Dazi e farmaceutica: «Non ci sono certezze, è difficile pianificare»

Per Interpharma, l’associazione delle imprese farmaceutiche elvetiche, è «un giorno nero per la Svizzera»: i dazi del 39% imposti dagli Stati Uniti minacciano di costituire un enorme danno economico al Paese. I prodotti farmaceutici sono per il momento esentati, constata l’organizzazione in un comunicato. Eppure, attualmente continua a regnare l’incertezza. «Pochi mesi fa erano stati annunciati dazi pari al 31% nei confronti della Svizzera. Ora sono ulteriormente saliti al 39%. È sicuro che tariffe di questa portata peseranno sull’economia in maniera importante», ci spiega Piero Poli, presidente di Farma Industria Ticino. Non è inoltre ancora del tutto chiaro se, a negoziati conclusi, l’industria farmaceutica verrà effettivamente risparmiata oppure no. «Mi auguro che il Consiglio federale riesca a ottenere un accordo migliore», sostiene Poli. Al momento, però, è ancora presto per indicare in che modo il settore farmaceutico (in Ticino e in Svizzera) reagirà a medio termine. «Fin quando non avremo delle certezze, oppure una chiara percentuale dei dazi, non si potrà valutare il possibile impatto», spiega ancora Poli. Tra le possibilità sul tavolo, ad esempio, c’è una maggiore produzione negli Stati Uniti (le aziende svizzere e internazionali si sono impegnate a investire miliardi di dollari negli USA dall’inizio dell’anno) oppure la decisione di concentrarsi su altri mercati. Poli ricorda che già il franco forte ha un forte impatto sul settore farmaceutico: «se a ciò dovessero aggiungersi dazi che ci rendono ancora meno competitivi, ci saranno sicuramente delle ripercussioni sull’industria farmaceutica svizzera e ticinese».
Ultimatum a Novartis
A complicare ulteriormente le cose, per l’industria farmaceutica (a luglio Trump aveva minacciato dazi fino al 200%), è stato l’ennesimo ultimatum del presidente statunitense: lo scorso giovedì, il tycoon ha criticato i colossi farmaceutici, tra cui Novartis e Genentech (filiale statunitense di Roche). Le aziende hanno tempo sino al 29 settembre per impegnarsi ad abbassare i prezzi negli Stati Uniti. Altrimenti ci saranno conseguenze. Attraverso 17 lettere ai principali produttori farmaceutici, Trump ha indicato i passi che i colossi devono intraprendere per abbassare i prezzi dei farmaci con prescrizione negli Stati uniti, portandoli al livello del prezzo più basso offerto in altre nazioni sviluppate (conosciuto come «prezzo di nazione più favorita» o «Most-Favoured-Nation Drug Pricing», MFN). Le lettere avvisano i produttori che, se «si rifiuteranno di fare la loro parte», il governo federale «impiegherà ogni strumento a nostra disposizione per proteggere le famiglie americane dalle pratiche di prezzo dei farmaci continuative e abusive». Questo, secondo Interpharma, mette a rischio la fornitura globale di farmaci innovativi. Indipendentemente da ciò che accadrà in futuro, per l’associazione di categoria, la Svizzera deve concentrarsi con urgenza sul miglioramento delle proprie condizioni quadro: sono necessarie riforme per garantire la posizione della Confederazione come centro farmaceutico e assicurare il mantenimento degli investimenti nella ricerca nonché nello sviluppo di medicinali innovativi.
Calo del prodotto interno lordo
L’economia elvetica potrebbe essere duramente colpita dall’imposizione di dazi doganali del 39%. Secondo un’analisi del Centro di ricerca congiunturale (KOF) del Politecnico federale di Zurigo, c’è il rischio di un calo del PIL tra lo 0,3% e (almeno) lo 0,7%. Tenendo conto delle cosiddette tariffe reciproche del 39% sulle esportazioni di beni elvetici verso gli Stati Uniti e del 15% sull’export dall’UE, nonché una tariffa del 10% sui prodotti farmaceutici provenienti dalla Svizzera, ci si deve aspettare una flessione del prodotto interno lordo compresa tra lo 0,3% e lo 0,6%. Questo costerebbe a ogni cittadino svizzero in media almeno quasi 300 franchi all’anno. Se però anche l’industria farmaceutica fosse soggetta a dazi del 39%, «ci si dovrebbe aspettare una forte contrazione del Pil, di almeno lo 0,7%, con una perdita media di reddito di circa 700 franchi per persona all’anno», aggiunge il condirettore del KOF Hans Gersbach, citato in un comunicato. In uno scenario poi caratterizzato da distorsioni nelle catene di approvvigionamento e da un intensificarsi del rallentamento congiunturale mondiale si potrebbe anche superare l’1%, con un rischio di recessione.