«Correre a lungo mi fa sentire bene»

Corre in verticale, ma soprattutto in orizzontale. Per 285 km, ad esempio, come nella Milano-San Remo vinta nell’aprile 2022 in 46 ore e 26 minuti. O in tondo, per 48 ore senza fermarsi, come nel settembre 2022, quando si è laureato campione svizzero della disciplina a Aare-Insel Brugg. Matteo Tenchio, leventinese, 42 anni vissuti perlopiù correndo per passione e sugli sci per professione. Lo abbiamo incontrato a Carì, dove si sta allenando per il «vertical» Faido-Lago di Carì di domenica 23 luglio, ma soprattutto per due competizioni di livello mondiale che avranno luogo nei prossimi mesi di agosto in Inghilterra e ottobre negli Stati Uniti.
Iniziamo dall’aspetto «vertical». Quali sono i tratti peculiari di una corsa come la Faido-Lago di Carì a cui parteciperà?
«Sono gare corte ma molto ripide che bisogna saper interpretare. Occorre partire relativamente piano, senza strafare, sapendo che non ci sono quasi pianure. La Faido-Lago di Carì di 7,8 chilometri per 1600 metri di dislivello, si snoda attraverso uno splendido bosco di faggi, a Carì un sentiero conduce alla pista nera di sci che sale ai 2000 metri dell’osteria Belvedere. Da lì la verticale fino allo spettacolare Lago di Carì a 2278 metri. Davvero un bel vertical».
Appassionato di corsa su strada sin da ragazzo, «mezzo maratoneta» e maratoneta, ad un certo punto la distanza «horizontal» si è allungata, passando dai 42 km ai 285 km e oltre…
«La passione per la lunga distanza si è manifestata una decina di anni fa, anche a seguito di un problema a una spalla dovuto a una caduta con gli sci. Correndo mi sono accorto che le lunghe percorrenze con un moto lento, lungo e costante mi facevano sentire meglio».
Verticale, orizzontale e... in tondo.
«Da un anno conosco una nuova tipologia di gara, la Blackyard Ultramaratona. Un circuito di 6,7 km da percorrere in autosufficienza entro un’ora e da ripetere per 24 ore e oltre. Non vince chi arriva prima, ma l’ultimo che rimane, trattandosi di una gara a eliminazione».
Una tipologia di gara che si addice all’ultramaratoneta e fondista leventinese.
«Il 21 ottobre prossimo parteciperò con la nazionale svizzera ai mondiali di Blackyard a Bell Buckle in Tennessee. Il percorso ruota attorno al ranch dell’inventore di questo tipo di gare, Gary Cantrell, noto come «Lazarus Lake» e prevede la partecipazione dei 75 migliori interpreti al mondo della disciplina. Io sono riuscito a guadagnarmi l’iscrizione al mondiale grazie al risultato ottenuto il 2 giugno a Fregene, in Italia, (in una gara chiamata «L’ultimo sopravvissuto», ndr) quando ho superato il limite richiesto di 6,7 km da percorrere per 55 ore. Sono riuscito a correre per 62 ore (415 km e 772 metri), battendo il record svizzero precedente di 51 ore».
Parole espresse con grande modestia da Matteo Tenchio, per un risultato che lo attesta al 62esimo posto del ranking mondiale. Il primatista svizzero di Blackyard detiene anche un altro record nazionale nelle gare che girano in tondo.
«Nel mese di settembre dello scorso anno ad Aare-Insel Brugg ho vinto il titolo svizzero nella gara di 48 ore su un circuito di 1 km. Risultato che mi permetterà di partecipare l’11 agosto prossimo al mondiale di Gloucester in Inghilterra, organizzato dalla GOMU (Global Organization of Multi-Day Ultramarathoners). In queste corse di vera e propria resistenza cerco di girare piano, a ritmo costante, senza fermarmi o al limite continuando a camminare».
A proposito di resistenza. Le sue «passeggiate» superano i 300 km, le 48 ore, e possono durare persino 6 giorni. Quest’anno, in 7 gare, ha già percorso 2070 km. Come si prepara a questi sforzi estremi? A furia di girare non le... gira la testa?
«Con una preparazione metodica, passando dal rafforzamento della micro muscolatura all’accumulo di chilometri, gareggiando poco ma compiendo lunghi giri. Con un allenamento quotidiano, con periodi in cui faccio tre sedute - mattino, pomeriggio, sera - di lunghezza variabile, dai 7 ai 20 km, a dipendenza della gara da effettuare. Serve poi una buona alimentazione, io mangio di tutto, in modo leggero, con poco condimento. Da una buona prima colazione all’assunzione di molta frutta. Per la... testa, la forza mentale è fondamentale, la maggior parte degli abbandoni è dovuta a crisi di questo tipo. Per questo alleno il mentale praticando anche lo yoga e la meditazione».
Vista la durata, non si addormenta mai in gara o capitano momenti di sconforto?
«Bisogna imparare a conoscere il corpo, sapere che si risveglia e capire quando. Così mi alleno anche negli orari in cui so che potrebbe arrivare il colpo di sonno. Di solito si presenta nei cambi di luce, all’alba e al tramonto. Mi è capitato una volta, durante la Milano-Sanremo, nei pressi del Passo del Turchino. In quell’occasione ero riuscito a trovare due panchine di pietra davanti a una chiesetta sulle quali ho potuto chiudere gli occhi per una decina di minuti. Lo sconforto arriva durante ogni gara, a causa proprio del sonno o degli sbalzi termici. In compenso, soprattutto nelle gare lunghe, si vivono momenti di euforia e gioia pura dovuti alle endorfine che entrano in circolo».
Al modo di una conclusione, chi glielo fa fare?
«(Sorride, ndr). Ho iniziato a correre anche per viaggiare e conoscere posti insoliti, come è accaduto in primavera in Grecia dove ho potuto scoprire dei villaggi spettacolari. Correre in alto, in lungo e in tondo poi, giorno e notte è un ottimo modo per conoscere sé stessi».