Dazi, la Svizzera attende il suo turno: «Ma se frena l’UE, per noi sono guai»

Per l’economia svizzera sono ore di trepidante attesa. Dopo mesi di negoziati, a breve (forse è solo questione di ore) dovrebbe arrivare la comunicazione del presidente americano Donald Trump. Il cauto ottimismo lasciato trapelare a maggio dalla presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter dopo l’incontro con il ministro dell’Economia Scott Bessent e il rappresentante al commercio Jamieson Greer ormai sembra lontano. Come lontana è quella telefonata con il presidente americano che ha regalato a Keller-Sutter il presunto merito di aver convinto Trump a posticipare l’entrata in vigore dei dazi di 90 giorni. Quasi preistoria di fronte alla carica con cui il tycoon in questi giorni è tornato in sella per annunciare, con il consumato stile dello sceneggiatore navigato, i dazi: Paese per Paese, letterina per letterina, giorno dopo giorno.
C’è poco da stare tranquilli, dicevamo. Non solo perché nel famigerato tabellone di aprile il nostro Paese veniva colpito da tariffe del 31%, ma anche perché in questi mesi Trump non ha dato alcun segno di voler ascoltare i moniti di chi lo metteva in guardia sui rischi di una politica commerciale, da molti definita tanto miope quanto protezionistica. E a questo punto, non possono neppure suonare come concilianti i toni usati da Trump nei confronti dell’Europa. «Bruxelles ci ha trattato bene», ha commentato pochi giorni prima di far cadere la mannaia colpendo l’UE con dazi del 30%. Una decisione che - sia detto per inciso - aumenta di dieci punti percentuali il primo provvedimento di aprile. «È una mossa che ha sorpreso tutti», commenta al CdT Nicola Tettamanti, presidente di Swissmechanic, l’associazione delle piccole e medie imprese (PMI) dell’industria metalmeccanica svizzera. «Sembrava che si stesse andando in un’altra direzione, ovvero verso un accordo simile a quello con il Regno Unito, con dazi più contenuti e settoriali». Secondo Tettamanti, l’Europa probabilmente non ha fornito le risposte che gli Stati Uniti si aspettavano e, per aumentare la pressione, Washington ha deciso di alzare il tiro. «È chiaro che questo approccio lascia molta incertezza e preoccupazione per le comunicazioni dei prossimi giorni».
Le ripercussioni
Di certo, un probabile rallentamento dell’economia europea – qualora i dazi del 30% entrassero effettivamente in vigore – finirebbe per avere ripercussioni anche sulla Svizzera, come conferma l’imprenditore Tettamanti: «Al momento è importante mantenere la calma e osservare come evolverà la situazione nei prossimi giorni». Detto ciò – prosegue – «la domanda di prodotti europei negli Stati Uniti rischierebbe di diventare quasi proibitiva. Di conseguenza, mi aspetto una contrazione significativa, con un rallentamento delle esportazioni di beni d’investimento verso il mercato americano».
Sicuramente ci sono settori, come quello farmaceutico, in cui – trattandosi di prodotti unici – eventuali rincari verrebbero semplicemente trasferiti sul consumatore statunitense, osserva Tettamanti. «Ma nel complesso, per la Svizzera, questo scenario significherebbe una minore domanda da parte di Paesi partner come Germania, Francia e Italia».
