Così iniziò la guerra delle Malvinas

Il fotoreporter Josè Luis Ledesma ricorda: "Eravamo allo stadio"
Andrea Colandrea
11.09.2013 06:30

BUENOS AIRES - Il ricordo del collaboratore del Corriere del Ticino, il fotoreporter italo-argentino Josè Luis Ledesma, a oltre trent'anni dalla guerra delle Malvinas-Falklands.

"Tutto cominciò con una partita di calcio"

"Eravamo a Buenos Aires, allo stadio, per fotografare una partita di calcio di seconda lega, mi sembra che giocassero il Platense e l'Estudiantes de la Plata. Con il collega Domenech si scherzava, sugli spalti c'era un'aria di festa. All'improvviso, nei megafoni, la Giunta militare capeggiata dal generale Leopoldo Galtieri diramò un comunicato che la fece interrompere immediatamente. Alle migliaia di persone presenti, il regime argentino stava comunicando che dopo una ventina di giorni dello sbarco dei militari, la flotta britannica, con diverse portaerei, aveva circondato le acque territoriali delle isole Malvinas-Falklands. Fu la miccia che innescò la guerra che, come noto, durò dal 19 marzo al 14 giugno del 1982".

"Il collega ed io, ma anche i numerosi presenti nello stadio, facemmo fatica a capire da lì in avanti che cosa sarebbe accaduto nell'arco di breve tempo. Nessuno avrebbe creduto alla guerra e allo spargimento di sangue che ormai tutti purtroppo conosciamo". Per la cronaca, alla fine del conflitto, si contarono 649 morti e 1.000 feriti tra gli argentini e 255 morti e 800 feriti tra gli inglesi.

"Ricordo che la gente urlava - prosegue Ledesma - e con la voce si sentivano cori inneggianti il nostro Paese: 'Argentina, Argentina'. Tutti pensavano che la giunta militare potesse far fronte alla flotta britannica senza troppi problemi. Insomma, si stava vivendo una sorta di ubriacatura di massa, nella quale non ci si rendeva conto a cosa effettivamente si stesse andando incontro".

"Man mano che passavano i minuti, la situazione precipitava. Il nervosismo saliva. Nello stadio, dove c'erano anche molte donne e bambini, la paura tra la gente cominciava a serpeggiare, nonostante i toni manifestamente trionfalistici che caratterizzavano i messaggi della Giunta militare.Telefonai alla Cronica, il giornale nel quale lavoravo. Mi dissero che mi sarei dovuto recare quanto prima verso il Sud del Paese, a Rio Gallegos. L'obiettivo era quello, ovviamente, di documentare fotograficamente, nel migliore dei modi, l'inizio della guerra delle Malvinas-Falklands. Eravamo uno stuolo di fotoreporter, tutti desiderosi di partire verso le isole, per testimoniare la storia. In quell'epoca non esistevano altro che le foto e le immagini della televisione. Non potemmo però partire. Ne rimasi deluso come i miei colleghi, L'autorizzazione fu data solo alla tivù ufficiale ATC-Canal 7. Fummo ugualmente testimoni di un'esperienza che segnò la mia vita. Con i colleghi ci ritrovammo su un promontorio. Si discuteva, si formulavano ipotesi sull'esito del conflitto, sotto un vento freddo che ti tagliava la faccia. Il gruppetto di militari che stava insieme a noi, quasi a scortarci, erano ragazzi comuni, gente del popolo. Nessuno credeva alla guerra. Da una parte e dall'altra, parecchi di questi giovani impreparati, non certo militari professionisti, perirono per una battaglia che ancora oggi il popolo argentino non ha capito fino in fondo e digerito".