La testimonianza

«Da schiava sessuale ho visto la morte, salvata qui a Chiasso»

Servizio sociopsichiatrico a Chiasso: boom di casi legati ai richiedenti l'asilo
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Prisca Dindo
26.11.2023 10:00

Quattrocentotrentanove. Tanti sono i nuovi dossier registrati dallo scorso gennaio dall’Ufficio Servizio psico-sociale del Mendrisiotto situato nel cuore di Chiasso. Più di centocinquanta cartelle mediche in più rispetto al 2019, che vanno ad accumularsi ai casi già aperti. Un boom legato all’aumento di domande di aiuto da parte dei richiedenti l’asilo situati nei centri federali della cittadina di confine e di Balerna. Se nel 2019 erano stati in tutto ventitré, ora oltrepassano le duecentoventi unità, superando persino le richieste di consultazioni degli abitanti del Mendrisiotto. «E l’anno non è ancora terminato» commenta Ioannis Romanos, medico psichiatra aggiunto presso l’ambulatorio chiassese che è una costola dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale di Mendrisio.

Da un lato c’è stata un’impennata dei flussi migratori: La SEM, la Segreteria di Stato della migrazione, prevede tra le ventiquattromila e le quarantamila nuove domande presentate al nostro Paese entro dicembre. Dall’altra c’è una nuova collaborazione tra il Servizio psico-sociale del Mendrisiotto e la SEM, «un accordo che ci permette di entrare una volta alla settimana nel Centro Federale d’asilo Pasture di Balerna: lì incontriamo direttamente anche gli ospiti di Chiasso che hanno bisogno dei nostri servizi; un approccio più veloce ed immediato che sta portando i suoi frutti» spiega lo specialista, il quale di recente ha pure conseguito un Master in psicotraumatologia e seguito un corso di perfezionamento in Approccio Transculturale alla persona. «Sono specializzazioni importanti se vogliamo operare in questo campo» spiega Romanos.

Servizio potenziato

Le cifre hanno comunque impressionato anche Daniele Intraina e Raffaela Ada Colombo, rispettivamente direttore amministrativo e direttrice medica dell’Organizzazione sociopsichiatrica, i quali hanno deciso di potenziare il servizio. Dall’anno prossimo ci sarà una psicologa in più che lavorerà all’interno dei due centri federali «contribuendo così ad ottimizzare il triage clinico e agevolando l’accesso ai nostri servizi per i pazienti che necessitano di cure urgenti». Una figura importante che andrà ad aggiungersi oltre che agli psichiatri e agli psicologi, anche agli assistenti sociali e agli infermieri specializzati «che costituiscono una componente essenziale della nostra equipe» annota Romanos.

Ansia, depressione, disturbi da stress post traumatico

L’ottantacinque per cento dei profughi visitati dagli specialisti dell’ambulatorio cantonale presentano due disturbi: un terzo è affetto da sindrome da disadattamento, ossia «condizioni di malessere soggettivo e disturbi emozionali che compromettono il funzionamento normale di una persona». Questi disturbi si riscontrano di fronte a cambiamenti che stravolgono la propria vita, oppure quando si subiscono eventi stressanti. La manifestazione clinica più frequente è una reazione mista tra l’ansia e la depressione con sintomi rilevanti ma che non raggiungono un’ intensità tale da diagnosticare un episodio depressivo o un disturbo d’ansia.

Due terzi dei rifugiati soffrono invece di disturbo da stress post traumatico, che sorge «quando, in presenza di eventi tragici, soverchianti, che hanno la meglio sulla normale capacità umana di adattarsi alla vita, si arriva ad una disintegrazione e scissione dell’esperienza cosciente. Frammenti di ricordo rimangono bloccati al momento dell’evento traumatico allora basta un elemento scatenante - un «trigger» come viene definito da noi esperti del settore, che può essere una parola, un odore, un grido - per far rivivere nel paziente quel terribile momento anche a distanza di anni. Non è un semplice ricordo ma è come se passassero di nuovo attraverso la stessa terribile esperienza».Torture di ogni genere, uccisioni, stupri in massa, famiglie spezzate. Lungo il loro viaggio che li ha portati al nostro confine molti profughi hanno vissuto l’inferno sulla loro pelle. «Nulla che sia umano mi è estraneo» scriveva un commediografo romano nel 165 avanti Cristo, ma le assicuro che a volte, al termine dei colloqui con i profughi, ci chiediamo fino a che punto conosciamo davvero fino in fondo l’uomo» chiosa lo specialista.

La testimonianza

I racconti di atrocità sono innumerevoli. Come quello della ragazza che incontriamo nell’ambulatorio dove lavora l’equipe di Romanos. Una giovane nata in un piccolo paesino africano giunta in Svizzera tre anni fa la cui richiesta d’asilo è stata nel frattempo accettata per motivi umanitari. Oggi parla molto bene l’italiano e lavora in Ticino nel settore della vendita, dopo aver seguito una formazione. Come tante ragazze della sua età, sogna un futuro ricco di soddisfazioni. Forse un giorno potrà riabbracciare le due sorelle, uniche parenti ancora in vita rimaste nel suo Paese.

Piano piano gli specialisti di Chiasso sono riusciti a lenire le sue ferite. La fuga dal suo Paese; l’inganno di chi l’attirò in Turchia promettendole un posto di lavoro ma trasformandola in una schiava sessuale sequestrandole il passaporto; l’anno alla mercé dei clienti del bordello grande come un albergo; l’evasione rocambolesca insieme a tre ragazze come lei; la traversata in mare verso la Grecia; le due amiche annegate davanti ai suoi occhi nel buio della notte; l’approdo nell’inferno dantesco del centro di prima accoglienza greco; la decisione di proseguire il viaggio verso nord passando dall’Austria; la separazione dall’amica la quale è proseguita verso la Norvegia; la gratitudine verso la Svizzera ma nel contempo la grande solitudine. «All’inizio non volevo aprirmi con nessuno, mi chiedevo spesso il motivo per il quale  io dovevo vivere e tutti gli altri che avevo conosciuto durante il lungo viaggio no – confida la giovane -  ma poi qui in Ticino ho conosciuto persone buone e mi sono rappacificata con il mondo». 

La tentazione di voltare la faccia da un’altra parte e di far finta di nulla quando elenca l’insieme di nefandezze che preferiamo non rivelare nei dettagli durante la sua fuga è grande. Tuttavia è un nostro dovere morale ascoltare storie come la sua. Questa ragazza ha soltanto 21 anni ma ha un vissuto di atrocità inaudite. Lei è una sopravvissuta e merita rispetto, come del resto tanti profughi come lei. «Quel che è certo - e così termina la sua testimonianza - è che se non avessi avuto il sostegno di questo ambulatorio a Chiasso, non so se ce l’avrei fatta».

  

 

 

 

 

 

 

 

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