Coro di critiche al Governo, ma nessun passo indietro

Oltre cinque ore di dibattito, due risoluzioni che chiedevano al Consiglio di Stato di fare un passo indietro e revocare la decisione presa il 9 luglio in Valle Bedretto. E ancora: un susseguirsi ripetitivo di risposte del Governo a cinque interpellanze, decine e decine di interventi dei partiti e dei singoli deputati, nonché una mozione d’ordine (o una boutade? di Stefano Tonini, Lega) che chiedeva invece al Gran Consiglio di esprimersi sulla polemica legata alla destituzione di Re Rabadan. Il risultato? Il cerchio, banalmente, si è chiuso laddove si era aperto. L’arrocco, annunciato in pompa magna all’apertura dell’anno giudiziario da Norman Gobbi e Claudio Zali – nel frattempo trasformatosi in arrocchino, e cioè in un «semplice» scambio di competenze e dossier, – si è concluso nello stesso posto in cui tutto era iniziato, al Palazzo dei Congressi di Lugano, al termine della seduta straordinaria del Gran Consiglio indetta su spinta di 37 deputati. Ma, riprendendo quanto espresso dai cinque interpellanti, tutti si sono detti «insoddisfatti». Insomma, un lungo dibattito su una decisione di esclusiva competenza dell’Esecutivo che, di fatto, ha prodotto poco.
Le domande, in sostanza, rimangono ancora sul tavolo a pochi giorni dall’entrata in vigore dello scambio fra i due «ministri» leghisti. Qualche novità, in mezzo a un groviglio di tecnicismi e politichese, è invero emersa: ad esempio, come ha spiegato il presidente del Governo Norman Gobbi, una precisa cronologia degli eventi che hanno portato all’arrocchino. Oppure, il fatto che il Consiglio di Stato non sapesse che i due «ministri» avrebbero fatto riferimento all’arrocco all’apertura del già citato anno giudiziario. Per il resto, nulla di nuovo sotto il sole della politica cantonale: Zali ha assunto la conduzione politica della Magistratura in virtù della sua «lunga esperienza» come giudice; la Polizia è passata di mano su richiesta esplicita di Gobbi per via del processo (previsto a metà ottobre) ai due agenti intervenuti nell’ambito dell’incidente che ha visto coinvolto il direttore del DI in Leventina; la Divisione delle costruzioni è invece andata allo stesso Gobbi per una questione di bilanciamento dei carichi di lavoro. In sostanza, come ha riferito in aula il suo presidente, «il Governo era ed è tranquillo». Nessuno strappo, quindi, e il polverone sollevato in queste settimane è frutto del «peso dato alla questione, sproporzionato». «Mi sembra che tutto debba diventare un caso e quindi non si riesce più a prendere la giusta misura», ha evidenziato Gobbi, ribadendo il principio della separazione dei poteri, che consente all’Esecutivo di agire in piena autonomia sull’attribuzione dei Dipartimenti, e il totale rispetto delle leggi e delle norme: «Si tratta di decisioni prese in piena autonomia governativa, senza imporre nulla a nessuno».
Tutti contro la decisione
Risposte che tuttavia, come detto, hanno lasciato tutti insoddisfatti. I cinque interpellanti, Gianluca Padlina (Centro), Matteo Quadranti (PLR), Ivo Durisch (PS), Roberta Soldati (UDC) e Giuseppe Sergi (MpS) hanno replicato al presidente dell’Esecutivo con un coro di critiche per quanto non spiegato. «Alle domande di natura politica non è uscita chissà quale motivazione in più», ha ad esempio fatto notare il capogruppo del PLR. «Grave il fatto che la comunicazione ai dipendenti sia avvenuta prima dei discorsi tenuti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il carro è stato messo davanti ai buoi», ha invece sintetizzato Padlina. Non meno dure le parole dei gruppi. Maurizio Agustoni (Centro) ha criticato l’assenza in aula di Claudio Zali, chiarendo che «nessuna legge lo obbliga. Nessuna legge, però, impone di salutarsi, di augurarsi buon appetito o di ringraziare». Insomma, è una questione di educazione. «Questo non è il miglior viatico per chi ha preso il compito di interfacciarsi con il potere giudiziario». Il capogruppo del Centro ha inoltre parlato di «imbarazzo» per una decisione che «non sembra rispondere ad alcun interesse pubblico». Inoltre, ha rimarcato, «nella risposte date restano in sospeso diverse questioni non di poco conto.
Ad esempio, chi sarà il responsabile della politica di sicurezza? E chi, invece, delle modifiche legislative della Polizia cantonale o comunale?». E sulla relazione tra Parlamento e Governo, Agustoni ha spiegato che «è evidente che il rapporto manca di serenità e fiducia». Lo scambio di competenze, ha evidenziato da parte sua il presidente del PLR Alessandro Speziali, «ha lasciato più domande che risposte». La soluzione iniziale (ossia uno scambio completo di Dipartimenti, ndr), ha rincarato, «era paradossalmente più onesta». L’assenza di Zali, invece, è stata bollata come «uno sgarbo al Parlamento e ai colleghi di Esecutivo che hanno votato l’arrocco». Ciò detto, però, ora Speziali intende voltare pagina. «Occorre una visione prospettica chiara, e non un altro processo alle persone. Altrimenti sprecheremo un altro anno e mezzo di legislatura». E secondo il presidente, i cantieri su cui lavorare sono diversi. «Serve innanzitutto depoliticizzare la Magistratura, ma anche garantire serenità e coesione al corpo di Polizia, e meno ingorghi burocratici e più ascolto del territorio per la Divisione delle costruzioni».
