Gli arresti di New York

«Cosa Nostra ha mutato pelle, anche negli Stati Uniti»

Intervista a Enzo Ciconte, storico delle mafie: «Gli antichi legami tra la Sicilia e l'America non si recidono perché sono soprattutto vincoli di parentela familiari, e non è facile allontanarsi da un fratello, da un figlio o un padre»
La Procura del distretto orientale di New York e l'FBI hanno arrestato giovedì scorso 31 persone coinvolte in un giro di scommesse e di poker illegali. ©AP/Angelina Katsanis (Via Keystone)
Dario Campione
25.10.2025 06:00

Lucky Luciano, Vincent Mangano, Frank Costello, Joseph Bonanno, Vito Genovese, Carlo Gambino, Paul Castellano. E ancora, Joe Valachi e Al Capone. La vecchia storia della mafia americana è punteggiata di nomi che molti, forse tutti, conoscono. Nomi che hanno riempito le pagine di migliaia di rapporti, articoli, libri. Nomi che sono risuonati in centinaia di film, documentari, reportage televisivi.

Dopo le grandi inchieste degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, i più ottimisti avevano dato i padrini per finiti e le cosche per dissolte. Si sbagliavano. Come ha detto due giorni fa ai giornalisti il supervisore dell’FBI Mike Mullahy - il veterano delle investigazioni di mafia che ha diretto gli agenti impegnati nell’inchiesta sulle scommesse e sul poker illegali in cui sono rimasti coinvolti alcune star dell’NBA - la Cosa Nostra americana «è ancora viva e vegeta», e non soltanto nell’area di New York. «Hanno soltanto cambiato pelle. Essere sfacciati e diretti non ha sempre funzionato bene per loro, hanno quindi mutato i metodi e le modalità operative», ha aggiunto.

Il gioco d’azzardo illegale è stato a lungo un punto fermo della mafia statunitense, con i suoi crimini di strozzinaggio ed estorsione, e continua ad essere una grande fonte di denaro per tutte le famiglie.

«Non scompaiono mai veramente, si adattano e trovano il modo di incassare», ha spiegato Seamus McElearney, agente dell’FBI in pensione e oggi consulente del New York Times in materia di criminalità organizzata. Molto rumore, allora, ma nessuna sorpresa tra gli addetti ai lavori di fronte alle risultanze dell’inchiesta guidata da Joseph Nocella Jr., procuratore per il distretto orientale di New York.

Un cuore nero

Come ha scritto Lirio Abbate, nella Grande Mela «le ombre sono tornate a muoversi. Non più con la brutalità ottusa degli anni ’70. Niente piombo, niente agguati in strada. Oggi è un’altra cosa: ha la faccia delle scommesse, del poker, del business sportivo. Ma dietro il tavolo verde, la mano che mescola le carte e le truffe è sempre la stessa: La Cosa Nostra americana. Lo stile si aggiorna. Il cuore resta nero».

«Le famiglie storiche della mafia siciliana negli Stati Uniti sono sempre le stesse: i Bonanno, i Gambino, i Lucchese, i Genovese, i Colombo. Non può esserci alcuna sorpresa se riappaiono nelle inchieste delle autorità americane, semplicemente perché non hanno mai smesso di delinquere, di gestire e promuovere i propri affari». Enzo Ciconte è uno dei più noti storici della criminalità organizzata. Autore di decine volumi, insegna Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia e ha appena dato alle stampe con l’editore pugliese Manni la sua ultima ricerca, Mafie del mio stivale. Storia delle organizzazioni criminali in Italia dalle origini fino ai social network.

«Le mafie - dice Ciconte al Corriere del Ticino - non restano immobili. Evolvono e mutano. La società è cambiata, sono cambiate anche le mafie. I mafiosi si aggiornano, si adattano ed entrano nei nuovi business, ad esempio le scommesse. Cambiano pure le modalità delle loro azioni. Meno violenza manifesta, meno morti ammazzati. Forse per questo sono dati per finiti, ma è un grave errore». Dice ancora Ciconte: «Oggi sono i nomi che determinano la violenza. Mi spiego meglio: se un dato personaggio, che porta un certo nome, è un mafioso, non avrà bisogno di agire violentemente. Ti chiederà una cosa e tu la farai. La violenza mafiosa è così: una volta che tu la eserciti, non hai bisogno di replicarla, perché quando la ripeti continuamente vuol dire che non sei in grado di gestire la situazione».

