto in base al principio in dubio pro reo.
Il cofanetto scomparso
Alla sbarra ieri c’era solo il giardiniere, un italiano di cinquantasei anni, dato che la sua presunta complice è morta nel dicembre di tre anni fa, due mesi dopo i fatti. Secondo la procuratrice pubblica Pamela Pedretti, l’uomo ha avuto un ruolo decisivo nella sparizione dei brillanti. Prima forzando un cassetto e poi prendendo tre cofanetti che si trovavano sopra a un grande armadio, dove la donna, che aveva difficoltà negli spostamenti, avrebbe faticato ad arrivare. «Mi ha detto che voleva aprire il cassetto – aveva raccontato l’uomo agli inquirenti – per cercare una collana che la padrona di casa non trovava più, e che la chiave non funzionava. Così ho preso un cacciavite e l’ho forzato, ma ero in buona fede». Dentro c’erano diversi gioielli. «Per scherzare mi sono messo una collana al petto, poi sono andato via perché dovevo lavorare: non so cosa abbia fatto lei». E i cofanetti? Da parte del giardiniere, nulla da dire. Due sono stati trovati aperti, uno è proprio scomparso.
La svolta
All’inizio era sospettata un’altra persona: il maggiordomo da poco assunto. Non certo per il clichée che nelle storie poliziesche vede questa figura come il colpevole di svariati crimini, ma per il fatto che aveva mentito sul suo curriculum. Invece non centrava. Sta di fatto che in quei giorni, un familiare delle vittime aveva detto al giardiniere, dispiacendosi, che la polizia avrebbe dovuto prendere anche le sue impronte digitali. Così, davanti agli inquirenti, sentendosi forse braccato, il cinquantaseienne aveva spiegato che le sue tracce sarebbero state trovate sul cassetto e in altri punti della casa, ma che lui era estraneo al furto. E da lì le indagini avevano preso un’altra direzione.
Come sapeva del capricorno?
Secondo la procuratrice, l’atteggiamento dell’uomo durante gli interrogatori denotava chiaramente un «mettere le mani avanti». In più, come sottolineato sempre da Pedretti, l'accusato è caduto più volte in contraddizione e ha cercato di addossare la totalità della colpa alla governante. La sua scomparsa si è rivelata decisiva per la caduta dell’accusa di furto. A mente della magistrata e dell’avvocato Soldati, tuttavia, c’erano aspetti della vicenda che incastravano l’imputato. Uno su tutti: durante una deposizione, il giardiniere aveva parlato di un gioiello con una testa di capricorno di cui lui – se diamo credito alla sua stessa versione – non sarebbe mai dovuto essere a conoscenza. Era infatti dentro al bauletto sparito. «Le sue dichiarazioni – ha concluso Pedretti – sono tentativi disperati di giustificare i propri illeciti, commessi ai danni di una famiglia che aveva assunto lui e sua moglie aiutandoli in un momento difficile».
I dubbi sul movente
«Il danno economico è stato importante – ha commentato Soldati – ma l’assicurazione ha rimborsato quasi tutto. È stato molto più doloroso il danno psicologico, perché quei gioielli avevano un forte valore affettivo: sono stati distrutti dei ricordi». Nonostante ciò, la famiglia era disposta a tenere come collaboratrice la moglie, se il marito si fosse scusato. Non è andata così. «Menzogne su menzogne...» ha concluso con amarezza Soldati. Dal canto suo, l’avvocato difensore Giuseppe Gianella si è focalizzato, tra le varie cose, sul presunto movente. «Il mio assistito è un uomo semplice, ma non stupido. Lui e la moglie avevano un ottimo posto di lavoro: non avevano certo bisogno di rubare, rischiando di perdere tutto».
Le contraddizioni non bastano
Anche per il giudice l’imputato è una persona semplice, «ma anche un po’ ingenua e limitata, e quindi facilmente manovrabile: non si può escludere che sia stato usato dalla badante». Ma il punto è un altro. «Non è una critica alla procuratrice, ma andava dimostrato che a monte di tutto c’era un’idea di correità. Cosa che non è stata possibile a causa della morte della donna. Le contraddizioni dell’accusato non bastano». Il cinquantaseienne è stato quindi condannato solo per danneggiamento e violazione di domicilio a una pena pecuniaria sospesa di 2.700 franchi. Accusa pubblica e privata stanno valutando se ricorrere: ci sarà un nuovo capitolo?