Così le armi svizzere potranno essere riesportate in Ucraina

Passo avanti, anche se con un risultato risicatissimo, nella controversa questione della riesportazione di armi svizzere in Ucraina. La Commissione della politica di sicurezza del Nazionale ha messo a punto un progetto di legge che allenta le severe disposizioni sul trasferimento di materiale bellico. Un gruppo di Stati (non tutti) che in passato avevano acquistato armi nella Confederazione potrà a sua volta rivenderle a un Paese alle prese con un conflitto armato; per revocare il divieto di riesportazione, tuttavia, dovrà essere soddisfatta una serie di condizioni. La decisione è stata presa con 11 voti favorevoli, 10 contrari e 4 astensioni. È stato decisivo il voto della presidente, la socialista zurighese Prisca Seiler-Graf. La «fragile» maggioranza è composta da commissari del PLR, del Centro, del PS e dei Verdi liberali. Il progetto sarà messo in consultazione. Il testo definitivo, quindi, vedrebbe la luce, al più presto, solo la prossima primavera. In caso di sì parlamentare, ci potrebbe essere un referendum.
Tre richieste respinte
Dall’inizio della guerra in Ucraina tre Paesi hanno chiesto, invano, di poter riesportare verso Kiev armi acquistate in Svizzera: Danimarca (veicoli blindati Piranha), Germania (munizioni per i carri armati antiaerei Gepard) e Spagna (cannoni antiaerei). Oggi, i Paesi che acquistano materiale bellico proveniente dalla Confederazione devono presentare una dichiarazione di non riesportazione con la quale si impegnano a non fornirlo a terzi senza previa autorizzazione scritta da parte di Berna. La Legge sul materiale bellico, inasprita nel 2021, vieta la riesportazione di armi provenienti dalla Svizzera in zone di conflitto. Il via libera non può essere concesso se «il Paese destinatario è implicato in un conflitto armato interno o internazionale». Inoltre, in virtù del diritto della neutralità, se il Consiglio federale autorizzasse la riesportazione di armi verso l’Ucraina, dovrebbe approvare anche eventuali richieste di riesportazione di materiale bellico verso la Russia. Appellandosi alla neutralità, il Consiglio federale si è sempre opposto ad allentare le norme sul materiale bellico. Per la maggioranza della Commissione, la situazione attuale suscita incomprensione. Di qui la decisione di modificare le regole, con effetto retroattivo.
Decide lo Stato riesportatore
Secondo il progetto, in caso di forniture a Stati che si riconoscono nei nostri stessi valori e che dispongono di un regime di controllo delle esportazioni simile a quello svizzero, la dichiarazione di non riesportazione può essere eccezionalmente limitata a cinque anni. La lista comprende 25 Paesi, quali Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Argentina ma non, ad esempio, l’Arabia Saudita. Il Paese acquirente si deve impegnare a trasferire in altri Stati il materiale bellico a condizione che il Paese di destinazione si avvalga del diritto di autodifesa in virtù del diritto internazionale pubblico (articolo 51 della carta delle Nazioni Unite). A stabilire che da parte dell’aggressore c’è stata una violazione del divieto dell’uso della forza deve essere il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Se quest’ultimo, tuttavia, fosse bloccato da un veto (una prerogativa dei cinque membri permanenti: USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna), la decisione finale spetterebbe al Paese primo acquirente, il quale dovrà certificare, mediante una propria analisi del diritto internazionale, che lo Stato che intende aiutare si sta difendendo da un’aggressione. In pratica, questo significa che cinque anni dopo l’acquisto i 25 Paesi partner della Confederazione possono decidere da soli cosa fare con le armi svizzere. Il Consiglio federale non avrebbe più niente da dire. Infine, altre due condizioni: il Paese di destinazione non deve violare in maniera grave i diritti umani; al tempo stesso, non ci deve alcun rischio che il materiale bellico venga impiegato contro la popolazione civile. La minoranza (in prevalenza UDC), dal canto suo, ritiene sbagliato cambiare le regole nel mezzo di una guerra. Contro l’allentamento delle restrizioni ci sono anche preoccupazioni per le neutralità.
Più spese militari
La commissione ha poi dato il benestare anche all’aumento delle spese militari per il periodo 2025-2028, proposto dal Consiglio degli Stati nella recente sessione estiva. Il budget dell’esercito dovrebbe passare da 25,8 a 29,8 miliardi di franchi, così da raggiungere entro il 2030 l’obiettivo dell’1% del PIL (Prodotto interno lordo). Questo maggior sostegno finanziario dovrebbe permettere alle forze armate di colmare le lacune in tempi più brevi.
Per finanziare l’aumento, la Camera alta aveva indicato tre ambiti di risparmio: il 50% a livello di cooperazione allo sviluppo, il 35% nelle spese non vincolate e il 15% all’interno dello stesso esercito (le spese operative dovrebbero essere ridotte a vantaggio di quelle per gli armamenti). Lo scorso 13 giugno, la Commissione delle finanze del Nazionale aveva sottoscritto queste decurtazioni ma aveva anche chiesto di intervenire sulla quota cantonale dell’imposta federale diretta; questo significa che i Cantoni riceverebbero meno soldi dalla Confederazione. Da parte sua, la Commissione della politica di sicurezza ha preferito rinviare ad agosto la questione di come compensare i quattro miliardi in più, lasciando al Consiglio federale il tempo per presentare un piano.