Solo uno è contento
Dal canto suo, il coordinatore della Lega Daniele Piccaluga è tornato a prendersi i meriti dell’operazione: «L’arrocchino ha smosso le acque e non era scontato. Eppure, si tratta di un timido passo. La montagna ha partorito un topolino, ci voleva più coraggio». Piccaluga ha quindi lanciato qualche frecciatina all’indirizzo di chi ha promosso l’idea della seduta straordinaria. «Eccoci qua con il cerimoniale completo e il conto a carico del cittadino. Grazie ai 37 firmatari, nemmeno tutti presenti, si è trasformato l’arrocco in uno spettacolo da circo, ma il conto lo pagano i ticinesi. Un reality show politico con quale sponsor i cittadini». Ma, attenzione, per la Lega non è finita qui. «Il passo successivo dovrà essere un vero arrocco», ha concluso Piccaluga.
La palla è quindi passata al capogruppo del PS Ivo Durisch, il quale ha dato la sua lettura sull’arrocco. «Verosimilmente, Zali è troppo ambientalista per i vertici leghisti, e la gestione del lupo è andata di traverso a molti. Allo stesso modo, Gobbi era incagliato nei dossier della Giustizia». Detto in altre parole, per Durisch con queste premesse i due «ministri» leghisti avrebbero rischiato alle prossime elezioni. Di qui, appunto, l’idea dello scambio di dipartimenti. «Non facciamo gli innocenti, dietro l’operazione ci sono chiare indicazioni e riflessioni dei partiti».
Sullo spreco di soldi e sull’utilità della seduta è invece intervenuto Alain Bühler (UDC), secondo il quale «il 9 luglio il Governo ha preso una decisione che tocca ambiti centrali, senza fornire spiegazioni. Una conferenza stampa seria avrebbe evitato questa seduta. Ma quando manca l’informazione, in democrazia il Parlamento ha il dovere di ottenere chiarimenti pubblici». In definitiva, però, anche per il deputato democentrista sarebbe stato meglio «un arrocco completo, non questo accrocchio».
Netto anche il giudizio del co-coordinatore dei Verdi Marco Noi: «Non è solo un errore di comunicazione, ma di sostanza. È possibile che il Governo abbia bisogno di una rianimazione. Ma tastandone il polso, dubito che quanto fatto dia la possibilità di rivitalizzare l’Esecutivo». Per Amalia Mirante (Avanti con T&L), «non siamo qui a decidere chi comanda questo o quel Dipartimento. La ragione più grave è che il Governo ha scelto il silenzio, anche oggi con le sue risposte. Un comportamento che non mostra solo leggerezza ma anche mancanza di rispetto per il Parlamento, e quindi per i cittadini». Secondo Roberto Ostinelli (HelvEthica) si tratta addirittura di «un sistema di potere autoreferenziale, che si protegge con i silenzi e la confusione», mentre Maura Mossi-Nembrini (Più Donne) è stata ancora più lapidaria: «Non crediamo a una sola parola delle motivazioni date per lo scambio di Dipartimenti». «Non è un grotto, non siamo una repubblica delle banane», ha tuonato Massimiliano Ay (PC), aggiungendo che questo modo di agire «denota un atteggiamento leggero, informale». «La Lega ha iniziato la sua campagna elettorale», ha per contro osservato Sergi (MpS). «E lo ha fatto perché ha capito che il Governo di questa legislatura non si presenta alle elezioni con una bella immagine». «La faccenda sembra essere presa come scherzo di carnevale», ha rilanciato Sara Beretta Piccoli (PVL). «Il risultato è che avremo due Dipartimenti che cammineranno con una scarpa e una ciabatta, e un Esecutivo zoppicante».
Le parole di Vitta e Carobbio
A supporto del presidente Gobbi sono invece intervenuti i colleghi Christian Vitta e Marina Carobbio Guscetti. «Vorrei riportare l’attenzione sulla portata della decisione del Governo», ha premesso il direttore del DFE, tornando a ribadire che, per quanto riguarda la Magistratura, «Zali ha dato la propria disponibilità per portare avanti le riforme, ma non abbiamo discusso nel merito delle proposte. Quando saranno mature, saranno discusse dal Parlamento». Mentre per la Polizia, «a livello operativo, si tratta di una scelta già sperimentata nel 2024 e non abbiamo motivo di credere che non possa funzionare ancora». Ha invece ammesso un errore di comunicazione la direttrice del DECS. «Ritengo anche io che una migliore comunicazione sarebbe stata necessaria e opportuna».
Tuttavia, ha chiarito, «il Governo riteneva che alcuni dossier, in particolare quelli della Magistratura, necessitassero di essere sbloccati. Non potevamo ignorare questa situazione. Di qui la decisione di riattribuire alcuni dossier». Infine, come anticipato, il plenum ha votato una sospensione della seduta per permettere all’Ufficio presidenziale di valutare le due risoluzioni (una targata PS e l’altra sottoscritta da quindici deputati di Verdi, UDC, MpS, HelvEthica, PVL, Più Donne) che chiedevano al Governo di rivalutare la propria decisione sull’arrocco. Tuttavia, l’UP ha deciso di non far proprie tali proposte. Bacchettate all’Esecutivo, sì. Ma nessun atto formale contro la decisione.