L'intervista

«Dal social palcoscenico andiamo verso il social tribù»

Gabriella Taddeo (Università di Torino) spiega come sia comunque possibile limitare l’influenza delle piattaforme e quali nuovi modelli si stiano imponendo
Anche i social cambiano. ©Copyright 2024 The Associated Press. All rights reserved.
Dario Campione
18.03.2024 06:00

Gabriella Taddeo, docente di teorie e tecniche dei media digitali all’Università di Torino, ha da poco pubblicato per Einaudi Social L’industria delle relazioni, un volume interamente dedicato ai continui cambiamenti delle piattaforme su cui, in un modo o nell’altro, transitano più o meno tutti.

La riflessione di Taddeo parte proprio dal «potere dei social, una condizione che ci appare ineluttabile e allo stesso tempo poco comprensibile». Negli ultimi 20 anni, dice al CdT la docente piemontese, i social hanno «ingegnerizzato le nostre relazioni, che ormai costruiamo sia in presenza sia in modo digitale. Le piattaforme hanno creato un design delle relazioni attraverso il quale possiamo quantificare il nostro capitale sociale. Il punto è che le metriche dei social hanno datificato i processi che prima svolgevamo in modo inconsapevole, e in questa datificazione stiamo più attenti ai risultati, agiamo sulla base di un potenziale successo. In questo senso, c’è un potere tossico delle piattaforme. Prima la reputazione era vincolata all’idea di reciprocità o al nostro ruolo, oggi è invece legata alla visibilità, acquisiamo prestigio non perché diamo qualcosa alla comunità ma per l’attenzione che captiamo».

La copertina del libro di Gabriella Taddeo
La copertina del libro di Gabriella Taddeo

A questo potere ci si può opporre, o almeno resistere. E l’obiettivo di Taddeo è anche questo: «suggerire agli utenti possibilità di azione e nuove responsabilità. I social agiscono rinforzando dinamiche già nostre, se noi amiamo contenuti trash, gli algoritmi dei social li amplificheranno. Ma siamo noi, però, ad avere il potere di agire all’interno dei nostri gusti. Possiamo sagomare le proposte dei social con i nostri feedback. Le alternative sono infinite. Per divergere basta fare un click, siamo in una prigione che si scavalca con un link».

Al netto di una pervasività dei social che oggi appare davvero diffusa, alcune tendenze mostrano in realtà approcci nuovi. Almeno due processi, dice Taddeo, sono in atto: «la de-socializzazione e la de-estetizzazione. I giovani si stanno allontanando dai social mainstream, i social vetrina, e cercano dinamiche relazionali più strette, di cui abbiano il controllo. Questa è la desocializzazione. Che si unisce alla de-estetizzazione, conseguenza diretta della stanchezza di dover apparire sempre smaglianti, perfetti. Dal social palcoscenico si passa al social tribù, dove lo scambio non è necessariamente una battaglia per la migliore rappresentazione di sé».

Il superamento dell’ansia da prestazione, da riconoscimento, si combina poi con nuovi modelli di business, anch’essi determinanti per il cambiamento in atto delle piattaforme. «All’inizio - dice ancora Taddeo - si producevano gratuitamente contenuti soltanto per esserci. Una fase ormai esaurita. Adesso, la visibilità è difficile da ottenere e l’attenzione un bene prezioso da conquistarsi con contenuti sempre più performanti. Non basta postare ciò che capita. In tanti sono ossessionati dai contenuti: quando non piacciono abbastanza, diventano boomerang, anche psicologici. Il successo è riconoscimento, pochi like sono deprimenti. Così, ci ritiriamo dalla scena, oppure ci rimaniamo , ma con altri obiettivi. Su TikTok, ad esempio, assistiamo all’uscita degli utenti comuni: ormai moltissimi sono soltanto spettatori e pochi i creatori di contenuti».