Lo storico calabrese riprende, a questo proposito, un aneddoto di Andrea Camilleri. «Raccontava lo scrittore che, una volta, un boss americano gli fece una vera e propria lezione di comportamento mafioso. “Facciamo che io vengo da voi - perché si davano del voi, in Sicilia - che avete una pistola in mano e mi dite: inginocchiati. Io che devo fare? Voi avete la pistola, io non ce l’ho. Mi inginocchio. Ma il fatto che avete la pistola, non fa di voi un mafioso. Voi siete - sono parole di Camilleri - uno strunzu con la pistola in mano. Ora facciamo all’inverso. Siete voi che venite da me. Io non ho la pistola, e vi dico: inginocchiatevi. Voi mi domandate: perché? E io vi rispondo: perché conviene prima a voi che lo facciate. Ecco, io sono un mafioso. Perché non ho avuto bisogno di usare la pistola. E perché, se avessi dovuto usare la pistola, io la partita l’avrei persa”. Questa è la storia di ciò che sta succedendo oggi, sia in Italia sia in America».

I vecchi-nuovi mafiosi «si presentano senza pistola, perché non ne hanno bisogno - sottolinea Ciconte - e fanno fare agli altri quello che gli altri non avrebbero fatto senza vedere la pistola. Questa è l’evoluzione della mafia, americana e italiana». Dopodiché, ovviamente, i criminali continuano a gestire e a esercitare il proprio potere nei settori illegali, dalle scommesse clandestine al traffico di droga, al riciclaggio di denaro, destinato tuttavia a finire in parte anche nell’economia legale.

Il rapporto della DIA

Nell’ultimo rapporto al Parlamento, depositato il 27 maggio di quest’anno, la Direzione Investigativa Antimafia italiana (DIA) scrive: «Allo stato attuale, l’organizzazione mafiosa siciliana continua a mantenere saldi rapporti con la Cosa Nostra americana, collegamento che si sviluppa con due modalità: da un lato, attraverso l’ormai indiscusso rientro nel territorio dei cosiddetti “scappati” (i perdenti della seconda guerra di mafia esplosa nella Palermo degli anni ’80, ndr); dall’altro, mantenendo attiva la presenza in Nord America di rampolli mafiosi che, all’apparenza, sembrerebbero aver troncato ogni rapporto con la famiglia di sangue, i cui componenti su questo territorio seguitano ad esercitare un ruolo di primo piano nel sodalizio mafioso». Anche il rapporto tra la Cosa Nostra siciliana e la Cosa Nostra americana, quindi, resiste e si consolida. Ma in forme nuove.

«Gli antichi legami non si recidono perché sono soprattutto vincoli di parentela familiari, e non è facile allontanarsi da un fratello, da un figlio o un padre - spiega Ciconte - Tuttavia, va chiarita una cosa: i criminali, tra loro, fanno affari. In tutte le parti del mondo. Cosa Nostra siciliana non ha contatti o connessioni soltanto con Cosa Nostra americana: le varie mafie sono tutte collegate tra loro. E non si fanno la guerra. Mai si è vista una guerra etnica tra le varie mafie, in Italia o altrove. Le guerre si fanno all’interno, per stabilire i rapporti di forza. Fuori si concludono affari. Chi fa la guerra è perché non sa fare gli affari».

Tutto ciò non vuol dire che la battaglia contro la mafia non sia servita o non abbia prodotto risultati. «Se si guarda la storia delle mafie in relazione alla storia degli ultimi tre decenni in Italia, dalle stragi in avanti, è cambiato tutto - dice ancora Ciconte - Nel mondo mafioso, 30 anni fa, c’era Totò Riina che ammazzava Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Oggi Riina è morto. Bernardo Provenzano è morto. Tutti i corleonesi, nessuno escluso, sono al 41 bis e aspettano soltanto che il Padreterno li chiami a sé, a migliore o a peggior vita. Cosa Nostra è stata colpita frontalmente, è indebolita e non fa più le cose che faceva una volta, semplicemente perché non può. Le faccio un esempio: se oggi muore un capomafia, il suo corpo sarà portato al cimitero all’alba, seguìto soltanto dai parenti stretti. Non avrà più, cioè, l’omaggio del popolo mafioso o di chi ha paura. Se prima gli uomini politici, gli imprenditori, le persone perbene, il notabile del paese andavano ai matrimoni dei mafiosi, oggi non lo fanno più. La mafia ha perso colpi. Ma non è stata sconfitta definitivamente. Come dicevamo prima, ha mutato pelle. Predilige modalità d’azione poco visibili, ed è per questo che prendere i mafiosi con le mani nel sacco diventa più complicato».