E i possibili vantaggi
In parallelo, Tettamanti propone una seconda riflessione: «Nel caso in cui Berna riuscisse a chiudere un accordo con dazi minori, l’economia svizzera si troverebbe improvvisamente avvantaggiata. Rimarremmo sempre un Paese costoso – aggiunge l’imprenditore – «ma saremmo più competitivi di alcuni nostri vicini: e ciò compenserebbe in parte la differenza tra euro e dollaro, e tra franco e dollaro». Per l’industria svizzera sarebbe un buon segnale. Tettamanti rimane comunque cauto: «Se l’UE, con il suo peso economico e diplomatico, si è fermata al 30%, c’è da chiedersi cosa significhi essere un “partner privilegiato” per la Svizzera. Speriamo non voglia dire finire al 40%». Al netto delle trattative e delle posizioni apparentemente allineate, tutti i Paesi - dal Messico al Giappone, passando per il Canada e l’Unione europea - si sono infatti ritrovati con dazi proibitivi. «La Svizzera ha senz’altro buone carte da giocare: dispone di un’economia ad alta intensità tecnologica, e di settori di eccellenza come il lusso. Un’intesa attorno al 10% – magari estesa a più ambiti rispetto a quelli inizialmente previsti, purtroppo – sarebbe auspicabile. Tuttavia, è realistico pensare che, in cambio, la Svizzera dovrà concedere qualcosa, ad esempio su quelle barriere ancora presenti in settori come l’agricoltura». Tettamanti vuole restare fiducioso: «Voglio sperare che la Svizzera sia davvero considerata un partner privilegiato, anche perché non applichiamo dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti, ad eccezione del settore agroalimentare. Offriamo l’accesso al nostro mercato in modo trasparente e aperto. Se siamo davvero partner, sarebbe bello vederlo riconosciuto adesso».
Per concludere, una domanda: per l’economia svizzera spaventa di più il 30% imposto da Trump all’UE, oppure una quota importante applicata ai prodotti elvetici? «Oggi fa sicuramente più paura quel 30% imposto all’Unione europea, perché — volenti o nolenti — la Svizzera è al centro dell’Europa, sia geograficamente che economicamente. Ciò che accade nei Paesi UE ha un impatto diretto anche su di noi, soprattutto nel lungo periodo. Tuttavia, nel breve termine, una Svizzera con un dazio differenziato e più favorevole potrebbe beneficiare di un vantaggio competitivo temporaneo: questo potrebbe offrire un po’ di respiro ad alcune imprese e, in alcuni casi, persino attrarre nuove opportunità o riconvertire parte della produzione».
Bruxelles per ora dialoga
Nel frattempo, l’Europa sceglie la via del dialogo. Almeno per ora. Oggi, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’intenzione di prorogare la sospensione delle contromisure contro i dazi statunitensi, in risposta alla lettera con cui Trump ha ufficializzato l’introduzione di tariffe del 30%. «Abbiamo sempre detto che preferiamo una soluzione negoziale», ha argomentato von der Leyen. «Allo stesso tempo, continueremo a prepararci per le contromisure. Siamo quindi pienamente preparati».
«Si faranno male da soli»
«Credo che, alla fine, l’Europa sceglierà la strada della ritorsione tariffaria, danneggiando in primis se stessa. A mio avviso, invece, la risposta più saggia sarebbe proprio quella di non rispondere affatto», commenta al CdT l’economista Giovanni Barone Adesi. «Le iniziative promosse da Donald Trump si basano su una visione semplicistica e superficiale dell’economia. È giusto che si misurino con gli effetti negativi che produrranno. Già in occasione del primo annuncio sui dazi, il mercato dei titoli del Tesoro statunitense aveva reagito male. Le politiche economiche mal congegnate si puniscono da sole. Non c’è bisogno di imitarle». È chiaro - prosegue Barone Adesi - che l’UE subirà contraccolpi, e per questo sarà chiamata ad aprire nuovi mercati. «Il principale sbocco alternativo sarebbe la Cina, un partner economicamente interessante, ma geopoliticamente complesso. Esistono però anche mercati meno impegnativi sul piano politico, come quelli dei Paesi arabi, che potrebbero offrire sbocchi alternativi. All’Europa servirebbe un minimo di razionalità, ma temo che, in questa fase, sia un’impresa disperata».
Se l’economia europea rallenta – per effetto dei dazi o per le reazioni dell’UE – non sarà certo positivo per noi. «È nel nostro interesse che tutti i nostri partner commerciali mantengano economie sane e dinamiche. Tuttavia, credo che la Svizzera sia in una posizione più solida rispetto ad altri Paesi, e che possa contenere meglio i danni». Barone Adesi esemplifica con la farmaceutica: «Le aziende svizzere del settore stanno già pianificando investimenti per miliardi negli Stati Uniti. Anche se Trump dovesse arrivare a introdurre dazi al 200% sui prodotti farmaceutici importati, la Svizzera avrebbe la possibilità di adattare la propria produzione, spostandola negli USA».